Benedetta Marietti, la Repubblica 04/11/2012, 4 novembre 2012
CEES NOOTEBOOM
[Poeta, narratore, viaggiatore da quando rinunciò al posto in banca per attraversare l’Europa in autostop Da allora l’eterno candidato al Nobel non si è mai fermato: ha solcato i mari per amore, scritto reportage da Budapest e dal Maggio francese e, come nel suo ultimo libro, dai Paesi islamici: “Ho visto nascere sulle macerie della Guerra fredda il fondamentalismo] –
VENEZIA
Poeta, romanziere, scrittore di viaggi, traduttore, drammaturgo. E poi «eterno nomade e viaggiatore del mondo», appassionato romantico e lucido umorista, acuto intellettuale e grande cosmopolita, filosofo dalle folgoranti visioni esistenziali e attento testimone della storia. Delle mille vite che aveva a disposizione, Cees Nooteboom, una delle voci più eclettiche e originali del nostro tempo, non ne ha “presa” una sola (come recita il titolo di uno dei suoi libri,
Avevo molte vite e ne ho presa una sola, pubblicato insieme a gran parte della sua opera da Iperborea) bensì ne ha vissute tante contemporaneamente. Vite che si sono riflesse nella scrittura, in un gioco continuo di rimandi tra realtà e finzione, tra fatti e immaginazione, alla ricerca di un altrove, di un senso ultimo che forse è proprio la scrittura a dare.
Capelli candidi, sorriso malinconico ma venato di ironia, occhi profondi, modi da gentleman, gran conversatore, lo scrittore olandese, nato all’Aja nel 1933 e più volte candidato al Nobel (a fine agosto i bookmaker inglesi lo davano in seconda posizione, con le probabilità di 12/1, a pari merito con Mo Yan, vincitore di questa edizione, dietro all’allora favorito Haruki Murakami con 10/1) dimostra meno dei suoi 79 anni mentre racconta di sé, della sua passione per i viaggi e delle sue tante vite, seduto a un tavolino della Fondazione Cini di Venezia di cui è ospite insieme alla moglie, la fotografa Simone Sassen. «A chi viaggia viene chiesto fino alla nausea se non sia in fuga da qualcosa. Ma è una domanda senza senso. Il punto è andare a conoscere luoghi e popoli diversi da noi rimanendo noi stessi ma nello stesso tempo riuscendo a vivere una vita parallela. Si mantiene la propria vita ma ci si eclissa. È un buon modo per capire di più se stessi».
Il suo ultimo libro da poco uscito in Italia, Il suono del suo nome (Ponte alle Grazie, traduzione di Laura Pignatti), raccoglie una serie di reportage di viaggi nel mondo islamico, scritti tra il 1960 e il 2003: dal Marocco all’Iran, dalla Tunisia all’India. «La civiltà araba è stata per noi fondamentale, senza di essa non ci sarebbe stato il Rinascimento italiano e l’Europa sarebbe ancora nel buio del Medioevo. Fino alla caduta del muro di Berlino gli arabi non erano nostri nemici. Con la fine della Guerra fredda lo scenario è mutato. Ma le prime avvisaglie dell’esistenza del fondamentalismo le ho avute già nel 1975. Mi trovavo davanti alla moschea di Qom, in Iran, con una fotografa inglese. A un certo punto è comparsa una folla di giovani mullah che urlava frasi incomprensibili. Uno di loro mi ha sputato in faccia. Lì ho capito che la situazione sarebbe presto cambiata. Oggi occidentali e arabi sono sopraffatti dall’ignoranza reciproca. Bisognerebbe imparare a conoscerci di più. Non approvo l’estremismo islamico ma anche noi dovremmo fare più attenzione quando ci autodefiniamo paladini della libertà. Libertà di cosa?».
Nooteboom, che vive per metà anno ad Amsterdam e per l’altra metà a Minorca («fino a qualche anno fa passavo dei mesi anche a Berlino»), ha il sorriso disincantato di chi è stato testimone di tanti avvenimenti storici e riesce a intravedere quali saranno i possibili scenari del futuro. «I rapporti con l’Islam sono in continua evoluzione. Pochi anni fa ero in una farmacia olandese quando è entrato un uomo vestito con una tunica marocchina che teneva per mano una bambina di circa sei anni. Lui non sapeva una parola di olandese, è stata la bambina a fargli da interprete. In quel momento è successo qualcosa di cui padre e figlia non potevano immaginare ancora le conseguenze: la bambina ha acquisito un po’ di potere, il padre lo ha perso. Nel giro di una decina d’anni quel vantaggio acquisito dalla bambina porterà a gravi conflitti».
