il Fatto Quotidiano 2/11/2012, 2 novembre 2012
PROROGA DI DUE ANNI AL PONTE MANGIASOLDI
La parola chiave è “bancabilità”, un neologismo caro al governo dei tecnici. In italiano povero significa che un’opera pubblica, ad esempio il Ponte sullo Stretto di Messina, si definisce bancabile quando una banca, visti i piani di rientro dell’investimento, si fida di finanziare il privato che intraprende la costruzione.
Il Consiglio dei ministri, dopo lunga discussione, ha deciso mercoledì sera che ci vorranno due anni di tempo per valutare “la sussistenza delle effettive condizioni di bancabilità” del Ponte sullo Stretto, e anche, incredibilmente, la sua “fattibilità tecnica”. Sul ricongiungimento in acciaio e cemento di Scilla e Cariddi da circa 30 anni governi di ogni colore hanno fatto figure barbine con i più illogici contorsionismi verbali, ma il governo Monti stavolta batte ogni record.
IL PRIMO QUESITO lo poteva risolvere non in due anni, ma in due ore una piccola équipe di ragionieri cercati a caso sull’elenco telefonico. Il ponte costerebbe circa 10 miliardi, e per ripagare le banche che lo finanziassero ci vuole - nelle migliori delle ipotesi - una rata di mutuo attorno ai 500 milioni l’anno per 40 anni. Il ponte dovrebbe cioè fatturare 500 milioni più i costi di esercizio e manutenzione. Quindi dovrebbe incassare come minimo pedaggi tra i 700 e i 900 milioni all’anno. Siccome Autostrade per l’Italia, con 3 mi-la chilometri di autostrade a pedaggio non arriva ai 3 miliardi, può il ponte da solo (3 chilometri messi a disposizione di una delle zone più povere d’Italia) fatturare un terzo delle autostrade italiane? I ragionieri scelti a caso direbbero subito di no, il governo dei bocconiani vuole pensarci per due anni.
Il secondo quesito è ancora più assurdo. Da 30 anni si discute se la mente umana sia in grado di progettare un’opera del genere. Molti pensano di no. Il consorzio Eurolink (Impregilo, Cmc di Ravenna, Condotte e altri) ha già consegnato da un paio d’anni il suo progetto definitivo. La società Stretto di Messina (statale) l’ha approvato. Il governo dice che servono altri due anni per “valutare” se quella roba starà in piedi. Basterebbe che Ma-rio Monti scendesse in via del Corso e chiedesse al primo geometra di passaggio per sentirsi rispondere che, se c’è ancora un dubbio dopo 30 anni di studi profumatamente pagati ai più titolati ingegneri del pianeta, non saranno certo altri due anni di tentennamenti a fugarlo.
In verità, dietro l’apparente commedia dell’assurdo, dentro il governo Monti si sta giocando una partita durissima e poco trasparente che vede schierati interessi contrapposti. Il ministro delle Infrastrutture, Corra-do Passera si è battuto per chiudere subito la partita: il ponte non si fa più, e lo Stato paga a Eurolink ciò che il contratto stipulato nel marzo 2006 prevede. Tra costi già sopportati, lavori già eseguiti, penale per la risoluzione del contratto e altri dettagli , il conto potrebbe sfiorare il miliardo di euro.
IL MINISTRO della Coesione sociale, Fabrizio Barca, si è ribellato alla scorciatoia, già manifesta quando sono stati stanziati nella legge di Stabilità 300 milioni appositi, per chiudere i conti con Impregilo e soci. Proprio ieri faceva discutere la notizia dei 18 miliardi di debiti della regione Sicilia. Non c’è spazio per buttare altri soldi da quelle parti. Il premier Monti, che è più d’accordo con Barca che con Passera, ha sottoscritto una scomoda mediazione.
