Francesco Forte, il Giornale 2/11/2012, 2 novembre 2012
Tutti «licenziano» Marchionne, l’uomo nuovo - Sergio Marchionne è il personaggio scomodo che ci voleva, in questa Italia neo conformista, in cui i giudici si sono trasformati in professori di economia aziendale politicamente corretta e la Cgil di Susanna Camusso è diventata l’arbitro della politica industriale socialmente corretta
Tutti «licenziano» Marchionne, l’uomo nuovo - Sergio Marchionne è il personaggio scomodo che ci voleva, in questa Italia neo conformista, in cui i giudici si sono trasformati in professori di economia aziendale politicamente corretta e la Cgil di Susanna Camusso è diventata l’arbitro della politica industriale socialmente corretta. Poiché Sergio Marchionne è stato costretto da un tribunale di Roma a riassumere 19 operai iscritti alla Cgil, con la motivazione che il loro licenziamento era stato discriminatorio, lui ha deciso di licenziare 19 operai non dotati di tale tessera, per riduzione della mano d’opera, spiegando che non si fa dare lezioni di organizzazione aziendale dalla magistratura. E ha ragione, anche se, in passato, «mamma Fiat» (come veniva chiamata a Torino) nella sua storia si è accollata molto più di 19 esuberi, per tener buono l’establishment di cui faceva parte e da cui aveva, in cambio, per riconoscenza, aiuti vari. Il gesto di Marchionne e la sua frase di rottura non sono piaciuti al felpato Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico che fa parte di quel mondo compromissorio, in cui si sono adagiate le grandi imprese e le grandi banche italiane e i mass media collegati. Ma le frasi di Marchionne sono certamente piaciute agli imprenditori: manager di tante piccole e medio piccole imprese che, quotidianamente, debbono sottostare agli arbitri della burocrazia e della magistratura del lavoro, alle collusioni della Confindustria con Cgil e anche alle discriminazioni che le grandi banche a volte fanno verso chi non ha santi in paradiso. La Fiat di Marchionne è uscita da Confindustria per potere stipulare liberamente i contratti aziendali. La sua posizione è scomoda, ma si tratta di una grande impresa che, nelle auto, perde in Italia e nella vecchia Europa, ma fa utili nell’Europa dell’Est e soprattutto in Sud America, con le sue marche storiche; e nel Nord America con la Chrysler. Questa è stata risanata col metodo Marchionne, un misto di tenacia testarda abruzzese, che ricorda Enrico Mattei ( figlio d’un maresciallo dei carabinieri, originario della provincia dell’Aquila), e di genialità organizzativa e finanziaria intercontinentale. Marchionne, però, a Detroit si è trovato in un ambiente di libero mercato, con un sindacato aziendale cooperativo. I piccoli e medi imprenditori italiani, che spesso anche loro si son fatti da sé e vengono dalla provincia, ma pensano e ragionano con la mentalità dei mercati globali in cui debbono operare, non hanno le entrature di Fiat. E oltreché lottare con le difficoltà dei mercati e le incombenze fiscali, debbono subire quell’intreccio neo- corporativo a cui Marchionne s’è ribellato. Questi, sostenendo il diritto dell’impresa alla libertà di contratto e a quella sindacale per i datori di lavoro e i lavoratori, fa soprattutto una battaglia per questo esercito di piccoli e medi imprenditori. Però Marchionne lotta anche per far sì che l’occupazione nelle aziende Fiat in Italia sopravviva non grazie alla cassa integrazione, ma alla produzione di auto di qualità ad alto valore aggiunto, destinate all’esportazione. È una scommessa impegnativa, ma niente affatto impossibile, dato che la Germania, in cui i costi del lavoro sono più alti che da noi perché i salari sono più elevati, esporta auto ad alto valore aggiunto avendo attuato la riforma del lavoro basata sui contratti aziendali. Né si può affermare che i marchi tedeschi sono più credibili di quelli italiani nella gamma alta, dato che Fiat punta su Alfa Romeo e Maserati e su Chrysler combinata con Lancia. Lo scetticismo che accompagna il programma di Marchionne dà la sensazione che dia fastidio ai gattopardi del nostro establishment, che preferirebbero che Fiat smobilitasse in Italia e lui se ne andasse a Detroit. Frattanto il nostro governo «tecnico» dovrebbe riflettere sul flop della sua «liberalizzazione » del mercato del lavoro, che consente (come era prevedibile) ai magistrati di interpretare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori come prima. I casi, infatti, sono due. O questa riforma era sbagliata o i giudici violano la nuova legge partorita dalla riforma, profittando della giurisprudenza passata. Il governo invece, con i ministri Fornero e Passera, incolpa Marchionne, mentre dovrebbe occuparsi dello sviluppo secondo i principi del mercato e della libera cooperazione aziendale come a Detroit e a Stoccarda. Ma chi, in politica, ora farà le battaglie alla Marchionne?