Lorenzo Salvia, la Lettura (Corriere della Sera) 04/11/2012, 4 novembre 2012
IL PROF NON E’ RAIN MAN
«Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena». La frase è celebre, anche un po’ usurata. Modernissima quando la scrisse Michel de Montaigne verso la fine del Cinquecento, epoca in cui essere eruditi era ancora un valore assoluto. Addirittura scontata ai giorni nostri, quando una memoria formidabile può essere sostituita (non sempre, per carità) da Google, che ci segue ovunque insieme al telefonino che abbiamo in tasca. Più che accumulare nozioni quello che conta è saper ragionare, saper apprendere. Difficile non essere d’accordo. E con il passare degli anni, anche al di là delle intenzioni del suo autore, quella frase è diventata uno slogan, un manifesto, in molti casi un vero e proprio programma scolastico. Il saper ragionare prima del sapere punto e basta, un patrimonio comune filtrato poi dagli insegnamenti di don Milani, di Gianni Rodari e anche da una serie di degenerazioni che hanno portato i nostri ragazzi a non saper più se davanti alla a si mette la lettera acca. Eppure. Quello che vale per gli studenti vale anche per i loro insegnanti?
Dopo quasi quindici anni di paralisi, avremo finalmente un concorso per selezionare maestri e professori. Una scelta coraggiosa, quella del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, che ha dovuto vincere le resistenze di chi voleva continuare ad assumere solo dalle liste dei precari. Il concorsone porterà in cattedra i giovani, anche se è vero fino a un certo punto perché con le regole scelte per il bando sarà difficile avere vincitori al di sotto dei 35 anni. Bene, comunque. Ma come prima cosa gli aspiranti insegnanti saranno tentati di fare proprio quello che Montaigne considerava un orrore. Riempirsi la testa, più che tenerla sgombra e allenarla per ragionare bene.
Il primo gradino del concorsone sarà quello dei test preselettivi. Poi ci saranno le prove scritte, gli orali e anche la lezione simulata. Chi non supera la preselezione, però, sarà subito fuori. I test non riguarderanno le materie di insegnamento ma misureranno le capacità logico-deduttive. Verso la fine di novembre il ministero pubblicherà un elenco di 3.500 domande «multiple choice», con più risposte a disposizione e la casella giusta da barrare. Da quel listone saranno sorteggiati 50 quesiti per ogni candidato, operazione da fare lo stesso giorno della prova, in programma verso la metà di dicembre. Una procedura non nuova, versione tecnologica di quella usata nell’ultimo concorso per i presidi, due anni fa. Ma con un buco disegnato dalle due possibilità che i candidati avranno in quei venti giorni: potranno esercitarsi sul listone del ministero, e quindi allenare una testa ben fatta; oppure mandare a memoria il maggior numero possibile di domande, e quindi avere una testa ben piena. Rain man non avrebbe dubbi: lui sapeva ripetere a memoria un libro dopo averlo letto una sola volta, il listone ministeriale sarebbe un giochino. E bisogna ricordare che quella portata al cinema da Dustin Hoffman era una storia vera. Ma per tutti gli altri che cosa succederà? E, soprattutto, che tipo di insegnanti seleziona una prova del genere?
Prima di dare una risposta sono necessarie due avvertenze. Nel migliore dei mondi possibili sarebbe bello dedicare una giornata intera a ogni candidato. Ma sono i numeri a dire che non si può: per 11.542 posti vengono stimate 200 mila domande, le iscrizioni scadono il 7 novembre. Anche al ministero i test preselettivi sono considerati un male necessario. Seconda avvertenza, dedicata agli aspiranti Rain man. Il giorno della prova ogni candidato avrà davanti lo stesso schema: 7 domande di informatica, 7 di lingua straniera, 18 di comprensione del testo e 18 di logica. Cinquanta quesiti in cinquanta minuti. Ma rispetto al listone delle «multiple choice» pubblicato a novembre, l’ordine delle risposte potrebbe cambiare. Per ogni quesito la risposta A diventerà ad esempio B, la D diventerà C e così via. Più che riempirsi la testa, dunque, conviene allenarla. Anche con i tanti libri e quiz online già disponibili da settimane con un discreto grado di approssimazione all’esame reale. Resta l’interrogativo di fondo, però. «Individuare la parola da scartare: raso, tapelo, alida, ofragano». La risposta giusta è tapelo, gli altri sono tutti anagrammi di nomi di fiori. Davvero non c’è altro modo per trovare gli insegnanti più bravi?
«Visto il numero dei candidati — dice Benedetto Vertecchi, professore di Pedagogia all’Università di Roma Tre — la prima scrematura non può essere fatta che con i test. Ma dipende da che tipo di test». Il professore usa da vent’anni questo strumento nei suoi corsi e indica un possibile modello alternativo, i quiz progressivi: «Si parte da una domanda banale, si continua con una meno banale e così via aumentando il grado di difficoltà. In ogni caso, prima di essere usati, i test vanno provati sul campo. Altrimenti si rischiano gravi distorsioni». Un esempio? «Anni fa, in un quesito per ragazzini, usai la parola pesca: chi veniva da una città di mare pensò alla pesca con la canna e le reti, chi veniva da altre zone pensò invece al frutto. Sembra stupido ma non lo è». Sì ai test, ma non fatti così, anche da Giorgio Israel, professore del dipartimento di Matematica alla Sapienza di Roma, che sul tema si è più volte pronunciato: «I quesiti sulla comprensione del testo trasformano le persone in imbecilli. Non siamo all’esame per la patente dove serve un comportamento standard. In ogni brano ci sono almeno dieci sfumature diverse, è assurdo ridurle a quattro caselle da barrare». Non solo: «Spesso le persone più capaci in una prova del genere risultano le peggiori. Chi esita davanti alle ambiguità ha più sfumature di giudizio e può essere un insegnante migliore». Niente quiz, dunque? «Sì, ma fatti sulle regole base delle materie fondamentali. Oggi abbiamo laureati che non sanno fare una divisione o se mettere l’accento sulla e. È questa l’emergenza della nostra scuola».
Chi invece boccia i test alla radice è Giuseppe Bertagna, professore di Pedagogia all’Università di Bergamo: «Sono diseducativi, introducono il concetto di lotteria in un mondo dove dovrebbe valere la competenza». D’accordo, ma con quei numeri non è una scelta ineluttabile? «Di ineluttabile c’è solo il futuro, questa è solo una decimazione pensata per risolvere un problema di ordine pubblico». Secondo lui, la soluzione ci sarebbe: «Gli insegnanti dovrebbero essere selezionati non con un unico concorso nazionale, ma da gruppi di scuole. Così divisi, i candidati sarebbero meno numerosi e ci sarebbe tutto il tempo di valutarli in modo serio, senza lotterie». Un sistema adottato in altri Paesi, che potrebbe funzionare bene nelle situazioni sane, forse meno bene in altri casi. E che scardinerebbe i due colossi nazionali, burocrazia ministeriale e sindacato, che oggi regolano la partita. Nemmeno il governo dei professori ha osato tanto.
Lorenzo Salvia