Simonetta Fiori, la Repubblica 5/11/2012, 5 novembre 2012
“Hai tempo per me?”, chiede l’uomo sfilandosi dal taschino una carta da gioco, un jack tagliato a metà
“Hai tempo per me?”, chiede l’uomo sfilandosi dal taschino una carta da gioco, un jack tagliato a metà. “Per te sempre”, risponde la donna, provvista dell’altra metà. Siamo a Francoforte, al numero 31 della Karl Marx Strasse. Non è un incontro galante un po’ retro né la scena di un film, ma una cerimonia che fino agli anni Ottanta del Novecento si è ripetuta infinite volte in un anonimo appartamentino nel cuore della città, una delle tante location della delazione quotidiana al servizio della Stasi. L’azienda “Origlia & Spia” del generale Mielke ne contava decine di migliaia per tutta la Germania dell’Est. Così come oltre mezzo milione erano gli “IM” (Inoffizielle Mitarbeiter), “collaboratori non ufficiali” reclutati in ogni angolo della società. E centinaia di migliaia i funzionarisoldati impiegati nella “Gestapo rossa”. E ancor più numerose le vittime del più grande e impenetrabile servizio di sicurezza che la storia abbia mai conosciuto. Una polizia segreta che ha operato per quattro decenni e non ha eguali nel mondo sia per densità (una spia ogni 59 persone, così nell’89) che per invasività nelle “vite degli altri”. La meticolosa mappatura di Gianluca Falanga ne Il ministero della paranoia (Carocci) sottrae lo splendido film di von Donnersmarck dal regno dell’invenzione per ricondurlo a un ruolo quasi documentale. «Anzi, quel film era anche troppo ottimista», dice Falanga, 35 anni, autore di saggi storici ( Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlino) e collaboratore del museo della Stasi allestito oggi a Berlino nelle stanze abitate un tempo dal famigerato Mielke. «Ci siamo tutti commossi dinanzi al pentimento del capitano della Stasi ne Le vite degli altri, ma tra gli anni Settanta e Ottanta i casi di ravvedimento sono stati pochi. Si trattava di una falange molto omogenea anche sul piano dell’ideologia». Nutrito dalla produzione storiografica tedesca più aggiornata e da originali ricerche d’archivio, Il ministero della paranoia è la prima monografia italiana su quella che è stata definita una sorta di «Auschwitz delle coscienze». Un Grande Fratello comunista che ha sconvolto l’esistenza di molti e con cui la Germania fatica a fare i conti. Il libro fa luce su molti episodi rimossi, e anche su fenomeni poco conosciuti come la vendita dei prigionieri politici attraverso il muro: tra il 1964 e il 1989 il governo federale ha acquistato la libertà di 33.755 detenuti, con odiosi preziari fissati in base all’età e alla professione. «Quello della Stasi è un problema ancora aperto», sostiene Falanga, che da oltre dieci anni vive a Berlino. «La maggior parte di ex ufficiali e collaboratori è caduta in piedi, gode di una buona pensione e ha conservato un’estesa rete di rapporti. E le vittime, cosa hanno avuto in cambio? Aspettano un risarcimento che tarda ad arrivare. E alle spalle si lasciano famiglie sfasciate e vite professionali spezzate». Lei ha potuto accedere alla documentazione? «È ormai aperto al pubblico quasi il 90 per cento di una mole impressionante di materiali: oltre 180 chilometri di carte, quasi tre milioni di foto e diapositive, e circa 5.000 videocassette, in sostanza l’immagine più efficace di un popolo sotto sorveglianza di un potere paranoico. Ma il problema è che molti nomi rimangono decrittati. Probabilmente si vogliono coprire ancora alcune vicende, specie quelle che coinvolgono la Germania occidentale, principale obiettivo nella lotta con l’Occidente». Gli storici la considerano un caso unico nel panorama dei servizi segreti. «Sì, ufficiali e informatori della Stasi formarono un esercito invisibile capace di manipolare, intimorire e reprimere un’intera collettività, oltre che di occupare la prima linea nella guerra fredda: i suoi tentacoli si spinsero fino all’ufficio del cancelliere Brandt, nel quartier generale della Nato e nelle stanze vaticane durante il pontificato di Wojtyla. E quel che gli archivi ci mostrano è spaventoso. Accreditandosi come leader di un paese aperto al mondo, Honecker