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 2012  novembre 05 Lunedì calendario

L’ALTRA FACCIA DEI DEBITI DELL’OCCIDENTE CONSUMATORE

[Perché sta accelerando il gigantesco spostamento di ricchezza dai paesi di vecchia industrializzazione a quelli emergenti, impegnati a capitalizzare le loro risorse naturali e l’export] –
Fondi sovrani contro debiti sovrani. Non sono esattamente lo specchio gli uni degli altri ma basta guardare dove stanno i primi e dove sono i secondi per capire in che direzione sta muovendo il mondo. I fondi sovrani sono nei paesi emergenti, con l’eccezione della Norvegia che accumula i proventi del petrolio in un gigantesco fondo pensione per i suoi cittadini. I debiti sovrani sono nei paesi di vecchia industrializzazione, Europa, Stati Uniti e Giappone. Quando parliamo di fondi sovrani giustamente ci occupiamo di come investono, se con logiche economiche oppure geopo-litiche, se in modo opaco o trasparente; e di dove investono, con una gran voglia di attirare quei miliardi in casa nostra. Ma faremmo bene a chiederci anche da dove arrivano tutti quei miliardi, perché scopriremmo che provengono esattamente dalle tasche di noi cittadini dei paesi che ci ostiniamo a chiamare ricchi, grandi consumatori di gas e petrolio arabi e russi, di materie prime brasiliane, di manufatti cinesi. Quello che sta avvenendo tra l’Occidente consumatore e il Sud e l’Est del mondo produttori è uno spostamento di ricchezza di dimensioni colossali. I numeri da tenere d’occhio sono due: 5 mila cento e 7 mila. Il primo è l’ammontare del patrimonio accumulato, prevalentemente negli ultimi dieci anni, dai fondi sovrani, e il secondo è l’ammontare delle riserve valutarie accumulate nello stesso periodo da quelle parti del pianeta che fino a qualche tempo fa chiamavamo Secondo e Terzo mondo. La somma oggi fa 12 mila miliardi di dollari, che tra il 2015 e il 2016 diventeranno 20 mila. E’ il conto della globalizzazione e della fine vera dell’epoca coloniale, che è durata qualche decennio ancora dopo il crollo degli imperi, fino a quando l’Occidente ricco e potente le materie prime le pagava a prezzi irrisori. Quell’epoca è finita di fatto con le due crisi petrolifere degli anni ’70 e poi con la caduta del muro di Berlino che ha liberato pezzi di mondo fino ad allora bloccati dalla Guerra Fredda. Da allora il denaro ha cambiato direzione, prima si accumulava a Ovest ora si accumula altrove. Ad una velocità impressionante. Il patrimonio dei fondi sovrani che si misurava nell’ordine delle centinaia di miliardi negli anni ’90 ed aveva toccato quota 2 mila nel 2007, in soli cinque anni è salito a oltre 5 mila e si prevede che arrivi a 10 mila nei prossimi tre o quattro anni. Per le riserve valutarie non è andata molto diversamente. In totale nel mondo ammontano a 10 mila 500 miliardi di dollari, tremila dei quali accumulati negli ultimi tre anni. Non è necessario tirare a indovinare per capire dove. La Cina, che domina la classifica con oltre 3 mila 200 miliardi di dollari di riserve, all’inizio degli ’90 ne aveva per 18 miliardi e all’inizio degli anni 2000 per 146 miliardi: in dieci anni ha moltiplicato questa cifra di 22 volte. Tassi di crescita non dissimili hanno avuto le riserve dei grandi esportatori di petrolio e gas. Noi compriamo e consumiamo, gli esportatori accumulano i loro surplus in riserve e fondi sovrani (che sono uno strumento per diversificare le tipologie di impiego delle riserve). C’è una logica nell’accumulazione delle riserve. Da una parte evitare che l’arrivo di tanta moneta in mercati limitati faccia esplodere l’inflazione; dall’altra creare un tesoretto il più solido possibile per stabilizzare la propria valuta ed evitare crisi come quella asiatica degli anni ’90. E c’è una logica anche nella creazione dei fondi sovrani, che è quella di trasformare un patrimonio che sta sotto terra, il petrolio, in una ricchezza finanziaria al servizio delle generazioni future. Ma c’è anche un limite “politico” in questa logica, poiché una parte consistente di quei fondi - come forse ora si comincia a fare - poteva essere impiegata per creare capitale sociale, assai scarso nei paesi petroliferi, e porre le basi per una capacità di sviluppo che non si basi solo su quello che c’è nel sottosuolo. L’altra faccia della medaglia è la scommessa dell’Occidente, che fino ad oggi ha consumato materie prime e merci prodotte da altri, che per far questo s’è indebitato e ora, volente o nolente, deve invertire la strada per evitare il declino. Non è difficile capire il rischio che corriamo: basta guardare dove vanno i soldi.