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 2012  novembre 04 Domenica calendario

NON PREMIATEMI. SARTRE E’ ANCORA CHIC

Quanto è chic rifiutare un premio. Lo si può fare in polemica con i giurati, perché non ci si sente all’altezza o, come nel caso del Nobel a Sartre, per molte ragioni tra le quali la preferenza verso il blocco dell’Est piuttosto che l’Ovest ma, in ogni caso, il no assicura attenzione, talvolta stima e notorietà quanto il sì. «Verso un fronte del rifiuto dei premi letterari?», si chiede nel suo blog il critico di «Le Monde» Pierre Assouline, che questo mercoledì assieme ad altri nove giurati (tra i quali Bernard Pivot, Régis Debray e Patrick Rambaud) sceglierà il vincitore del Goncourt, la più importante delle onorificenze letterarie francesi.
Ciascuno dei quattro finalisti del Goncourt 2012 — Patrick Deville, Joël Dicker, Jérôme Ferrari e Linda Lê — dovrebbe accettare, secondo le previsioni, i simbolici 10 euro e soprattutto le circa 400 mila copie di vendita assicurata che di solito ne conseguono. Diversa è stata la scelta dello spagnolo Javier Marías, che dieci giorni fa ha evocato un suo generale distacco dal mondo istituzionale per declinare il Premio Nacional de Narrativa del governo di Madrid: «Non è una posizione di disprezzo. Per molti anni non ho accettato alcun invito dall’Istituto Cervantes, dal ministero della Cultura, dalle università pubbliche o anche dalla tv spagnola. Sono davvero dispiaciuto, non posso accettare quello che per altri sarebbe stata solo una gioia».
Lawrence Ferlinghetti, poeta e editore della beat generation, l’11 ottobre è stato più preciso. A 93 anni ha trovato la forza di respingere l’appena creato Prix Janus Pannonius del Pen Club ungherese — 50 mila euro — perché buona parte della somma era fornita dal governo di Viktor Orbán, denunciato da Ferlinghetti come «un regime di destra che conduce politiche autoritarie e importanti attacchi alla libertà di espressione e alle libertà civili».
Anche Juan Goytisolo rifiutò sdegnato un premio, nel 2009: stimava molto il romanziere libico Ibrahim al Koni membro della giuria del Premio internazionale della letteratura, ma detestava altrettanto il dittatore Muhammar Gheddafi che forniva i 150 mila euro. Il gesto di Goytisolo fu coraggioso anche perché controcorrente: erano i giorni in cui Gheddafi veniva accolto con tutti gli onori e piantava la sua tenda a Roma e Parigi, mentre Londra liberava il terrorista libico responsabile dell’attentato di Lockerbie. «Se si sostiene chi, tra gli arabi, lotta contro la corruzione delle élite, le dittature, le dinastie teocratiche e le farse elettorali, poi non si può salire su un podio sotto gli applausi e stringere la mano di Gheddafi», spiegò Goytisolo quando ancora le primavere arabe non erano cominciate.
Quelli di Ferlinghetti e Goytisolo sono rifiuti molto ben motivati. Non sembra immune da un cedimento al vezzo invece il campione del gran rifiuto, Jean-Paul Sartre, che nel 1964 disse no al premio Nobel per la letteratura. Va detto che Sartre cercò in tutti i modi di non farselo attribuire, quel Nobel, arrivando a rivolgersi al segretario prima ancora della assegnazione. «Secondo alcune informazioni in mio possesso quest’anno avrei qualche possibilità di ottenere il premio Nobel — scrisse Sartre —. Vorrei garantirle, prima di tutto, signor segretario, la mia profonda stima per l’accademia svedese. Tuttavia desidero non figurare nella lista dei premiati possibili». Un conto è non accettare un premio dalle mani di un governo discutibile o di un dittatore, un altro è proclamare tutta la propria ammirazione verso i giurati, e poi dire no.
L’accademia svedese non lesse neanche la sua lettera e provò comunque a incoronare il grande scrittore e filosofo, quell’anno autore di Le parole. A dargli la notizia fu François de Closets, giovane praticante all’Agence France Presse. «Il 25 ottobre 1964 ero in redazione, alle 13 arrivò il dispaccio di due righe con l’annuncio e il caporedattore mi disse "prova a rintracciarlo, sbrigati, il mondo vuole sapere se alla fine accetta o no" — racconta de Closets —. Al telefono Sartre non rispondeva da giorni, io salii sul mio scooter e andai a cercarlo tra le brasserie di Montparnasse. Alla Coupole non c’era, al Select neanche, diedi una mancia, mi dissero "prova all’Oriental", e infatti lì lo trovai: stava pranzando con Simone de Beauvoir. Non osavo interromperli, aspettai che finissero e poi mi feci avanti. "Signor Sartre, l’accademia svedese l’ha appena insignita del premio Nobel. Vorrei sapere se lei lo accetta o no". E Sartre rispose con il celebre "Je le refuse"». Perché non voleva «lasciarsi trasformare in un’istituzione», spiegò poi Sartre, e perché «non posso accettare alcun premio dalle alte istanze culturali dei due blocchi, dell’Ovest e dell’Est, anche se tutte le mie simpatie vanno al blocco dell’Est. Fossi stato premiato ai tempi del Manifesto dei 121 per l’Algeria, avrei accettato».
Sartre era stato preceduto nel 1951 da un altro gran rifiuto, quello di Julien Gracq, che pregò i giurati del Goncourt di non premiarlo per La riva delle Sirti, dopo che in La letteratura senza vergogna si era scagliato contro il mondo dell’editoria e dei premi letterari. L’Accademia Goncourt rispose seccamente: «Non ci si può candidare al premio. Non ci si può, quindi, neanche non candidare. Incoroneremo l’autore del libro che sceglieremo secondo le prescrizioni del testamento di Edmond de Goncourt e senza altre considerazioni». E infatti Gracq fu, suo malgrado, il Goncourt 1951.
L’anno scorso, in Gran Bretagna, ha provato a defilarsi John le Carré, chiedendo — invano — di essere depennato dai 13 finalisti del Booker Prize. «Sono lusingato ma per principio non partecipo ai premi letterari», ha spiegato le Carré, mantenuto comunque nella lista. Il Booker è andato poi a Philip Roth (già premio Pulitzer), che ha accettato con gioia risultando meno schizzinoso. Forse anche per questo il Nobel, a lui che lo vorrebbe, non lo hanno ancora dato.
Stefano Montefiori