Piergiorgio Odifreddi, l’Espresso 1/11/2012, 1 novembre 2012
GERUSALEMME RIVELATA
Gerusalemme è la prova sperimentale che nella teologia monoteistica, a differenza che nella fisica quantistica, non esiste un "principio di esclusione" come quello di Pauli, che impedisca a più fedi di occupare lo stesso luogo santo. La divisione in quartieri della Città vecchia, circondata da imponenti e ben restaurate mura, testimonia infatti che quello stesso fazzoletto di terra possiede il medesimo inusitato interesse per gli ebrei, i cristiani e gli islamici. Cosa ci trovino di così eccitante questi credenti in quei luoghi dall’apparenza insignificante, un ateo come me ha difficoltà a capirlo. Per mia fortuna, però, in uno dei gironi del mio "viaggio nell’aldiquà delle fedi nell’aldilà" ho avuto un Virgilio d’eccezione: il premio Nobel per l’economia Robert Aumann, che per due giorni della mia settimana nella Città Santa mi ha aiutato, se non a capire, a intuire qualcosa di ciò che muove gli animi degli ebrei locali.
La preghiera del venerdì sera al Muro del Pianto, ad esempio, richiede una decifrazione dei variopinti costumi che indossano i fedeli. Aumann mi spiega che si possono riconoscere le due grandi famiglie di ebrei praticanti, in base al tipo di zuccotto. Quello degli ortodossi come lui è bianco, e spesso ricamato, mentre quello degli ultraortodossi è nero e spesso coperto da cappelli di varia forma. I più vistosi, di pelliccia, appartengono ai fondamentalisti chassidim: abbinati a cappottini stile accappatoio e a calzettoni neri o bianchi fino al ginocchio, costituiscono un abbigliamento più appropriato al Nord Europa della loro estrazione, che al deserto mediorientale della loro elezione. Alla domanda sul perché continuino a vestirsi così, Aumann si limita ad alzare le mani al cielo (un tassista laico mi dirà invece: «Perché non sono religiosi, ma barbari»). Il giorno seguente, al pranzo dello shabbat, dopo le preghiere di rito domando che motivo ci sia di invocare un Dio che si suppone essere onnisciente e benevolo: dunque, in grado di sapere cosa ci serve, e di darcelo. Aumann cita l’Esodo (22, 22): «Quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido». E aggiunge sornione una storiella ebraica, di un tale che continuava a chiedere a Dio di fargli vincere la lotteria, finché un giorno sentì una voce tuonare dal cielo: «Lo potrei anche fare, ma tu aiutami. Compra un biglietto!».
Il tipo di rapporto di un ebreo con Dio, a dire il vero, a volte sembra più formale che sostanziale. Ad esempio, durante lo shabbat quasi tutto è proibito, anche chiamare l’ascensore in albergo, ma la cosa viene aggirata facendolo andare ininterrottamente su e giù e fermare automaticamente a ogni piano. Forse per questo Aumann non si stupì, una volta che andò in India e chiese che gli venisse cucinato il cibo in pentole nuove, di entrare in cucina e scoprire che non lo facessero, ma di trovare un messaggio appeso al muro che ricordava al cameriere di dirgli che lo facevano.
Naturalmente, è facile non prendere sul serio le religioni altrui: più difficile è riuscirci con la propria. Inaspettatamente lo fa il bel Museo d’Israele, che presenta "La storia di come gli uomini crearono la religione e gli dèi", ammette che «La Bibbia è colorata dal desiderio di dipingere le nazioni vicine in luce soprattutto negativa» e si astiene dal parlare del mitico Mosè. Quanto a Cristo, rileva che «è il Nuovo Testamento la fonte primaria della sua personalità e delle sue azioni», ed esibisce due interessanti reperti del primo secolo con iscrizioni in aramaico: un «ossario di Gesù, figlio di Giuseppe», e uno «di Giuda, figlio di Gesù».
