Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 03 Sabato calendario

MILANO —

Sulle ipotesi di fusione tra Unicredit e Intesa Sanpaolo a difesa dei due grandi sistemi bancari nazionali anche ieri il mercato è tornato a interrogarsi e ad analizzare i pro e i contro. La creazione di una subholding italiana, con in pancia la partecipazione in Mediobanca — e dunque indirettamente di Generali — viene considerata in un report di Equita citato dall’agenzia Mf Dow Jones come una «ricomposizione strategica» che da un lato avrebbe come sbocco finale una futura fusione Unicredit-Mediobanca, mentre dall’altro, secondo un altro commento di Intermonte, potrebbe «teoricamente» fare emergere il notevole valore attualmente inespresso delle partecipazioni di Piazza Cordusio in Polonia (Bank Pekao) e in Turchia (con Yapi Kredi). Tuttavia la difficoltà starebbe negli scarsi benefici che arriverebbero in termini di costi.
Che il tema sia delicato emerge anche dal no comment opposto dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, di fronte all’ipotesi di un matrimonio tra la banca presieduta da Giuseppe Vita e quella che ha come numero uno Giovanni Bazoli: «Non abbiamo parlato di questo e io non intendo parlare di questo», ha detto al termine di un incontro con il candidato socialdemocratico alla Cancelleria tedesca, Peer Steinbrueck, confermando invece di aver parlato della regolamentazione dei sistemi finanziari europei.
Chi ha accolto con sorpresa e malcelato fastidio le indiscrezioni sul piano è il fronte Unicredit: «Fantasie che non vale la pena di commentare» è la posizione ufficiale dell’istituto guidato da Federico Ghizzoni. Che per la difesa della banca da un’eventuale aggressione dall’estero — ipotesi considerata al momento «remota » nelle stanze di Piazza Cordusio e presso le fondazioni più importanti, non fosse altro perché i soci esteri stabili sono già maggioranza relativa nell’azionariato — punta proprio sulla nuova regolamentazione europea e sugli orientamenti della Vigilanza. L’Unione bancaria dovrebbe avere l’effetto di sottrarre le banche, soprattutto le più grandi e internazionalizzate come Unicredit, all’esposizione al rischio Paese — nei forzieri di Unicredit ci sono 45 miliardi di bond italiani — per far emergere il valore intrinseco dell’istituto.
Proprio ieri il Financial stability board ha aggiornato l’elenco delle 29 banche mondiali «sistemiche» (Sifi), quelle «troppo grandi per fallire» confermando la presenza di Unicredit, unica banca italiana, nella fascia bassa dell’elenco: secondo le regole, dal 2016 servirà all’istituto l’1% in più di capitale rispetto alle regole di Basilea 3, alle quali l’istituto si è già adeguato con un maxi aumento di capitale da 7,5 miliardi. Ieri il mercato ha continuato a guardare con favore in particolare a Unicredit, che ha chiuso in rialzo dello 0,23% a 3,52 euro mentre Intesa ha seguito il mercato (Ftse Mib -0,24%) in calo dello 0,63% a 1,26 euro.
Fabrizio Massaro