Nel ’56 lo scrittore è a Budapest, nel maggio del ’68 a Parigi, nell’89 a Berlino, e da lì scrive grandi reportage. «Non so se sia stato il caso a spingermi in quei luoghi. Ho seguito l’istinto. C’è perfino chi pensa che abbia doti profetiche e che avessi previsto il crollo del World Trade Center. Nel 1975, a New York, davanti allo spettacolo delle Torri gemelle che svettavano contro un cielo limpido e soleggiato, avevo scritto che mi parevano fragili e vulnerabili e che un giorno si sarebbero afflosciate su se stesse, come cartine da sigaretta ». Della sua infanzia Nooteboom dice di ricordare poco, ma di non aver dimenticato lo studio della cultura classica nei collegi monastici francescani e agostiniani, dove venne mandato dalla madre, risposatasi con un fervente cattolico dopo la morte del padre di Cees. «È da lì che risale la mia passione per i monasteri. Anche se erano luoghi molto cupi e severi, nei quali non mi sentivo a mio agio. Ma sono grato ai miei di avermi fatto studiare latino, greco e storia dell’arte».
Nel ’53, a 19 anni, lascia il lavoro in banca che aveva accettato dopo aver interrotto gli studi, e attraversa mezza Europa in autostop. Le suggestioni di quel primo viaggio on the road sono destinate a trasformarsi nel suo primo romanzo, Philip e gli altri, che diventa subito un grande successo e verrà considerato precursore dei temi della Beat Generation. «Tutti mi chiedono come sia nato il romanzo e come mai abbia voluto scriverlo. Non so rispondere, mi sono semplicemente seduto a un tavolo e ho scritto». Ma dopo quel primo libro Nooteboom va in crisi, sente di aver esaurito il filone creativo e di non aver più niente da dire: «Per scrivere è necessaria una certa conoscenza del mondo. Per questo ho iniziato a viaggiare», ama ripetere. Per amore di una ragazza del Suriname si imbarca come mozzo su una nave per il Sud America, e comincia a comporre reportage di viaggi e poesie. Alla forma del romanzo ritornerà molto più tardi: Il cavaliere è morto uscirà nel ’63, Rituali diciassette anni dopo, seguito dal Canto dell’essere e dell’apparire nell’81. Tre romanzi che indagano lo stretto rapporto tra realtà e immaginazione e mettono in scena paradossi spazio-temporali che annullano ogni convenzione letteraria. «La scrittura stessa è un paradosso», spiega Nooteboom. «Perché qualsiasi invenzione dello scrittore per il lettore diventa realtà: le cose scritte sono reali. A El Toboso, proprio nel centro del paese, è possibile visitare la casa autentica di Dulcinea, vale a dire di un personaggio che non è mai esistito. Toccare con mano la cucina dove faceva da mangiare. A Verona ci sono frotte di giapponesi in pellegrinaggio davanti al balcone di Giulietta, come se lei avesse abitato veramente lì. Non si capisce più se si sta viaggiando in un’opera letteraria
o nel mondo reale». Ritorna sempre il viaggio, la fuga di specchi in cui chi racconta è a sua volta raccontato da altro, in un gioco infinito di rimandi. Nooteboom è il burattinaio onnisciente che con ironia muove i fili invisibili dei suoi personaggi facendo però capolino da dietro le quinte. «Nel 1993 è uscito un mio libro nato dalla collaborazione con l’artista tedesco Max Neumann, che avevo conosciuto quando vivevo a Berlino. Si intitola
Autobiografia di un altro.
Il libro era nato da un patto fra me e Max: io non avrei descritto i suoi disegni, lui non avrebbe illustrato i miei testi. Il risultato sono 33 fra prose poetiche e disegni che dipingono un’atmosfera di ricerca di una dimensione altra dell’esistenza. E che sono la rappresentazione della teoria che la trasmigrazione delle anime non avviene dopo la nostra morte ma durante la nostra vita».
In Rituali c’è una frase che esprime lo stesso concetto: «Per me esiste solo una forza che consente di sopportare quest’esistenza terrena posta fra due infinite assenze, la forza della fantasia ». Nooteboom sorride: «Shakespeare nella Tempesta aveva illustrato lo stesso pensiero molto meglio di me: “Siamo fatti della stessa materia dei sogni e la nostra breve vita è circondata da un lungo sonno”».