aveva necessità di nascondere la violenza del regime. Da qui la sapiente pratica di un “terrorismo discreto”, affidato a una malvagità psicologica più che muscolare. Dagli anni Settanta in poi, non potendo far male con il carcere, si cercava di colpire i dissidenti in altro modo». Con la “decomposizione delle anime”, come la definì Jürgen Fuchs. «Arrivavano perfino a farne materia di insegnamento. Nell’accademia segreta riservata solo ai quadri - la JHS, una Scuola superiore di giurisprudenza - esisteva un corso di “psicologia operativa” che ti insegnava cosa fare per distruggere un sentimento di fiducia o un amore. E anche come sollecitare tensioni dentro un gruppo o condurre una persona a dubitare di sé e delle proprie idee». Colpisce che la Stasi avesse una sua propria università. «Sì, la seconda generazione di spie fu generalmente più istruita rispetto a quella dei padri, da cui in molti ereditarono il mestiere. Ma quella fornita dall’Università JHS non era una vera formazione culturale, piuttosto una serie di competenze tecniche declinate con modesto indottrinamento di tipo marxista-leninista. Con la sola eccezione della sezione addetta agli intellettuali. Alle spie degli scrittori si insegnava a parlare con proprietà, perché non venissero scoperte. Ma si trattava di pura retorica». Al ceto colto si attribuiva un ruolo fondamentale: fa riflettere che il numero più alto di IM, collaboratori non ufficiali, siano stati reclutati tra i maîtres-àpenser. «Sì, per invidia e rivalità, per convenienza o per fedeltà ideologica. I nomi più noti sono quelli di Hermann Kant, presidente del Pen tedesco, e dello scrittore Rudolf Fries, mentre diverso è il caso di Christa Wolf: le sue testimonianze non furono rilasciate volontariamente ma “estorte” a sua insaputa da falsi amici. La delazione più eclatante fu quella di Sascha Anderson, artista di punta della scena alternativa: in cambio di denaro e protezione contribuì all’arresto e all’espulsione di molti suoi compagni di lotta». La Stasi tentò di stroncare il cantautore dissidente Wolf Biermann. «Sì, fu una delle prime vittime delle misure di “decomposizione”, ossia della procedura di annientamento personale. Un piano in venti punti che farà scuola presso gli altri servizi segreti. Un esempio? Pubblicazione di articoli diffamatori sui giornali occidentali in cui lo si sospetta di essere spia della Stasi. Furto di manoscritti e cancellazione di nastri. Presenza di contestatori ai concerti. Continue avances di attraenti ragazze minorenni. Insomma, un inferno. Però Biermann riuscì a resistere». Andò peggio al calciatore Lutz Eigendorf, il “Beckenbauer della Ddr”. «La sua fuga, nel marzo del 1979, fu per la Stasi un affronto intollerabile. Mielke escogitò un piano diabolico, inducendo la moglie di Lutz a chiedere il divorzio, per poi farla sposare a un suo agente segreto. Intanto Eigendorf rimane un sorvegliato speciale. Nell’83 finirà schiantato contro un albero. Nel 2010 un suo amico ex collaboratore della Stasi ha dichiarato davanti al tribunale di Dusseldorf di essere stato incaricato dell’omicidio». Per molti tedeschi, dopo la caduta del Muro, il risveglio sarà molto doloroso. «Sì, è stato inevitabile rivedere in altra luce i fallimenti della propria vita: la moglie che ti lascia, il capufficio che ti annienta, il figlio che ti si rivolta contro. Dietro c’era l’artiglio di Mielke, una lama sottile che entra nell’intimo dei rapporti. Penso a Vera Lengsfeld, un’ambientalista che capeggiò la rivolta nell’89. Fu tra le prime ad accedere alla documentazione, nel gennaio del 1992: scoprì che il marito Knud Wollenberger era stato un IM della Stasi, e aveva fatto delazione proprio su Vera. Come lei, tanti altri: oggi le domande per visionare i documenti ammontano a oltre sei milioni e cinquecentomila». Una ferita aperta. Perché? «La Germania continua a fare i conti con il Novecento, le sue due tragiche dittature. La domanda che ricorre è: ma le vittime del comunismo sono eguali a quelle del nazismo? Finora non sono state onorate nello stesso modo. Probabilmente occorrerà del tempo, ma l’impressione è che sopravvivano moltissime resistenze ».