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 2012  novembre 03 Sabato calendario

«Una spanna in più ti cambia la vita. Sta a te decidere come». A 13 anni Sigourney Weaver, classe 1949, era già fuori misura, un metro e 77 centimetri: «All’improviso mi ritrovai a camminare ingobbita, indossavo scarpe a tacco zero»

«Una spanna in più ti cambia la vita. Sta a te decidere come». A 13 anni Sigourney Weaver, classe 1949, era già fuori misura, un metro e 77 centimetri: «All’improviso mi ritrovai a camminare ingobbita, indossavo scarpe a tacco zero». Difficile farsi minuta, quando a 16 anni hai raggiunto cinque piedi e undici pollici, 180 centimetri tondi. Soprattutto se non hai la corporatura esile da modella, ma spalle larghe e fisico atletico, per l’epoca mascolino. Un’anima fragile racchiusa nel corpo di una gigantessa. «Frequentavo una scuola femminile, mi assegnavano tutte le parti da maschio. È incredibile quanto un fisico ingombrante ti trasformi in un essere insignificante. Ero timida e ansiosa di non farmi notare, ma in realtà ero praticamente invisibile. Ho imparato presto cosa significa essere una perdente». Cinquant’anni dopo il dato sull’altezza è l’incipit nelle biografie di un’attrice che con la sua presenza scenica e il suo carisma ha cambiato la storia del cinema: il tenente Ripley della saga di Alienè considerato il prototipo di una schiera di formidabili guerriere che hanno colonizzato l’immaginario filmico mondiale. «Non era solo una questione di misure — ricorda — la mia Ellen Ripley l’ho voluta senza trucco, sporca di grasso, in tuta da lavoro, completamente diversa dalle bambole prorompenti dei film di genere». Da allora l’attrice ha incarnato una teoria di personaggi carismatici e potenti, spesso borderline, a volte sopra le righe. Sessantotto film tra cinema e tv, donne diverse, capaci di scelte estreme, come la scienziata pasionaria dei gorilla Diane Fossey. Oggi è la ex first lady e Segretario di Stato della serie televisiva culto Political Animals e la scienziata a caccia di medium fasulli in Red Lights, in sala da giovedì. Figlia d’arte, della casalinga ed ex attrice Elizabeth Inglis e soprattutto del produttore della Nbc Sylvester “Pat” Weaver, Sigourney non è stata incoraggiata all’arte della recitazione: «I miei mi ripetevano di essere pragmatica, razionale. Io avevo grandi piedi ancorati a terra e la testa fra le nuvole ». E un grande senso dell’umorismo. Forse perché spesso, nelle tante scuole che aveva cambiato, era stata la nuova arrivata spilungona, presa in giro ed emarginata, aveva imparato a farsi accettare trasformandosi nella “buffona della classe”. L’autoironia la ritroviamo nelle commedie alla Galaxy Quest, in cui fa il verso alle eroine fantascientifiche e soprattutto nel ruolo iconico della manager dispotica battezzata “culo secco”, che ruba la scena alla protagonista Melanie Griffith in Una donna in carriera. Dirà Sigourney: “La mia carriera, molto seria, non rende davvero l’idea di quale idiota io sia nella realtà”. Sigourney ha studiato a Stanford University ma, come ha capito presto, non sarebbe mai stata una reginetta o una cheerleader. La sua strada è sempre stata quella di uscire dai canoni. «Ho vissuto in una casa su un albero con il mio boyfriend e mi cucivo da sola vestiti da elfo». Un elfo pragmatico quando si tratta di combattere per una causa: «Il napalm è stato inventato nella nostra università: protestavamo perché pensavamo che bloccando Stanford avremmo bloccato la guerra». Nel ‘71 si sposta a Yale, corso di recitazione. Ha la sfortuna di capitarci all’epoca di Meryl Streep, già considerata una stella, mentre i professori sono molto scettici sul talento di Sigourney e soprattutto sulla sua altezza: «Ero abbonata alle parti di prostituta oltreché alle solite da maschio. Gli insegnanti facevano di tutto per scoraggiarmi. E ho pensato di rinunciare alla recitazione». A Hollywood non andrà meglio, perché «i produttori sono bassi, io sono alta. Non entravo nel loro immaginario erotico». La Weaver ha ripiegato a lungo sul teatro, diventando sempre più brava. «La maggior parte dei miei colleghi sono sotto la mia altezza, quando andavo ai provini mi guardavano stupiti. In molti non sapevano cosa fare di me ed è stata una benedizione: sono finita a lavorare con Ridley Scott e James Cameron, artisti che se ne fregano delle convenzioni». E poi «il teatro e la recitazione mi hanno regalato una grande confidenza con il mio corpo». Ora pronto a diventare uno strumento letale di seduzione (per la bollente indemoniata di Ghostbusters), ora a incarnare una donna autistica in Snow Cake, ruolo tutt’altro che sensuale, ma coraggioso e difficile. Sigourney ha dato una nuova interpretazione al monito dei genitori a stare con i piedi per terra. È diventata paladina ecologista al servizio del pianeta. «In Red Lights interpreto una scienziata, ma anche una madre disperata che cerca di capire se esiste un al di là. Come tutti anch’io m’interrogo. Provo una grande comprensione per chi si affida ai poteri paranormali, ma anche una grande rabbia per chi si approfitta delle persone in difficoltà. Io non ho bisogno di credere in un’altra dimensione. Penso che quando qualcuno muore, giace: le persone care che ho perso le immagino riposare in pace. Questo mondo in cui viviamo è talmente straordinario che non è necessario cercarne altri che convivano con il nostro». Ama quello che la circonda, e anche se stessa. «Da tempo ho imparato ad apprezzare il mio corpo. A sentirmi a mio agio. “Diverso è la normalità, a prescindere dalla taglia, dalla forma, dai sentimenti che provi”: è questo che ho cercato di insegnare a mia figlia e alle adolescenti attraverso i miei personaggi». Con coraggio ha portato sullo schermo il rapporto di un madre col proprio figlio omosessuale, Prayers for Bobby, ispirato a una storia vera. E la sua immagine pubblica ha spesso spinto i politici a corteggiarla: «Capita a un sacco di personaggi pubblici. Io non sarei mai in grado, non sono così in gamba come sembro». La protagonista di Political Animals, che ha modellato in parte su Hillary Clinton, ha conquistato gli americani incarnando un modello positivo della saggezza e delle virtù delle donne al potere. «Spero che sia un passo in avanti per noi. Siamo il 51 per cento dell’America ma abbiamo il 16 per cento dei rappresentanti politici. Eppure da un pezzo abbiamo dimostrato di essere all’altezza».