Tito Boeri, la Repubblica 5/11/2012, 5 novembre 2012
Sarà, molto probabilmente, la prossima legislatura a precisarne il contenuto e a vararli. Ci sono, certamente, ostacoli di natura politica che hanno rallentato il cammino delle riforme
Sarà, molto probabilmente, la prossima legislatura a precisarne il contenuto e a vararli. Ci sono, certamente, ostacoli di natura politica che hanno rallentato il cammino delle riforme. È stata, ad esempio, la lobby dei trasportatori a rendere acefala l’Autorità dei Trasporti, con il governo che ha ritirato la sua terna di nomine dopo la bocciatura del Parlamento, ma non ne ha proposto una alternativa. È anche difficile non pensare che il decreto sull’Imu per gli immobili della Chiesa non abbia trovato sul suo cammino opposizioni altolocate e ben rappresentate in Parlamento. Ma su altre materie il blocco sembra essere venuto proprio dalla cosiddetta struttura: paradossalmente il governo tecnico è stato spesso ostaggio della tecnocrazia, dei sottosegretari e delle alte dirigenze dei ministeri, alcune delle quali assurte a incarichi ministeriali. Episodi come la mancanza di dati su esodatiesodandi e poi la loro divulgazione senza informare il ministro competente oppure il wikileak televisivo sul taglio Irpef da parte di Gianfranco Polillo, sottosegretario del ministero dell’Economia, sono la misura di questo spazio indebitamente occupato da coloro che dovrebbero unicamente agire a supporto di chi risponde al giudizio degli elettori. È proprio qui che c’è il vero vulnus della democrazia: c’è in Italia una specie di “governo ombra” che non è mai all’opposizione, anzi che rimane perennemente nella stanza dei bottoni senza alcuna “accountability”. Alcuni di questi alti burocrati possono anche essere animati dalle migliori intenzioni, ma in una democrazia non ci possono essere capi di gabinetto o capi dell’ufficio legislativo a vita. Il loro permanere in posizioni apicali vita natural durante li porta, anche involontariamente, ad essere agenti di conservazione. Difendono il loro operato passato e hanno tutti gli incentivi ad opporsi ad una condivisione delle informazioni di cui dispongono e che hanno accumulato in tanti anni. È proprio l’essere depositari di queste informazioni ciò che conferisce loro potere di monopolio e li rende funzionari a vita. Il problema rischia di accentuarsi nella prossima legislatura. La frammentazione delle rappresentanze politiche, messa in luce dalle elezioni siciliane, è talmente forte che con questa legge elettorale o, peggio ancora, con la cosiddetta bozza Malan è molto difficile uscire dal voto con una maggioranza forte e coesa al suo interno. A quel punto a governare non sarà un nuovo governo tecnico, come paventato da alcuni, ma proprio loro, le tecnocrazie dei ministeri, la cui forza è proporzionale alla provvisorietà e incertezza dei referenti politici. Bisogna perciò porre dei limiti a questi incarichi, senza passare, come con la versione Bassanini dello spoils system, da un eccesso all’altro. Un ricambio eccessivo dei dirigenti, rischia di decapitare le burocrazie in momenti cruciali oppure può renderle succubi dei politici. Ci vorrebbe, invece, una soglia minima ed una massima per la durata di queste carriere. Quella minima serve a incentivare l’acquisizione di competenze specifiche e comportamenti all’altezza degli incarichi conferiti oltre che a impedire che il dirigente sia uno yes (wo)man pronto ad accontentare in tutto e per tutto chi decide del proprio futuro. Quella massima, che potrebbe essere fissata in un periodo di 5 anni a cavallo tra due legislature, impedisce che il burocrate si sostituisca al politico, sottraendosi al contempo al giudizio degli elettori. Devono cambiare anche le regole sulle carriere. Quelle apicali nella Pubblica amministrazione devono essere incompatibili con le carriere nella magistratura, non solo perché afferenti a poteri diversi, ma anche perché stravolgono i ruoli. Un capo dell’ufficio legislativo che è stato consigliere di Stato può diventare inamovibile perché garante del fatto che gli atti legislativi che passano al suo vaglio non verranno poi bocciati dal Consiglio di Stato (o dalla Corte dei conti). Non deve neanche più essere possibile avere un salario che prescinde dalla posizione che si occupa, come con il cosiddetto “galleggiamento” che garantisce agli alti dirigenti di non scendere mai al di sotto della retribuzione nell’incarico meglio retribuito, dunque anche quando destinati a mansioni meno onerose e responsabilizzanti. Il principio dovrebbe essere sempre quello della retribuzione legata al posto anziché alla persona. Importante, infine, istituire la figura dei dirigenti-specialisti oggi del tutto assente nella nostra Pubblica amministrazione, che devono avere competenze ben definite, in grado di essere immediatamente operativi. Oltre a colmare vuoti di competenze molto importanti nella Pa, questi requisiti renderebbero il processo di selezione più trasparente, migliorando il rapporto fra tecnocrati e politici. Coniato con gli incentivi al ricambio delle autovetture e poi applicato al nostro personale politico, il termine rottamazione non viene mai declinato con riferimento a un veicolo fondamentale come la nostra macchina dello Stato. Dopo il grande fumo sparso nella prima fase della legislatura, la riforma della Pa non ha mai trovato posto nell’agenda Monti, che ha significativamente proceduto alla nomina del ministro della Funzione Pubblica solo in un secondo momento. Eppure questo ricambio è fondamentale perché le riforme solo iniziate vengano portate a termine. Rappresenta anche la maggiore speranza per un rilancio del Mezzogiorno, vittima delle inefficienze e delle troppe posizioni di rendita create nella nostra amministrazione pubblica. Purtroppo non ci sono decreti, neanche disegni i leggi in vista. La riforma della Pa non è all’ordine del giorno di Consigli dei ministri, ma solo di seminari ristretti. A proposito, mi sarebbe piaciuto partecipare all’incontro ad alto livello organizzato dal nostro ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione lo scorso 29 ottobre. Peccato che il suo cortese invito, protocollato il 15 ottobre, mi sia arrivato tre giorni dopo la data dell’incontro.