Luca Piana, l’Espresso 1/11/2012, 1 novembre 2012
CONFLITTO DI TRONCHETTI
Un documento di 38 pagine racconta i retroscena della battaglia finanziaria tra Marco Tronchetti Provera e i Malacalza. E svela la vera accusa che la famiglia genovese, fino a pochi mesi fa considerata l’alleato più prezioso del presidente della Pirelli, muove oggi nei suoi confronti.
A giudizio dei Malacalza, Tronchetti, i figli e altri familiari hanno agito in modo irregolare per non mettere in pericolo «l’artificioso sistema di scatole cinesi» che gli permette di comandare sul colosso milanese delle gomme. E hanno impedito l’aumento di capitale di una delle holding della catena di controllo, la Camfin, per non pregiudicare i «rilevantissimi benefici» personali - stipendi milionari, automobili, jet privati - che i Tronchetti possono «estrarre» dal gruppo, a dispetto dei ridotti capitali che vi hanno investito.
Che l’idillio dei Malacalza con Tronchetti fosse finito si sapeva dalla scorsa estate. "l’Espresso" però ha potuto leggere l’atto di citazione depositato in ottobre al Tribunale di Milano da Vittorio Malacalza e dal figlio Davide per annullare le delibere con cui la Camfin ha lanciato un prestito obbligazionario, invece di effettuare l’aumento di capitale che loro avrebbero preferito. Un documento interessante perché contiene, per la prima volta, la loro versione di come si è consumata la rottura con l’ex alleato, che soltanto tre anni fa avevano aiutato parecchio, iniettando 80 milioni nelle sue aziende (vedi scheda a fianco).
Nel racconto dei Malacalza, l’episodio clou accade il 10 agosto scorso, quando Tronchetti convoca un consiglio di amministrazione straordinario di Camfin. La società non sta rispettando l’impegno con le banche creditrici di ridurre entro il 2012 i propri debiti sotto la soglia dei 250 milioni. A dispetto di un ottimo andamento della controllata Pirelli, i debiti della Camfin superano i 382 milioni. Ed entro fine anno bisogna restituire alle banche una maxi rata da 132 milioni. Denari che Camfin non ha in cassa.
Alla riunione, convocata«con uno scarsissimo preavviso, appena 4 giorni, per di più in un periodo feriale e senza la consueta preventiva verifica della disponibilità dei consiglieri», Tronchetti si presenta con uno schema ben definito. Un aumento di capitale, con il quale sarebbero i soci a mettere i quattrini per rinforzare il patrimonio dell’azienda, è escluso fin dall’inizio. Quando Vittorio Malcalza prende la parola e lo propone, presentando documenti che comprovano la sua disponibilità a fare la propria parte e una «highly confident letter» della banca svizzera Ubs, che si dichiara «disponibile a supportare in prima persona l’aumento, garantendone in parte la sottoscrizione», la reazione di Tronchetti è gelida. Il consiglio, che ha ascoltato per «un’ora e quaranta minuti la proposta di un prestito obbligazionario convertibile in azioni Pirelli sostenuta dal presidente», liquida la proposta Malacalza «in meno di un quarto d’ora». E l’ex alleato mette ai voti una delibera dove si asserisce senza le dovute motivazioni «la non convenienza a percorrere la via di un’operazione di aumento» e si dà mandato a Tronchetti stesso di portare avanti il suo piano.
Nella loro citazione, che ha l’obiettivo di annullare le delibere societarie relative al lancio del prestito da 150 milioni convertibile in azioni Pirelli (già effettuato), i Malacalza non si fermano qui. Descrivono una serie di altre scorrettezze che, a loro giudizio, sarebbero state commesse. E tentano di dimostrare che nell’impostazione scelta da Tronchetti - sostituire i vecchi debiti con nuovi, invece di chiedere ai soci risorse fresche - Camfin ne esca danneggiata.
Dal punto di vista della giustizia civile sarà il Tribunale a dire chi ha ragione. Il fatto che il prestito sia stato interamente sottoscritto, poi, permette a Tronchetti di sottolineare «l’apprezzamento degli investitori» e «il successo dell’emissione», della quale ha sempre difeso la convenienza. Nell’atto di citazione, c’è però un aspetto che colpisce: la ricostruzione che i Malacalza fanno dei motivi del niet nei loco confronti. Stando ai loro calcoli, le società di Tronchetti a monte di Camfin hanno debiti complessivi per 188 milioni, a fronte di disponibilità liquide per soli 210 mila euro. Grazie alla lunga catena di controllo, Tronchetti e famiglia possono esercitare il loro potere su Pirelli, l’unico bene rilevante del gruppo, nel cui capitale hanno però una quota diretta inferiore al 6 per cento. Nessuna delle scatole cinesi che compongono il gruppo può però smobilizzare la partecipazione sottostante, perché altrimenti il controllo di Pirelli andrebbe perso. «Ne consegue che ciascuna di tali scatole è potenzialmente insolvente, in quanto di fatto non in grado di rimborsare il suo debito», sostengono i Malacalza.
Gli imprenditori genovesi puntano dunque il dito contro i «benefici economici» che Tronchetti e i suoi familiari hanno tratto da questa costruzione. Elencano emolumenti per «l’impressionante somma complessiva di 22,2 milioni di euro» che il presidente ha percepito nel 2011, ai quali vanno aggiunti «numerosi e rilevantissimi benefits connessi a dette cariche sociali (quali l’utilizzo di risorse professionali, aerei, automobili, ecc.)». E osservano che di un interesse personale godono anche i figli Giada e Giovanni , il cugino Luigi e l’ex cognato Alberto Pirelli, tutti consiglieri di Camfin.
Il ruolo della famiglia, però, fa sì che sulla decisione del 10 agosto pesi un grave conflitto d’interessi. Se mai fosse stato lanciato «l’aumento di capitale avrebbe determinato il collasso del sistema di scatole cinesi indebitate e prive di mezzi», scrivono. E Tronchetti Provera avrebbe dovuto scegliere tra due alternative, che i Malacalza definiscono per lui «entrambe pregiudizievoli». La prima: tirarsi indietro e perdere il controllo di Pirelli. La seconda: fornire «personalmente» i soldi per l’aumento, dovendo però «abbandonare una ben precisa politica d’investimento che ha sempre tenacemente perseguito e, grazie alla quale ha fino ad oggi potuto esercitare un controllo pressoché assoluto su importanti società quotate». Per i suoi avversari, di questo conflitto d’interessi Tronchetti & C. avrebbero dovuto informare gli altri amministratori al momento del voto, ai sensi del codice civile. «Ciò tuttavia non è stato fatto». Di qui il destro per impugnare le delibere. E dare battaglia.