Il fatto è che Pietro Ciucci, padre-padrone della Stretto di Messina, ma anche messo da Romano Prodi alla testa dell’Anas nel 2006, ha architettato un dedalo inestricabile di clausole contrattuali, con le quali Eurolink può in qualsiasi momento trascinare in giudizio lo Stato e farsi dare un sacco di soldi. Lo stesso Ciucci, quando il governo Monti ha “definanziato” il ponte, ha fatto ricorso formale al presidente Napolitano contro il provvedimento, come se fosse un lobbista dei costruttori e non un servitore dello Stato. Ciò che inquieta è che Ciucci motiva il suo ricorso con il fatto che dire basta all’operazione ponte costerebbe appunto un sacco di soldi in penali. I due anni di tempo per valutare la bancabilità hanno un senso giuridico: se si accertasse che nessun privato è disposto a mettere i soldi sull’opera, la Stretto di Messina può sciogliere il contratto con Eurolink senza pagare un pezzo di penale (circa 250 milioni). Ma i precedenti fanno sospettare che in questi due anni, andando avanti con lavori e lavoretti, Eurolink potrebbe preparare una pila di fatture per ben più di 250 milioni da presentare all’incasso. È una partita a poker. Il partito dello spreco e quello della sobrietà sono entrambi rappresentati nel governo. Il primo ha già vinto, il secondo vuole impedirgli di stravincere. Giorgio Meletti • AMBIENTALISTI UNITI: NON BUTTATE MILIARDI - Gli aggettivi sono scelti con cura: orwelliana, pittoresca, scandalosa. Le maggiori associazioni ambientaliste (Fai, Italia Nostra, Legambiente e Wwf) così descrivono l’ultima invenzione di Corra-do Passera per continuare a finanziare le grandi infrastrutture mentre tutte le altre voci di spesa dello Stato vengono tagliate senza pietà. E sembrano sicure che il premier Mario Monti, impegnato su troppi fronti, non si renda conto dei pasticci che i ministri combinano sotto il suo naso.
Così i quattro presidenti delle associazioni hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio, per criticare i contenuti preoccupanti “delll’art. 33, commi da 1 a 3, del decreto legge n. 179/2012”, cosiddetto decreto Sviluppo. Sarebbero misure, come dice la relazione tecnica, “per consentire la realizzazione di quelle infrastrutture di notevole rilevanza il cui piano economico-finanziario presenta dei costi di investimento che impediscono al piano stesso di raggiungere l’equilibrio”, cioè le opere che non servono a niente, o comunque non si ripagano con il traffico. L’accusa è che, con la favola di attirare gli investimenti privati sulle opere pubbliche, cosa impossibile se l’opera non è redditizia, “lo Stato intende indebitarsi per garantire una rendita ai privati”. A chi va la sovvenzione, sotto forma di credito d’imposta? “Il presupposto irrinunciabile di sapore orwelliano per attivare le misure appena descritte - scrivono gli ambientalisti - è che sia dimostrata la non sostenibilità del Piano Economico Finanziario – PEF delle opere in questione!”.
Da una parte si strombazza la magia del project financing, cioè le infrastrutture che si ripagano da sole con i ricavi da traffico. Dall’altra si fa la leggina per far pagare allo Stato le opere in perdita. Ma soprattutto la lettera degli ambientalisti adombra la questione del conflitto d’interessi, quando elenca le opere beneficiarie dei tre preziosi commi: “La linea ad AV Verona-Padova, le due nuove linee C e D della metro romana, l’autostrada Fano-Grosseto, l’autostrada della CISA, la Pedemontana piemontese, la metropolitana sub lagunare di Venezia. E nel prossimo futuro, immaginiamo, l’autostrada Nuova Romea, opera valutata attualmente attorno ai 10 miliardi di euro, la Bre.Be.Mi. (autostrada Brescia-Bergamo-Milano), la tangenziale Est di Milano e la Pedemontana lombarda”. Siccome Passera e il suo vice, Mario Ciaccia, vengono da Intesa Sanpaolo, i quattro presidenti malignano: “A puro titolo di cronaca, facciamo notare, a quanto ci risulta, che Banca Intesa San-paolo è il primo azionista di Autostrade Lombarde (39,7% del capitale) che a sua volta controlla Bre.Be.Mi., e ha in portafoglio il 26% di Pedemontana e il 5% di Tem Spa (che controlla Tangenziale Esterna)”. g. me.