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 2012  novembre 05 Lunedì calendario

INTERNET. VUOI FARE AFFARI? CONTROLLA IL PASSAPAROLA

La regola aurea della comunicazione sembra semplice: bene o male, purché se ne parli. Ma è fare i conti senza Internet e, soprattutto, senza i social network. La Rete pesa sempre di più nelle scelte dei consumatori. Secondo il rapporto Nielsen «Global Trust in Advertising», pubblicato nell’aprile 2012 e basato su interviste a 28 mila internauti in 56 Paesi, le opinioni online influenzano il 70% degli intervistati: il 15% in più rispetto al 2007: il passaparola sul web, stando allo studio, è secondo solo alle raccomandazioni di parenti e amici (alle quali si affida il 92% degli intervistati, mentre dei consigli di tv e quotidiani si fida il 47 e il 46% delle persone sentite). «Il passaparola è inevitabile, è molto meglio quindi se risulta positivo: per distruggere la reputazione di un marchio ci vuole la metà del tempo e dell’impegno che ci sono voluti per crearla», dice Michele Costabile, professore ordinario alla Luiss.
Con i colleghi Matteo De Angelis e Alessandro Peluso (e in collaborazione con Andrea Bonezzi, New York University, e Derek Rucker, Northwestern University) ha analizzato le dinamiche del passaparola sul web.
Il monitoraggio
Lo studio, che sarà pubblicato sul Journal of Marketing Research, delinea le dinamiche per generare il passaparola in Rete. «Quello positivo è il più diffuso: la gente, quando parla di se stessa, enfatizza le esperienze positive. Quello negativo, invece, riguarda le esperienze altrui: è meno diffuso, ma pesa di più», sottolinea Costabile. Per tenerlo sotto controllo ci vuole un monitoraggio continuo di come e quanto si parla in Rete di un certo marchio. Un’operazione che sempre più aziende scelgono di fare grazie ad algoritmi che analizzano blog, commenti e tweet per cogliere le emozioni. «Siti, blog, forum, social: li monitoriamo tutti e scomponiamo i messaggi. Per esempio, un nuovo modello di auto può essere giudicato buono, però il motore ritenuto carente», dice Stefano Spaggiari, fondatore e amministratore delegato di Expert System.
L’azienda di ricerca semantica, nata nel 1989, si occupa di Internet da una decina d’anni e di social network da cinque. L’interesse delle aziende italiane è esploso un anno fa, «grazie a Twitter, percepito come strumento di comunicazione, mentre Facebook è considerato luogo di aggregazione», dice il manager. Incrociando i dati ottenuti con il monitoraggio in Rete alle campagne pubblicitarie, per esempio, si può capire come e quanto queste impattano sulla percezione del marchio. Ma anche risolvere problemi pratici: «Un’azienda di servizi finanziari-assicurativi ha capito che il meccanismo di utilizzo del sito era poco chiaro per gli utenti». Non sempre, però, studiare il passaparola è la soluzione giusta: «Funziona nei casi delle aziende rivolte ai consumatori su temi abbastanza dibattuti, per quelle del business to business si rischia di non trovare abbastanza dati».
I «clienti esperti»
Per indirizzare il flusso d’informazioni, molte aziende si appoggiano a reti di clienti esperti che intervengono in prima persona. L’importante è agire in fretta: come Burger King, quando un impiegato ha diffuso in Rete foto dove si vedeva un dipendente pestare con le scarpe contenitori di lattuga. L’intervento immediato dell’azienda, che ha subito individuato i responsabili , ha soffocato sul nascere la bolla negativa. Scusarsi, però, non basta: «Ciò che fa imbufalire i clienti è soprattutto l’atteggiamento non empatico», dice Costabile.
McDonald’s, nel 2011, ha risposto all’accusa di razzismo dopo che su Twitter era stata diffusa una foto (falsa) con sovrapprezzi per gli afroamericani: ha negato l’iniziativa e risposto ai messaggi privati dei singoli. La chiusura, invece, non paga. Lo dimostra la United Airlines: nel 2008 due addetti ai bagagli ruppero una chitarra della band Sons of Maxwell’s, la compagnia respinse i reclami del gruppo. Il cantante si vendicò incidendo una canzone contro la società che fece il boom su YouTube e su iTunes.
Greta Sclaunich