A proposito di storicità, la Gerusalemme ebraica risale ai periodi romano e bizantino ed è situata attorno al ben preservato cardo maximus. Il Muro del Pianto non appartiene al tempio di Salomone, nemmeno come ubicazione, ma ai bastioni costruiti da Erode per la sua spianata: la stessa su cui oggi si ergono la Cupola della Roccia e la Moschea el-Aqsa. La Gerusalemme cristiana è invece una specie di Las Vegas Celeste, in cui tutto è ovviamente fasullo, ma tutti sospendono volontariamente l’incredulità e fingono felicemente che non lo sia. E così, come i turisti a Roma sulle tracce degli "Angeli e demoni" di Dan Brown, i pellegrini vengono condotti sulle tracce dei capitoli finali dei Vangeli, opportunamente segnati da chiese. E lo stesso succede per il resto della storia, nella Palestina storica.
Betlemme, dove tutto sarebbe cominciato, sta a pochi chilometri da Gerusalemme, al di là del Muro del Pianto palestinese, eretto da Israele nel 2002 attorno ai territori occupati. La Basilica della Natività testimonia la separazione dei cristiani: la stella che localizza sul pavimento la posizione della mangiatoia, appartiene ai cattolici; l’altare sopra di essa, agli armeni; la chiesa sopra la grotta, agli ortodossi; la chiesa adiacente, ai cattolici; e complicati cerimoniali regolano l’inevitabile pestarsi di piedi reciproco. Nelle vicinanze una Grotta del Latte ripropone in chiave cristiana la leggenda della nascita della Via Lattea dal latte versato dal seno di Giunone. E nelle strade tutti i bambini palestinesi giocano con enormi pistole.
Tornati a Gerusalemme, si passa al compimento della storia. Il Cenacolo è miracolosamente situato in una stanza di un edificio crociato, posteriore di un millennio ai supposti eventi e adiacente all’altrettanto supposta tomba di Davide. L’Orto degli Ulivi contiene mezza dozzina di ulivi millenari, forse l’unico reperto storico dell’intera città cristiana. La Via Dolorosa ricrea le stazioni della Via Crucis, secondo un’instabile tradizione medievale. Nella Basilica del Santo Sepolcro, contenente il masso del Golgota e l’antro del sepolcro, si alternano riti delle varie denominazioni cristiane, tutte particolari e nessuna universale ("cattolica"), benché molte se ne contendano il titolo: per evitare bisticci, la chiave della Basilica è custodita da musulmani palestinesi.
Nella Basilica sta pure la pietra della deposizione, risalente al 1808, e ciò nonostante piamente baciata e accarezzata dai cristiani, allo stesso modo in cui gli ebrei baciano e accarezzano il Muro del Pianto. Così come nella Chiesa dell’Ascensione e sotto la Cupola della Roccia stanno due piattaforme di lancio, leggendariamente usate da Gesù e Maometto per salire al cielo. Poiché il papa ha deciso nel 1950 che anche la Madonna ha seguito la stessa direttrice, si deve dedurne che l’aria di Gerusalemme è particolarmente favorevole ai decolli umani.
Dopo qualche giorno in città, più che convertirsi, l’ateo finisce per convincersi che nella fede veramente "anything goes", tutto fa brodo. Smettendo di prendere certe cose seriamente, forse si potrebbero superare le divisioni fra i monoteismi, e ciascuno potrebbe vivere in pace credendo alle storie che preferisce, senza pretendere che siano vere. Un primo passo per arrivare alla pacificazione, potrebbe essere l’attribuzione a Gerusalemme Est dello statuto di "città aperta". Quando lo propongo ad Aumann, lui risponde che già lo è, eccetto forse che per gli ebrei. Ad esempio, dice, è l’amministrazione israeliana a impedire a quelli in visita alla Spianata delle Moschee qualsiasi accenno a una preghiera. Dunque, se Gerusalemme non è stata ancora "ricostruita", come gli ebrei si augurano di ritrovarla l’anno dopo, alla fine delle cerimonie pasquali del Pesach, è per scelta del loro governo. Ma a questo punto, per troncare un discorso che potrebbe deragliare, o continuare all’infinito, Aumann intona un canto di ringraziamento e mi congeda augurando: «Il prossimo anno a Gerusalemme!». Ricostruita, ovviamente.