Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 04/11/2012, 4 novembre 2012
IL PASTICCIO DELLE BUONE INTENZIONI
Stessi confini, stessi abitanti, stesse montagne, stessi problemi: che senso ha sovrapporre col copia-incolla la Regione Molise e la neoprovincia di Campobasso-Isernia?
È lì che vedi i limiti della riduzione delle Province. Che rischia di essere un pasticcio mancando l’obiettivo primo: il taglio degli enti intermedi che rendono obesa e lentissima la nostra burocrazia. Sbuffare contro le «rivolte campanilistiche» non porta da nessuna parte. Tutto si può dire tranne che siano una sorpresa.
Sappiamo benissimo che sono passati sette secoli e mezzo dalla battaglia di Montaperti («‘l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso», scrisse Dante) e da quando un cronista senese raccontò la ferocia con cui i concittadini affrontarono i fiorentini: «Invano invocavano essi san Zanobi in loro aiuto. Noi li macellammo come un beccaio macella le bestie nel venerdì Santo». Ma se ancora oggi i tifosi del Siena, al derby con la Fiorentina, stendono striscioni con scritto «a Montaperti c’eravamo anche noi», vale la pena di sorriderne però anche di tenerne conto.
Tanto più in tempi come questi in cui i cittadini faticano a riconoscersi nelle istituzioni come «loro». E questo non ovunque è stato fatto. Sollevando inutili tensioni alle quali sono saltati in groppa questo o quel satrapo di periferia, decisi a cavalcare il tema non tanto in difesa dell’«ente provinciale» in quanto tale (fosse stato salvato il loro e non l’altrui potete scommettere che se ne sarebbero stati zitti e quieti) quanto il loro orti elettorali.
A Matera, il giorno dei morti, hanno affisso un manifesto listato a lutto: «Condanna a morte del territorio della provincia di Matera. Ne danno il triste annuncio i suoi figli e nipoti e i cittadini attivi, i sindaci, i presidenti provinciali tutti che nel corso della sua onorata esistenza in vita hanno ricoperto tale ruolo. La soppressione fisica, salvo grazia, sarà prossimamente eseguita alla presenza di una distratta e miope classe politica e di quei cittadini rassegnati a subire l’indegna spoliazione delle identità storica, culturale ed umana della provincia di Matera. Si dispensano postume e ipocrite espressioni di solidarietà».
Che basti sopprimere l’ente provinciale per «condannare a morte» un territorio è ridicolo. Le province hanno di fatto tre competenze vere: le strade provinciali, gli edifici degli istituti superiori (a volte in coabitazione con le medie di competenza comunale: e i conflitti non si contano), la scelta dei siti per le discariche, e si è visto in Campania come ognuna badi al proprio esclusivo interesse. E come spiega Gianfranco Fabi nella prefazione a «L’abolizione delle Province», a cura di Silvio Boccalatte, «abolire il livello politico elettivo della Provincia non vorrebbe certo dire che dal giorno successivo nessuno si occupi più di scuole, strade, tutela dell’ambiente, promozione del turismo e ripopolamento dei laghi di montagna». Le competenze verrebbero spartite un po’ alle Regioni e un po’ ai Comuni. Fine. E strillare come fa il sindaco di Andria Nicola Giorgino che l’abolizione della «Bat», la provincia di Barletta, Andria e Trani danneggerà «le fasce più deboli della popolazione, cui devono essere garantiti i servizi essenziali» è propaganda per la bottega elettorale.
L’estendersi delle proteste, destinate a ripercuotersi alle Camere appena il progetto arriverà in Parlamento, rischia però di mettere a rischio non solo questo o quell’accorpamento ma lo stesso riordino complessivo. A dispetto del fatto che, sulla carta, abbiano via via detto di essere d’accordo (tranne la Lega) un po’ tutti. Compresi storici avversari come Antonio Di Pietro o Silvio Berlusconi, Anna Finocchiaro o Fabrizio Cicchitto.
Il guaio è che per imporre un taglio selettivo, «tu sì e tu no», occorrerebbe un consenso forte e largo che il governo Monti, coi partiti sempre più in fibrillazione come si è visto dai rovesci di venerdì, probabilmente non ha. E quanti puntano a far saltare tutto possono trovare appigli in un mucchio di contraddizioni. Cosa significa, come ha spiegato Anna Maria Cancellieri, che Sondrio e Belluno sono state salvate anche se fuori dai parametri perché «per quelle due popolazioni, scendere ogni volta a valle per recarsi in un ufficio pubblico sarebbe stato un problema» soprattutto con la neve? Se quello fosse il criterio, cosa dovrebbe dire la gente di Santa Teresa di Gallura che per raggiungere Sassari impiega in condizioni normali un paio d’ore?
La contraddizione più accecante, però, è quella sulla sovrapposizione tra le province accorpate di Perugia e di Terni, di Potenza e di Matera, di Campobasso e di Isernia che si adageranno nelle rispettive regioni dell’Umbria, della Basilicata e del Molise come un fagiolo nel baccello. Cosa succederà, ad esempio, nelle conferenze dei servizi che dovrebbero servire a sveltire gli iter burocratici? Ci saranno sia la regione sia la provincia pur rappresentando lo stesso territorio, la stessa popolazione, le stesse problematiche? E daranno un parere a testa? Coincidenti o diversi? Quando nacque la regione autonoma della Val d’Aosta la provincia preesistente venne soppressa e non passò per la testa a nessuno di tenersi tutte e due gli enti: perché dovrebbero ora sopravvivere quei doppioni?
Una delle due: o le province sono indispensabili e allora chi lo pensa deve avere il coraggio di lasciarle dove stanno oppure (come noi crediamo) sono inutili e allora vanno soppresse tutte, con la creazione dove servono delle città metropolitane, il subentro di uffici decentrati regionali e lo smistamento delle competenze. Una scelta difficile? Sicuramente meno che spiegare ai pisani e ai livornesi perché una delle due città deve essere preferita all’altra.
«Così com’è è una cosa da pazzi. Un mostriciattolo», sospira Augusto Barbera, il costituzionalista che da anni denuncia l’inutilità di tanti enti soprapposti, «Era meglio la prima idea di Monti, quella di abolirle tutte senza andarsi a impantanare nelle beghe delle gelosie locali. A questo punto, comunque, c’è da sperare che il progetto vada in porto perché rischiamo davvero che salti tutto un’altra volta. Col risultato che ne riparleremmo chissà quando». Cose già viste. Basti ricordare quando lo stesso Barbera venne invitato a ritirare la proposta di abolire le province presentata alla commissione bicamerale presieduta da Nilde Jotti. L’argomento, gli spiegarono, «è di grande interesse ma merita una riflessione ulteriore». Era il 19 ottobre 1993. Rifletti oggi e rifletti domani, son passati due decenni...
Gian Antonio Stella