VARIE 3/11/2012, 3 novembre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA
NEW YORK - E’ in testa di 6 punti in Ohio e di 2 in Florida. Il presidente Barack Obama in Ohio è al 51% contro il 45% di Mitt Romney, mentre in Florida è al 49% e lo sfidante al 47%. Se il presidente vincesse in Ohio, che vale 18 grandi elettori, e in Florida, 29, si assicurerebbe di fatto la vittoria, sfondando la soglia necessaria dei 270 grandi elettori. Ma la battaglia tra i due candidati è serratissima. E i sondaggi si spostano su percentuali altalenanti. Secondo Tampa Bay Times-Miami Herald, Romney è in vantaggio su Obama in Florida, con il 51% delle preferenze contro il 45% di Obama. Mentre per Rasmussen a livello federale il loro è un testa a testa, con una parità al 48%. Per Ipsos, il presidente americano è in vantaggio sul candidato repubblicano di un solo punto: 47% a 46% tra i probabili elettori.
VIDEO 1
Tre giorni al voto. Nove Stati. La battaglia tra Barack Obama e il rivale Mitt Romney è al traguardo finale e le campagne politiche accelerano. Romney è passato all’attacco, criticando Obama per aver esortato gli americani, ieri in Ohio, a votare per "rivincita". "Barack Obama aveva fatto molte promesse quando ha assunto l’incarico e non le ha mantenute", ha detto in New Hampshire davanti a un migliaio di sostenitori. "Il New Hampshire mi ha dato la nomination repubblicana e il New Hamspire mi darà la Casa Bianca". Ma per il presidente adesso è Sandy la priorità, e quello l’uragano da cavalcare.
"La tempesta è passata, ma la ripresa sarà una strada lunga e difficile. C’è molto lavoro da fare, e dobbiamo farlo insieme", scrive Obama sul sito della Casa Bianca. Il disastro dell’uragano Sandy torna nel tradizionale messaggio del fine settimana alle famiglie americane, l’ultimo prima delle elezioni presidenziali di martedì 6 novembre.
"Come presidente - dice Obama riferendosi alle popolazioni colpite - vi prometto che il Paese sarà con voi per tutto il tempo che servirà per la ripresa e per la ricostruzione". Poi sottolinea come di fronte alla devastazione causata dal passaggio dell’uragano sulla costa orientale degli Stati Uniti il governo si trovi ad affrontare l’emergenza di "una delle tempeste peggiori della storia del Paese". Rassicura quindi i milioni di americani colpiti che il Paese sarà con loro fino a che la situazione non sarà tornata alla normalità.
Continuando a indossare le vesti di ’Commander in Chief’ che negli ultimi giorni gli hanno fatto recuperare molti punti sul fronte della popolarità e della leadership, il presidente americano lancia un appello a non dividersi, anche sul fronte politico: "Ora è il momento in cui gli americani devono restare uniti perché si possa ricostruire e ritornare più forti di prima". Sulle elezioni non una parola, anche se mancano oramai solo tre giorni. Obama cavalca l’onda, gioca la carta della solidarietà verso chi ha avuto la sua casa distrutta dalla furia di Sandy, e anche verso chi vive da giorni senza luce e senza acqua, come tantissimi newyorkesi. "Noi siamo americani. E quando arrivano tempi duri, noi siamo ancora più duri. Noi mettiamo il prossimo avanti a tutto. Noi apriamo i nostri cuori e le nostre case agli altri, come una sola famiglia americana".
Che ci sia lavoro da fare è indubbio. New York sta ripartendo lentamente e i problemi per la ricostruzione non sono solo una carta da giocare di questa amministrazione. Oggi Obama incontrerà collaboratori e ufficiali degli Stati colpiti dal passaggio di Sandy. Nella mattinata americana (il pomeriggio italiano) incontrerà anche il segretario al Territorio Janet Napolitano, mentre saranno collegati al telefono il governatore del Connecticut Dannel Malloy, del New Jersey Chris Christie e di New York Andrew Cuomo. In seguito ufficiali dell’amministrazione visiteranno le aree colpite dalla super tempesta, per decidere quali risposte e risorse siano necessarie.
Mitt Romney nel frattempo ha parlato in un comizio in New Hampshire: "Non rappresenterò solo un partito, rappresenterò una nazione". Lo sfidante ha anche inaugurato un nuovo spot televisivo in cui attacca l’affermazione di Obama, che i suoi sostenitori non devono limitarsi a fischiare i repubblicani ma andare a votare, perché "il voto è la migliore rivincita". Lo spot mostra Romney che dice che Obama "ha chiesto ai suoi sostenitori di votare per vendetta (’revenge’, è anche rivincita, ndr)". "Invece, io chiedo al popolo americano di votare per amore per il nostro Paese".
