Dario Di Vico, Corriere della Sera 04/11/2012, 4 novembre 2012
INDOSSARE IL VELO E VOLARE A DUBAI. IL SOGNO DI TRECENTO HOSTESS LOMBARDE
«Good morning, Milano». Francesca, una manager di origine italiana, saluta così i 300 giovani che affollano la sala Pegasus dell’hotel Sheraton, attaccato all’aeroporto della Malpensa. La Emirates, una delle compagnie aeree considerata al top mondiale, recluta assistenti di volo italiani che andranno a lavorare a Dubai. Il richiamo dell’impiego arabo è stato così forte che gli inservienti dell’albergo hanno dovuto aggiungere un altro centinaio di sedie. Per due terzi i presenti sono giovani donne tra i 21 e i 30 anni, vestono un tailleurino nero con camicetta bianca e tacco di altezza variabile. Vengono per lo più dalla Lombardia e dalle regioni limitrofe e sono le figlie del ceto medio padano. I trecento ascoltano quello che raccontano Francesca e la collega slovacca Jana, non vola una mosca, guardano una lunga sfilza di filmati che illustrano le meraviglie della «21st Century City». Sullo schermo passano aeroporti, grattacieli, sceicchi, tappeti, campi da golf, spiagge, campi da tennis sospesi nel vuoto e ancora sceicchi. Dubai appare un piccolo paradiso in terra, dove «si vive in armonia», si innova e soprattutto «si inventa il futuro». Quando tocca ai ragazzi far domande sembra quasi che siano stati già assunti. Si informano sugli usi e costumi arabi, sulle ferie, sugli orari di lavoro, sulla sistemazione alberghiera, sul Ramadan, la possibilità di truccarsi e persino sul permesso o meno di portare tatuaggi che si vedano. («No, è assolutamente vietato» risponde Francesca).
La Emirates ha deciso di assumere entro quest’anno 4 mila cabin crew, personale di volo. Li cerca in tutto il mondo e in Italia farà altre sedute di reclutamento a Roma, Bolzano e Palermo. Non si sa alla fine quanti italiani saranno assunti («dipende dalla qualità dei candidati» fanno sapere) ma siccome la compagnia punta a ingrandirsi da noi c’è un discreto interesse ad avere in cabina hostess e steward che, oltre a un perfetto inglese, conoscano pure l’idioma di Dante. A ciascuno di loro la compagnia offre 2 mila euro al mese tax free, alloggio gratis e tutta una serie di benefit. Si vola tanto, tra le 80 e le 100 ore settimanali, si può sfruttare qualche destinazione italiana per prendersi una piccola sosta in famiglia ma secondo i calcoli dei ragazzi più esperti, quelli che hanno giù lavorato come assistenti di volo, un italiano potrebbe riuscire a mettere da parte più di mille euro al mese senza dover fare nessun tipo di rinuncia.
Emirates chiede ai nuovi dipendenti un impegno di tre anni e i primi sei mesi se ne vanno in addestramento a Dubai senza stipendio. Ai ragazzi viene distribuito un foglio che assomiglia a un contratto di lavoro, due pagine fitte fitte che illustrano tutte le regole d’ingaggio dall’assicurazione sulla vita alla perfetta salute dei denti. Nella metropoli araba i nuovi assunti vivranno in appartamenti in comune ma nessuna speranza di creare delle Little Italy perché la cultura di Emirates è quella di essere una «cosmopolitan society» e quindi si mischiano intenzionalmente nazionalità ed etnie. I ragazzi ascoltano in religioso silenzio Francesca, la seduta di reclutamento dura quasi quattro ore, qualche fidanzato che ha accompagnato la sua bella sta sulle spine sperando che lei molli e resti con lui a Brescia, gli steward rimasti senza lavoro per il flop di Blu e Windjet sono i più disincantati ma la stragrande maggioranza non mette nemmeno in dubbio di poter andare a vivere in Medio Oriente. Maria Francesca viene da Piacenza, ha 26 anni e lavora in una multinazionale ma «mi piace viaggiare e la vita negli Emirati non mi mette paura». Chiara è una varesina, anche lei ventiseienne, è laureata e fa la mediatrice culturale ma vuole fortissimamente «prendere la strada di Dubai per iniziare una nuova carriera lavorativa». Paola, 31 anni, fa la cameriera a Lecco e si dichiara «esterofila» perché «l’Italia è triste, sappiamo quello che offre e soprattutto quello che non offre». Sa che negli Emirati «dovrà adattarsi» ma trova la divisa delle hostess «bellissima ed elegante». In sala, infatti, c’è una vera assistente di volo della compagnia con il suo completo beige, il cappellino rosso e il discreto hijab che copre il capo delle donne. Le ragazze la guardano e si specchiano in lei. Martina, milanese, che ha già lavorato in Alitalia, è convintissima anche perché la compagnia araba «è la migliore» e comunque «non avrei dubbi a vivere a Dubai». Gli uomini sono più conservatori, il lavoro in Medio Oriente per loro sa meno di avventura e poesia, ne fanno una questione (prosaica) di buona paga e di curriculum rinforzato e sanno che comunque non resteranno più di tre anni lontani dall’Italia. «Emirates è la compagnia più attrezzata nel reclutamento perché ha un forte ricambio del personale» spiegano da esperti del ramo. Alex viene da Lodi e giudica «le regole d’ingaggio vantaggiose» ma avvisa tutti che «bisogna avere lo spirito giusto per andare a Dubai, sennò sbagli». Lo stesso spirito che anima Antonio, un lecchese che lavora «in un punto vendita carburanti», ha 27 anni e ha viaggiato molto per cui «trasferirsi non è un problema, meglio vivere all’estero per le opportunità che ci sono e anche per gli stili di vita diversi».
Ps. Ieri i 300 candidati hanno tenuto il telefonino acceso fino a tarda sera. Solo chi ha ricevuto una chiamata da Francesca e Jana sa di aver superato il primo test ed è tornato allo Sheraton questa mattina.
Dario Di Vico