Armando Torno, Corriere della Sera 5/11/2012, 5 novembre 2012
Giuseppe Verdi scrisse migliaia di lettere. I destinatari erano librettisti (da Piave a Ghislanzoni ad Arrigo Boito), editori, cantanti, signore, impresari teatrali ma anche il personale di Sant’Agata
Giuseppe Verdi scrisse migliaia di lettere. I destinatari erano librettisti (da Piave a Ghislanzoni ad Arrigo Boito), editori, cantanti, signore, impresari teatrali ma anche il personale di Sant’Agata. In esse si leggono consigli gastronomici, richieste, indicazioni, soprattutto notizie sulle sue opere. Alcune non si conoscono. Per esempio, quelle con il soprano Teresa Stoltz sono chiuse nel caveau di una banca milanese e ne circolano pochi frammenti; quelle con la moglie, Giuseppina Strepponi, sono note solo in parte: si leggono alcune missive di lei a lui, ma non sono disponibili le parti del maestro. Dal 1978, allorché fu cominciata la pubblicazione del carteggio con Arrigo Boito, l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani ha avviato l’edizione critica, organizzandola per destinatari. Il lettore comune, che vorrebbe capire meglio le opere di Verdi, le sue idee politiche o il caratteraccio che ogni tanto manifestava, si trova di fronte — oltre alle specialistiche — a una serie di pubblicazioni irraggiungibili. Ora un’epistola finisce in una biografia, ora un inedito è pubblicato su una rivista di settore, ora si rimanda a libri che sono spariti dal commercio, reperibili soltanto in antiquariato. Questa lacuna, alle soglie dell’anno verdiano (il 2013 è il bicentenario della sua nascita), viene colmata da un’antologia ben concepita con 700 missive del compositore, raccolte in ordine cronologico: Giuseppe Verdi, Lettere (Einaudi pp. 1208, 90). Curato da Eduardo Rescigno, illustrato da Giuliano Della Casa, il libro è una vera e propria storia della sua vita, giacché ogni anno è preceduto da una sintesi biografica e vengono ricordati i principali eventi con cui il maestro ebbe rapporti. L’apparato di note chiarisce passi e circostanze. Per coloro che amano la musica di Verdi è una ghiotta occasione. Potranno leggere — 6 ottobre 1839 — che «le faccende della mia Opera vanno tuttora bene. I cantanti tutti sono contenti e le donne hanno le parti» (sta parlando di Oberto, che debutterà alla Scala il 17 novembre); oppure scopriranno che le prove per l’Ernani, con «prima» alla Fenice di Venezia il 9 marzo 1844, sono cominciate all’inizio di quel mese. E il 24 gennaio 1851 (il Rigoletto andrà in scena l’11 marzo) è indignato: «Caro Piave, ebbene? Devo venire a Venezia o restare a Busseto? Io non scherzo! Vedo che tu continui a prendere quest’affare molto leggermente ma io ti ripeto non scherzo e lo prendo molto sul serio! A me basta star qui giorno e notte a rompermi lo stomaco con questa maledetta opera, e non voglio venire a lottare colla Censura a Venezia». E, per aggiungere un esempio tra i mille possibili, il giorno del debutto di Falstaff (9 febbraio 1893) scrive a Camille Bellaigue in francese: «Io non so se avrò trovato la nota gaia, la nota giusta, e soprattutto sincera... Ahimé!». La trovò, certo. Ma Verdi dubitava. Sempre. Armando Torno