Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 04/11/2012, 4 novembre 2012
UNICREDIT – INTESA E LA LEZIONE DI DRAGHI
Le fondazioni bancarie stanno soppesando i pro e i contro di un’aggregazione Unicredit-Intesa Sanpaolo quale difesa preventiva contro assalti estero-vestiti al sistema bancario nazionale. Al canovaccio, su incarico informale di Giuseppe Guzzetti, starebbe lavorando il banchiere Claudio Costamagna, peraltro in freddo con alcuni esponenti di Unicredit. Il Corriere ne ha dato notizia e subito si è scatenata la discussione su quattro questioni di potere.
1) La somma dei due gruppi ammazzerebbe la concorrenza. Giusto. Ma cedendo subito il ramo italiano di Unicredit, l’Antitrust sarebbe soddisfatta. In tal modo, per di più, si farebbe cassa, rafforzando i ratios patrimoniali di una banca sistemica; si eviterebbero tagli occupazionali oltre a quelli comunque indotti dalle nuove tecnologie, soprattutto se chi compra non possiede una rete in Italia; si limiterebbe la sempre ardua fusione di diverse culture aziendali, perché, alla fine, si avrebbe soltanto l’aggiunta della rete estera di Unicredit (il vero bene da proteggere in un Paese povero di multinazionali) a quella italiana di Intesa.
2) I fondatori, in realtà, vogliono salvare le poltrone da arabi e russi o, per dire, da Deutsche Bank. Probabile. Del resto, alle poltrone sono avvinti come l’edera pure i banchieri, che non sono migliori. Le fondazioni, spesso già criticabili, sono a rischio di peggioramento quando alcuni saggi lasceranno per limiti di età. Ma i principi arabi e gli oligarchi russi sono comunque peggio. E le banche estere vanno scrutinate senza complessi: molte nascondono guai, Grande Crisi docet. Il loro ingresso non va bloccato a priori, ma governato e contrattato da Paese a Paese ben sapendo che da questo fronte passa una quota di sovranità nazionale.
3) Si teme la concentrazione di potere grazie alle partecipazioni a cascata in Mediobanca, Generali, Telecom, Rcs e altre minori. Ma questa filiera, che ha in Mediobanca lo snodo principale, esiste già oggi e fa capo a Unicredit. Con l’aggregazione, il ruolo di Unicredit verrebbe spalmato anche sulle teste di Intesa, diminuendo la concentrazione a parità di pacchetto azionario. E nel momento in cui Mediobanca allentasse la presa su Generali, già assai inferiore rispetto ai tempi di Cuccia e Maranghi, la filiera tenderebbe a decadere. 4) Operazioni di tal fatta, si dice, sono frutto del dirigismo di soggetti, le fondazioni, in qualche modo legati alla politica e non del mercato. È vero, ancorché le fondazioni abbiano rifiutato ovunque possibile i Tremonti bond, mentre tante banche estere accettavano aiuti di Stato. Ora, il mercato non è un dogma. Ottimo per Luxottica, già meno per l’auto, il mercato deregolato ha miseramente fallito con le banche. O la Lehman l’abbiamo già dimenticata? La soluzione più seria e meno costosa sarebbe una moratoria delle acquisizioni ostili cross border per alcuni anni. Ma ha il governo Monti la cultura e la forza per imporre un simile codicillo alla nascente Unione bancaria europea? A mercati aperti, la strada delle fusioni a tutela della proprietà nazionale è quella che la Banca d’Italia indicò tra il 2006 e il 2007. Era governatore Mario Draghi, non Lenin.
Massimo Mucchetti