Paola Pilati, l’Espresso 1/11/2012, 1 novembre 2012
TUTTI IN BOLLETTA
È la partita più grossa e delicata che il governo Monti si trova a gestire dopo quella dello spread: tutta l’industria energetica nazionale è scesa in campo per ottenere la riscrittura di alcune regole base del mercato. Dal big dei big, vale a dire l’Eni, peso massimo della nostra Borsa, alla compagine variegata di importatori di gas e di produttori di elettricità, ognuno con i propri interessi - spesso non coincidenti l’uno con l’altro - stanno lavorando ai fianchi da un lato il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, dall’altro l’Autorità per l’energia, per far passare un principio in cui si riconoscono tutti. E cioè che il settore energetico è in affanno e ha bisogno di aiuti pubblici. Come non ha avuto il coraggio di fare l’industria dell’auto, stesa dalla crisi di vendite, o la grande distribuzione, colpita dal crollo dei consumi, il pezzo più forte del nostro apparato industriale, quello che Mediobanca nella classifica delle principali società italiane del 2012 incorona nella top 20, si presenta invece al governo con il cappello in mano.
A metterci la faccia è stato in prima persona l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni. Il cane a sei zampe garantisce l’approvvigionamento di gas in Italia con dei contratti di importazione a lungo termine che per noi non sono più remunerativi, anzi, ci perdiamo, ha detto Scaroni; se potessimo farne a meno la nostra performance migliorerebbe; se viceversa dobbiamo continuare a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, questo ruolo deve essere "valorizzato". Tradotto: dovete riconoscerci un corrispettivo economico. Un meccanismo molto simile a quello concordato dai produttori elettrici, colpiti a loro volta dalla diminuzione dei consumi ma soprattutto dalla crescita delle energie rinnovabili, che godono di priorità di passaggio nelle reti di distribuzione. Con il risultato che per gli impianti alimentati a gas (cresciuti a ritmi frenetici) sono saltati tutti i budget e perdono a rotta di collo. Anche gli elettrici, quindi, hanno mosso le loro pedine per ottenere che venga remunerata quella capacità produttiva che mettono a disposizione comunque (vedi box a pagina 132). Stessa impostazione "ideologica", stesso obiettivo: socializzare le perdite, cioè scaricare su altri il proprio rischio di impresa.
Il caso dell’Eni però merita un approfondimento perché tira in ballo anche altri temi: la sicurezza energetica del paese, se serve garantirla e che prezzo può valere, le alleanze con chi ha la materia prima e la strategia del gruppo petrolifero, il cui azionista di riferimento è il Tesoro. Scaroni parla chiaro: «Non siamo più il monopolista del mercato italiano, dove oggi se consolidiamo tutto siamo in rosso; non abbiamo più la proprietà dell’infrastruttura (Eni ha appena ceduto Snam rete gas, ndr); invece siamo forti in Europa dove abbiamo il 20 per cento del mercato e lì vogliamo crescere», sintetizza il capo dell’Eni, «ma ormai esiste sul mercato un gas "senza collare" a prezzi concorrenziali: noi invece siamo costretti a vendere in perdita gas che il mercato italiano non consuma».
L’origine di questo handicap sono i contratti di importazione a lungo termine, con la clausola "take or pay" (Top) siglati dall’Eni soprattutto con la Russia (quello con la Gazprom è il più grande al mondo): «Ti impegni a ritirare 20 miliardi di metri cubi», sintetizza Scaroni, «se ritiri 18 non succede nulla, se scendi a 16, sui 2 miliardi devi pagare il 30 per cento del prezzo e impegnarti a ritirarli a fine contratto: in certi casi si possono fare degli affari». Ma con il mercato calante no, tanto è vero che dal 2009 al 2011 l’Eni ha dovuto pagare penali per 1,4 miliardi per gas non ritirato. I consumi scendono in Europa e in Italia (erano 77,8 miliardi di mc nel 2011, sono 70 quest’anno), aumenta la quantità di gas "spot" cioè al mercato libero (ormai è il 20 per cento del totale) e ha un prezzo assai inferiore (vedi grafico a pagina 129), così chi ha fatto indigestione di gas "Top" è come un atleta che corra con una gamba ingessata.
Scaroni dunque muore dalla voglia di liberarsene o di ricavarne qualcosa. "Eni takes, il consumatore pays", ironizza su Chicago blog l’economisa Carlo Stagnaro. Eppure era stato proprio Scaroni, neo amministratore delegato, a rinegoziare i contratti russi non ancora scaduti nel 2006, dopo la crisi ucraina, aumentandone la quantità e portando il peso dei Top sul fabbisogno nazionale dal 75 al 90 per cento; nonché aumentando, pare, anche il prezzo (mai reso pubblico, ma una società specializzata, la Bergen Energi, lo ha stimato superiore del 20 per cento a quello di mercato). Di fatto, oggi la divisione Gas&Power dell’Eni, dopo la perdita operativa di 600 milioni nel 2011, ne ha contabilizzati altrettanti in rosso nei primi nove mesi del 2012.
La strada maestra ora sarebbe quella della rinegoziazione al ribasso. Soprattutto cercando di neutralizzare la clausola che aggancia il prezzo a quello del petrolio, inchiodato sopra i 100 dollari a barile. «La rinegoziazione è il modo migliore per evitare di far transitare gli oneri sui consumatori», osserva Alessandro Ortis, ex presidente dell’Authority elettrica. Lo stanno facendo tutti i big in Europa, e con successo: dalla tedesca Eon con la Gazprom, alla Edison che ha ricontrattato le fornitura di gas liquido dal Qatar, ma anche i contratti Top che aveva con la stessa Eni per il gas libico, e portando il cane a sei zampe in arbitrato, dove ha vinto, come pure ha fatto l’olandese Gas Terra. Se gli arbitrati riconoscono le ragioni di chi chiede lo sconto, e dimostrano che il gas Eni proveniente dalla Russia è troppo caro, per Scaroni la trattativa con Gazprom dovrebbere essere una passeggiata.
Invece no. «Preferiamo non ricorrere all’arbitrato», afferma Scaroni. «La nostra richiesta al governo è ridurre la quota di sicurezza e farvi fronte noi con il gas nostro, magari anche quello estratto in Italia». Missione commendevole. Per ora dal ministero di Passera, i messaggi non sono stati di apertura: «L’Eni è tra l’incudine e il martello, ma è il suo ruolo: intermediare tra mercato finale e produttori», ha detto alla "Staffetta quotidiana" il capo del dipartimento energia Leonardo Senni: l’esecutivo, in pratica, darà solo il suo appoggio diplomatico per la trattativa. Più aperta la posizione del capo dell’Autorità, Guido Bortoni: propone di creare strumenti assicurativi contro i rischi di prezzo e di volume. Pagati da chi? Difficile allontanare il sospetto che tutto ricada sulla bolletta.
Come è difficile anche scacciare un altro sospetto: che l’Eni non abbia nessun interesse a trattare per far scendere i prezzi. Essendo anche produttore di gas (in Libia, ma avvia la produzione di shale gas in Polonia e Ucraina, e importa gas liquefatto dalla Nigeria, tutti a prezzi competitivi), più il gas è alto più guadagna. E vorrebbe incassare anche il "premio sicurezza". Non c’è che dire, una strategia perfetta.