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 2012  novembre 04 Domenica calendario

IL CHURCHILL EUROPEO DEL DISCORSO DI ZURIGO

Winston Churchill era convinto della necessità dell’Unione europea e prese diverse iniziative, al di fuori del governo perché non ne faceva più parte, per giungere a una soluzione che impedisse il ripetersi di guerre fra Stati europei. Le chiedo di sapere qualcosa di più sulla vocazione europeista di quel Grande e se egli possa essere annoverato fra i padri dell’Unione. In particolare desidererei sapere che accoglienza ebbero le sue iniziative fra i compatrioti, notoriamente avversi al formarsi di una qualsiasi unione degli Stati del continente.
Antonio Giordano
giordanoantonio@virgilio.it
Caro Giordano, le parole più belle di Churchill sull’Europa sono quelle che pronunciò all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946. Aveva ceduto il governo al laburista Clement Attlee poco più di un anno prima, dopo la sconfitta elettorale dell’agosto 1945, ma non aveva certo perduto l’aureola del grande statista che aveva raccolto la discussa eredità di Chamberlain in uno dei più gravi momenti della storia del suo Paese e aveva guidato la Gran Bretagna alla vittoria. Il suo discorso di Zurigo non fu quindi politico, ma profetico, nel grande stile letterario di uno scrittore che avrebbe ricevuto nel 1953 il premio Nobel della letteratura. Quando salì sul podio per pronunciare le sue parole, l’Europa era ancora distrutta dalla guerra, avvilita e impaurita dal ricordi degli orrori trascorsi, disperatamente silenziosa ma assordata dalle voci discordanti dei vincitori. Churchill ricordò le sue glorie e i suoi meriti, la genialità dei suoi artisti e dei suoi scienziati, la sua eredità cristiana.
Per seppellire il passato e restituire all’Europa un ruolo mondiale occorrevano anzitutto una solenne riconciliazione tra Francia e Germania e la creazione di quello che Churchill definì un «Consiglio d’Europa». Ricordò i progetti unitari, dopo la Grande guerra, del conte Koudenhove Kalergi e del ministro degli Esteri francese Aristide Briand, parlò esplicitamente di «Stati Uniti d’Europa». Ma fu attento a evitare fraintendimenti. La Gran Bretagna aveva già il suo Commonwealth e avrebbe incoraggiato l’iniziativa (insieme agli Stati Uniti e, possibilmente, l’Unione Sovietica) soltanto nella veste di sponsor. Per Churchill la Gran Bretagna non era soltanto europea. Era il punto d’incontro fra tre cerchi concentrici: l’Europa, l’America e il Commonwealth. Fu questa la ragione per cui il suo ultimo governo, dopo la vittoria elettorale del 1951, non accettò mai di partecipare alle due principali iniziative europee della prima metà degli anni Cinquanta: la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e la Ced (Comunità europea di difesa).
Molte cose sono cambiate, ma non credo che i conservatori d’oggi abbiano rinunciato al sogno di un ruolo speciale della Gran Bretagna nel mondo. Negli ultimi giorni il premier David Cameron è stato l’ultimo, fra i leader dei maggiori Paesi dell’Ue, a compiacersi del Nobel per la pace conferito all’Unione dai giurati di Oslo. Quando si è risolto a farlo si è affrettato ad aggiungere che i meriti attribuiti all’Europa erano anche della Nato. Churchill sarebbe stato più elegante, ma il punto di vista britannico rimane sostanzialmente lo stesso.
Sergio Romano