(03 novembre 2012)
MESSAGGIO
"La tempesta è passata, ma c’è molto lavoro da fare, sarà una strada lunga e difficile": così il presidente americano, Barack Obama, torna sul disastro dell’uragano Sandy nel tradizionale messaggio del fine settimana alle famiglie americane, l’ultimo prima delle elezioni presidenziali di martedì 6 novembre . "Come presidente vi prometto che il Paese sarà con voi per tutto il tempo che servirà per la ripresa e per la ricostruzione"
CORRIERE.IT
MIAMI - A Miami e nella contea di Dade si vota come se non ci fosse un domani; e ha senso, si può fino a sabato alle sette, domenica vietata, poi qualche ora martedì, e chi vince avrà i 29 voti elettorali della Florida ancora in bilico che possono valere l’elezione. Al seggio della Kendall Library (polarizzato anche il parcheggio, station wagon con adesivi di Obama e Suv schierati con Romney) le centinaia in fila non fanno a botte solo perché sono quasi tutti troppo anziani. Alla scuola di West 49 Street, ghetto urbano nerissimo poco sopra il ganzissimo Design District, la scena è da lotte storiche per i diritti civili negli anni Sessanta, centinaia di afroamericani caparbiamente in fila da ore, cartelli che spiegano come consegnare una scheda valida (la cronista non sarebbe capace), banchetti di attivisti a ogni angolo. Al seggio di Aventura, sul mare, nome palme e ambiente da parco a tema, bianchi liberal vestiti basico-Gap trovano terreno comune con repubblicani griffatissimi; minacciano rivolte e querele (la frase «sono un avvocato» va forte ovunque) perché la polizia manda via gli elettori che non riescono a parcheggiare.
Guerra civile nel Sunshine State
I commentatori che si guadagnano lo stipendio drammatizzando su siti giornali e tv la chiamano una «political civil war», quella in corso in Florida tra repubblicani e democratici. O meglio, tra i repubblicani che controllano l’amministrazione dello stato e hanno dimezzato le ore di voto anticipato e abolito il voto domenicale, e i democratici che hanno chiesto inutilmente deroghe. Tra le associazioni a indignazione perenne (qui, di quando in quando, motivata) e i mille traffichini, statali, operatori a contratto, free lance, che fanno cose strane con le schede elettorali. È già tutto complicatissimo, a due giorni dall’elezione. E già i pubblici funzionari perbene pregano che in Florida, stavolta, il risultato sia subito netto, pro Obama o pro Romney. Non quel «too close to call» che nel 2000 portò al riconteggio, alle cause (vinse W. Bush su Al Gore per 527 voti, tuttora contestati), a settimane di delirio, all’imperitura fama dello stato come regno dei brogli.
Quelli che pensano male
Diceva Giulio Andreotti (lui neanche in Florida avrebbe fatto una piega) che a pensar male si fa peccato ma generalmente non si sbaglia. In certe contee, i democratici stanno pensando malissimo. Nella Broward County, subito a nord di Miami, sono già sparite 1003 schede già votate. Da un seggio a stragrande maggioranza afroamericana. Nella Palm Beach County è successo di peggio: 30 mila schede sono state stampate in modo sbagliato, e devono essere riscritte a mano dagli scrutatori (lì nel 2000 successe di tutto; nel 2012, la mente vacilla). I repubblicani replicano accusando la macchina democratica di stalking capillare, gli attivisti sono ovunque, a pochi metri dai seggi, rompono l’anima a tutti e distribuiscono stampati su come votare. Utili, d’altra parte, l’amministrazione del governatore Rick Scott (ora impopolare) e il parlamento statale hanno prodotto la scheda più lunga della storia.
Ci sono - tra l’altro - 11 referendum, nessuno a iniziativa popolare, tutti proposti da parlamentari della maggioranza. C’è di tutto, dall’aborto tutto a carico delle donne ai finanziamenti alle scuole religiose (l’Arcidiocesi di Miami appoggia con entusiasmo). Il principale quotidiano dello stato, il Miami Herald, nei suoi endorsement ha tagliato corto con un «votate no a tutto». Ma più che un voto disgiunto, molti rischiano un voto confuso.
