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 2012  novembre 04 Domenica calendario

LA POLITICA AI TEMPI DI KLOUT ECCO L’ALGORITMO DELLA POPOLARIT

[L’indice che rivela quanto si è influenti sul web] –
ROMA
— È solo un algoritmo. Eppure sta diventando uno dei punti del dibattito tra le forze politiche italiane. Perché questo indice misura la popolarità sul web. Anche dei politici nostrani e dei loro “influencer”. Quelli che influenzano la rete. ma esistono davvero gli “influencer”?
Klout è l’algoritmo che misura l’influenza di chiunque sia attivo sui social media, e non lo controlla nessuno. Anzi, lo controlla solo il suo inventore, Joe Fernandez, che infatti qualche mese fa, visto che la persona più influente del mondo risultava essere la popstar dei teenager Justin Bibier e questo evidentemente lo infastidiva, cambiò i criteri con cui è costruito l’algoritmo di Klout per far sì che il primo della classifica fosse il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama (il quale, per la verità, la settimana scorsa è stato raggiunto dai San Francisco Giants, forti del successo alle World Series di baseball). Questo per dire di cosa stiamo parlando.
La storia di Klout è abbastanza casuale. Inizia nel 2008, ovvero quando Twitter e Facebook non erano ancora esplosi. Joe Fernandez aveva 30 anni: figlio di un esule cubano, un paio di startup fallimentari alle spalle, quando era a letto per una convalescenza complicata che gli impediva di parlare, scrisse un post sui burritos messicani e in tanti iniziarono a chiedergli chi li facesse meglio. Fu così che intuì che in rete non siamo tutti uguali. Alcuni hanno più potere di altri perché sono più influenti. Lui era influente sui burritos evidentemente. Ma se fosse riuscito a misurare l’influenza di ciascun utente dei social media forse finalmente avrebbe svoltato. Aveva ragione. La sua terza startup la chiamò klout, che suona come clout, termine inglese che sintetizza l’influenza politica sugli altri. E nel Natale 2008 partì.
Klout è stato il primo, oggi non è affatto l’unico, anzi ci sono decine di misuratori alternativi del nostro comportamento in rete. E soprattutto negli Stati Uniti le aziende li prendono piuttosto sul serio visto che i punteggi Klout o simili vengono utilizzati anche per i
colloqui di lavoro, o per dare una stanza migliore a un cliente di un albergo, e garantiscono risposte più celeri e cortesi ai call center. Non è affatto strano. Facciamo un esempio nostrano piuttosto frequente: se su un treno qualcuno twitta che il wifi non funziona, è matematico che la prontezza della reazione di Trenitalia dipende da quanto è influente chi ha scritto il tweet. Normale che la stessa cosa capiti in politica.
Ma come si misura l’influenza in rete? Soprattutto in base a tre parametri: la popolarità (quanti ci seguono), l’engagement (quanti reagiscono a quello che facciamo), il reach (una combinazione dei primi due). A seconda del peso che gli si dà, il risultato finale cambia. E infatti ci sono tanti indicatori diversi, concorrenti con Klout. Il presupposto comune è che i nostri messaggi in rete possano avere destini diversi: da essere totalmente ignorati fino a fare il giro del mondo. Naturalmente un messaggio del presidente degli Stati Uniti, che parte da qualche milione di follower solo su Twitter, ha molte più probabilità di fare effettivamente il giro del mondo, ma per come è costruita l’architettura dei social network, ciascuno di noi può immaginare di dire una cosa che tutti leggeranno (tutti si fa per dire: tutti quelli che stanno in rete e usano i social media, un fatto che in Italia taglia fuori quasi metà della popolazione).
Non sempre sono i messaggi più importanti ad avere successo. Anzi, spesso sono quellipiù scemi. O quelli più demagogici. Per tornare ai politici nostrani, uno dei “tweet memorabili” – si chiamano così su Klout - di questi ultimi 90 giorni è stato quello che Nichi Vendola ha mandato il 31 ottobre alle 10,31: «Assolto», diceva. E basta. Quel tweet ha coinvolto 714 persone che hanno deciso a loro volta di mandarlo alla rispettiva cerchia di persone con una effetto a catena considerevole. La notizia lo meritava in effetti, ma tra gli altri “tweet moments” spicca questo di Pierferdinando Casini: «Neri Marcorè è stato così bravo che mio figlio m’ha detto: Papà, perché vai in tv in vestaglia?». In 117 hanno reagito a questo inedito quadretto familiare. Quanto a Beppe Grillo, il suo magic moment, secondo Klout, è piuttosto datato e risale addirittura alle Olimpiadi di Londra, quando evidenziò il diverso costo, per la casse dello Stato, di una medaglia in Italia e una in Germania: “lo spread olimpico” ha coinvolto circa 350 persone, dalle quali probabilmente è ripartito con una dinamica molto simile a quella dei cerchi concentrici quando si tira un sasso in acqua.
In definitiva Klout non premia davvero chi è più influente nella vita reale, ma solo chi è più attivo, con successo, in rete. E nel caso dei politici premia di solito l’abilità degli staff che postano messaggi in nome e per conto del proprio leader di solito troppo impegnato a fare altro per occuparsi davvero del web. Non è uno scandalo: lo stesso profilo twitter di Obama è spesso ufficialmente utilizzato dallo staff, i tweet originali sono siglati “bo” (una pratica adottata pari pari dal presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti che si sigla “nz”). Il mondo non è Klout: se lo fosse Obama avrebbe battuto Romney 99 a 93, Matteo Renzi avrebbe sorpassato Pierluigi Bersani 74 a 73 ma perderebbe le primarie con Nichi Vendola, 82, il quale a sua volta dovrebbe lasciare che per palazzo Chigi corrano due sindaci con un super klout, Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris (pari merito a 83). Ma la vita e la politica, per fortuna, sono molto più ricche e complesse dei tre parametri inventati da un esperto di burritos messicani.