Alessandro Penati, la Repubblica 3/11/2012, 3 novembre 2012
VENDO... non vendo... vendo. Da anni Telecom Italia sfoglia la margherita per la vendita della sua rete, in un vortice di pressioni, interessi economici più o meno nascosti, interferenze politiche, per una decisione dalle implicazioni miliardarie
VENDO... non vendo... vendo. Da anni Telecom Italia sfoglia la margherita per la vendita della sua rete, in un vortice di pressioni, interessi economici più o meno nascosti, interferenze politiche, per una decisione dalle implicazioni miliardarie. Ma quando ci sono soldi in gioco, in Italia raramente si seguono stringenti logiche aziendali. Sembra che ora Telecom voglia venderla (decisione assurda); a una società di cui avrebbe il 51%(altra assurdità); e che la Cassa DDPP, o in una sua reincarnazione tipo F2i o Fondo Strategico, sia il compratore (massimo dell’assurdità). In principio era la rete in fibra di nuova generazione per portare la banda ultra larga a casa degli italiani (NGAN). Piaceva alla politica, sempre alla ricerca di grandi infrastrutture da sbandierare agli italiani; ai fornitori, sempre alla ricerca di lucrose commesse; e a consulenti, esperti, guru, e opinionisti sempre pronti lodare i «progetti strategici di sistema». Ma Telecom non la voleva: non era economica. Perché portare la fibra dentro ogni abitazione, in città ed edifici ultracentenari, è difficile e costoso; perché la penetrazione di internet tra i cittadini da noi cresce lentamente (in media +2% gli allacciamenti in tre anni); perché chi guadagna dalla rete sono i fornitori di servizi (social network, giochi, video, cloud) e non le reti che li trasportano; e perché i veri beneficiari della NGAN sono le grandi imprese, da noi una rarità. Così, faticosamente, Telecom ha deciso di ammodernare la rete, ma fermandosi al marciapiede, per poi entrare nelle case con il cavo di rame esistente, e utilizzando la fibra di altri per evitare duplicazioni (come Metroweb a Milano). A questo punto, per Telecom non c’è più ragione di vendere. La società infatti ha smesso da tempo di crescere e le prospettive non sono certo delle migliori (così il mercato la valuta appena il 50% del suo patrimonio contabile): realizza il 75% del margine operativo in Italia, dove i ricavi dal mobile, in un mercato saturo, concorrenziale e in recessione, sono in caduta stabile (-7% l’anno scorso); e la telefonia fissa va a morire. I ricavi dalla rete (internet, servizi alle imprese e affitto ad altri operatori) sono l’unica fonte di cassa su cui contare per il futuro, anche perché il Sud America non è più una gallina dalle uova d’oro. Vendere la rete sarebbe il primo passo verso l’eutanasia. La vendita non risolverebbe neppure il problema dell’indebitamento: se anche la vendesse per 15 miliardi, come si ventila, dimezzerebbe il debito ma, insieme alla rete, venderebbe anche la principale fonte del cash flow necessario per sostenere l’ingente debito residuo; e ucciderebbe qualsiasi speranza di crescita. Cedere la rete a una società controllata al 51% è ancora più insensato: se l’obiettivo è abbattere il debito, meglio vendere il 100% al miglior offerente, per incassare il premio di controllo. Il 51% è una soluzione di compromesso, tipicamente italiana, ed è la peggiore possibile. 15 miliardi, poi, non sarebbero nemmeno un prezzo da amatore. Approssimativamente, in questo caso il rendimento della rete sul capitale investito sarebbe circa 8,6%, in linea con quello di Metroweb (8,3%); ma più o meno uguale al costo medio ponderato del capitale che Telecom ha usato nei suoi impairment test. Ovvero il rendimento della rete, per chi compra e che vende, sarebbe uguale al suo costo finanziario. Se poi a comprare il 49% fosse la Cassa DDPP, si raggiungerebbe un vertice dell’assurdo. Invece di privatizzare per abbattere il debito pubblico, lo Stato preferisce aumentare le tasse e utilizzare il risparmio postale per espandere il controllo sulle attività economiche. Non per creare nuove infrastrutture, ma per comprarne una già esistente. Ma questo sembra essere diventato lo scopo statutario della Cassa DDPP: reti elettriche e del gas, Hera, aeroporti di Napoli e Milano, rete Metroweb; ora la rete Telecom. È come se, tramite la Cassa DDPP, lo Stato si stesse riappropriando del controllo dei monopoli regolamentati: tanto valeva ri-nazionalizzare il tutto.