Le cifre impazzite
Andando online e leggendo sondaggi, dati sull’«early vote», percentuali di voto etnico, e altro, si trova tutto e il contrario di tutto. Incluso un vantaggio democratico che viene fuori dalle prime schede. Ma al netto dei dati sparati per manovrare il consenso, sui social network e altrove, in Florida succede che: lo stato è un po’ più di destra che di sinistra, ma molti di destra vivono nelle contee rurali dell’interno e raramente vanno a votare; lo stato è molto grande, venti milioni di abitanti, di cui un 20 per cento ispanico. Gli ispanici sono in maggioranza per Obama, tranne i cubani che tendono a destra per anticastrismo storico, quindi anche il voto latino qui è intricato. Lo stato è diviso in aree diversissime. Il South Florida dei latinos, degli ebrei in pensione e non, dei liberal preoccupati. Le paludi un po’ selvagge e reazionarie. L’I-4 Corridor, l’autostrada che taglia lo stato e passa per Orlando e Disneyworld e fino a qualche anno fa era in boom economico e pro-Obama e ora è in disarmo e non si sa. Il West Florida delle cittadine inventate da poco, da Truman Show di lusso, per pensionati ricchi che hanno abolito l’inverno e votando Mitt sperano di abolire le tasse. L’area di Tampa Bay, popolata come Roma e in bilico come non mai. Il Florida Panhandle al nord, ultraconservatore, più profondo Sud che Sunshine State. Tutte zone molto visitate da Obama e Romney, ultimamente.
L’onnipresenza del candidato
«Ho vissuto tutta la mia vita a New York e non ho mai visto un politico. Ora me ne arriva uno al giorno, minimo, ieri avevo Bill Clinton a due isolati da casa mia», racconta Kay, appena trasferita a Saint Petersburg, fuori Tampa. Ci sono i candidati e i loro surrogati, ci saranno fino a lunedì; c’è una battaglia continua di spot televisivi e radiofonici, feroci, negativi, ideologizzati. Che si riproducono nella filiera della politica locale; nelle Keys, la zona più a sud, subtropicale e idilliaca (file anche lì sostenute, neri che lavorano negli alberghi, pensionati, vecchi fricchettoni alla Jimmy Buffett che lì vive e lì ha composto il suo inno Margaritaville) si è trasformata in scontro cultural-politico-ambientalista anche l’elezione dei membri del Mosquito Board, che si occupa della lotta alle zanzare. È giusto così, ora che per colpa di Sandy si parla delle sorti del pianeta, forse.
Il pensiero bipolare
Tutti, comunque, democratici e repubblicani, sono convinti che l’altro partito tenterà dei brogli. Sulle presidenziali se ce ne sarà motivo, nelle elezioni dei rappresentanti, su tutto. Quasi tutti, ormai, si formano un’opinione seguendo siti, giornali e reti tv con cui sono d’accordo. Capita anche a Naples, la leccatissima città-Truman Show sulla costa sud-ovest, dove ai seggi c’è poca fila perché i repubblicani tendono a votare per posta, dove anziani in formissima entrano a votare il mormone astemio Romney e poi vanno a farsi un paio di cocktail. Anche lì ci sono gli attivisti della capillare organizzazione di Obama, ovviamente anche loro anziani e benestanti, «questa è una città dell’1 per cento», spiega Bill. Eleanor, ex funzionaria del dipartimento di Stato, 79 anni portati alla Diane Keaton cappello incluso, tutta bardata con insegne Obama-Biden, tenta di insinuare dubbi col miliardesimo sondaggio: «Hanno chiesto agli abitanti di tutto il pianeta chi voterebbero. L’unico Paese in cui vincerebbe Romney è il Pakistan». Qualcuno rimane colpito, poi lei attacca una tirata contro i droni (e contro Obama, pure, in effetti) e il messaggio si perde (la sinistra fa sempre gli stessi scivoloni, anche nelle città-Truman Show, altro che brogli).
MARIA LAURA RODOTA’
CORRIERE.IT - SONDAGGI
A tre giorni dal voto per le presidenziali Usa non si ferma la guerra dei sondaggi. I diversi istituti di ricerca americani danno infatti i risultati più diversi. Qualche esempio? Secondo Rasmussen sarebbe testa a testa fra il presidente americano Barack Obama e il candidato repubblicano Mitt Romney, pari con il 48%. Reuters/Ipsos invece danno il presidente al 47%, con un punto (annullato dal margine di errore del 3,4) di vantaggio sullo sfidante repubblicano al 46%.
GLI STATI CHIAVE - Diverse le proiezioni anche sui risultati negli stati chiave per l’esito delle presidenziali. Il candidato Mitt Romney viene dato Tampa Bay Times-Miami Herald in vantaggio sul presidente americano Barack Obama in Florida, con il 51% delle preferenze contro il 45% di Obama. Sei punti di distacco, dunque. Di diverso avviso sono però Nbc/Wall Street Journal che ritengono vincente in Ohio e in Florida il presidente con il 51% nel primo stato e con il 49% nel secondo, contro Romney che otterrebbe rispettivamente il 45% e il 47%. Secondo RealClearPolitics, che effettua invece una media dei sondaggi, in Florida va in vantaggio Rommey avanti del 1,4% (47,9 contro 49,1). Mentre in Ohio passa in testa Obama con il 2,9% (49,3 contro 46,4%). Come dire, insomma, che fare una previsione realistica sta diventando davvero molto difficile.