Fabio Lepore; Michele Sasso, l’Espresso 1/11/2012, 1 novembre 2012
C’È UN TESORO IN QUEL SACCHETTO
Dentro e oltre il sacchetto della spazzatura una risorsa nascosta. Non solo un enorme business, ma un’opportunità di crescita sostenibile per l’intero sistema Europa. È il punto di vista che si scopre leggendo il "Rapporto sulla green economy", messo a punto dalla fondazione per lo sviluppo sostenibile in occasione di Ecomondo, la fiera di Rimini per le imprese green che raccoglie oltre 70 mila visitatori in programma dal 7 al 10 novembre. Lo studio parte da un dato assodato: la produzione procapite di rifiuti nell’Unione Europea mostra negli ultimi anni un rallentamento, passando da 560 chilogrammi per abitante nel 2007 a 540 nel 2010. La crisi ha influito sulla flessione, ma nel trattamento si viaggia a due velocità. Per il riciclo e il compostaggio, a fronte di una media Ue del 40 per cento complessivo, solo sei Paesi (Belgio, Austria, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia) superano il 60 per cento, mentre nove (fra i quali l’Italia con un modesto 33 per cento) non arrivano alla sufficienza. Un confronto impietoso, che rivela come in questi paesi "ricicloni" le discariche siano diventate un modello in via di estinzione e si punti tutto sul riciclaggio e l’incenerimento.
È questa la chiave del successo ad esempio di Berlino, che pur mantenendo una vitale produzione industriale e oltre 80 milioni di abitanti ha il primato di rifiuti trattati. Eppure, su 583 chilogrammi procapite, neppure uno finisce in discarica e il 100 per cento è recuperato o bruciato. Mentre la metà della "monnezza" nostrana (536 chili) finisce a ingrossare i mega siti che l’Unione europea tenta di far chiudere. E nonostante gli sforzi per politiche virtuose, la metà dei sacchi neri finisce (ancora) in discarica: 15 milioni di tonnellate. «In Italia siamo molto indietro, ma dobbiamo sforzarci di programmare in un’ottica che comprenda i prossimi 30 anni», dice Gianni Silvestrini, ricercatore del Cnr e direttore del Kyoto Club, perché «stiamo andando verso un progressivo aumento di raccolta differenziata e occorre una piano strategico per i rifiuti. Attualmente non esiste e questa lacuna mette in difficoltà gli enti locali, che devono prendere decisioni senza un quadro di riferimento nazionale». I possibili percorsi da seguire in futuro sono al centro anche della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti, la campagna ambientale in programma dal 17 al 25 novembre 2012: ridurre drasticamente le quantità di spazzatura, aumentare la produzione eco-compatibile, promuovere consumi attenti e responsabili, allungare la vita dei prodotti. L’obiettivo è creare una "società del riciclaggio", dove tutti gli scarti ritornano in vita. I vantaggi? Minor dipendenza dagli Stati ricchi di materie prime, aumento dell’efficienza nella produzione e crescita della competitività delle aziende. E anche i posti di lavoro cresceranno: secondo le stime delle Nazioni Unite il riciclo crea infatti un numero dieci volte maggiore di impiego rispetto allo smaltimento e all’incenerimento. Sforzi comuni per raggiungere gli obiettivi finora mancati e indicati da Bruxelles come prioritari, secondo i quali almeno il 50 per cento dei rifiuti deve essere recuperato. Ma mentre in Italia alcune filiere (carta, vetro, plastica e legno) sono già "mature" e ampiamente diffuse, altre, nonostante le enormi potenzialità, sono ferme a uno stato embrionale: rifiuti elettronici, pannelli fotovoltaici, auto demolite, fino all’umido domestico. Qui si concentrano gli sforzi scientifici e tecnologici. «Il futuro è certamente tracciato dalla Ue, che punta sull’approvvigionamento di materiali grazie al recupero e al riciclo. Basta pensare che il nostro Paese, povero di materie prime, ha 80 milioni di cellulari dai quali, domani, estrarre notevoli quantità di materiali pregiati grazie alle tecnologie che oggi sono già disponibili», spiega Roberto Morabito dell’unità per le tecnologie ambientali dell’Enea. Così per i cosiddetti "Raee" (i rifiuti elettrici come cellulari, computer, televisioni, elettrodomestici) la sperimentazione targata Enea prevede di concentrare il riciclo in 6-7 centri regionali dove recuperare oltre l’80 per cento di ferro, rame, alluminio e plastiche varie. Ma in futuro la ricerca permetterà di aumentare questa percentuale per trasformare ogni elettrodomestico in una "miniera" di materie prime: da un frigorifero si possono recuperare circa 28 kg di ferro, 6 kg di plastica e oltre 3 kg tra rame e alluminio. Non solo elettrodomestici: dallo scorso luglio anche i produttori di moduli fotovoltaici avranno la responsabilità del riciclaggio dei loro prodotti a fine vita. Al momento sono oltre 50 milioni i moduli fotovoltaici presenti in Italia, e la vita media di un pannello è di 20-25 anni. Eppure già si pensa a quando andranno in pensione e saranno triturati per separare il vetro dal resto dei materiali, recuperando l’alluminio, le plastiche, i metalli da rivendere alle industrie. E dai pannelli alle auto, nessun bene di consumo è escluso. Oggi le carcasse delle vetture ammontano a 9 milioni di tonnellate annue, con una percentuale di recupero del 70 per cento, ma rimane il cosiddetto "car fluff": le parti di plastica, schiume, gomma, vetro che pesano il 15 per cento del totale del veicolo e che finiscono in discarica. «Siamo culturalmente carenti sul recupero del car fluff», spiega Franco Medici, professore di scienza e tecnologia dei materiali all’Università la Sapienza di Roma, «ma esistono tecnologie di recupero come la stabilizzazione con matrici cementizie: miscelare cemento con il car-fluff». Così dalla teoria alla pratica l’Università la Sapienza, il centro sviluppo materiali, il centro ricerche Fiat e il centro rottami di Cisterna di Latina hanno messo a punto un impianto che trasforma i resti delle carcasse in conglomerato bituminoso da usare per la pavimentazione delle strade.
Rimane il problema dei rifiuti urbani. Per diminuirli di un terzo è però sufficiente raccogliere e trasformare avanzi di cibi crudi e cotti mischiati con terra, erba e foglie secche in fertilizzante. È il compost che si ottiene grazie all’azione di batteri e funghi che attaccano la materia organica. Qualche numero aiuta a capire la sua diffusione: nel 1993 funzionavano 10 impianti industriali di compostaggio in Italia, mentre nel 2008 erano saliti a 290 e per il 2019 si arriverà a 400. Ma tra il grande impianto e quello domestico c’è anche quello di comunità costruito con dimensioni ad hoc: è il caso di Favignana, in Sicilia, dove si produce compost con gli scarti dell’isola. A ognuno il suo riciclo.