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 2012  novembre 01 Giovedì calendario

LAMPEDUSA NAUFRAGA


Giusi Nicolini si accende una sigaretta. La aspira con voracità fino all’ultimo tiro e subito ne afferra un’altra dal pacchetto. E poi un’altra ancora, senza tregua, mentre racconta delle minacce ricevute negli ultimi tempi. «Su un sito Internet di estrema destra», dice l’ambientalista diventata lo scorso maggio sindaco di Lampedusa, «mi hanno definito una "stronza che deve morire", soltanto perché avevo dichiarato che mi rallegro quando approdano i migranti sopravvissuti». Un’altra mano anonima, invece, ha dato fuoco a un barcone utilizzato dai profughi. «E accanto alla carcassa, per rendere ancora più chiaro il messaggio, è stato scritto a caratteri cubitali: "No ai clandestini liberi per l’isola. U capisti?». Doveva servire a scoraggiare questa ex attivista di Legambiente. Invece no: «Non sono affatto spaventata, ma arrabbiata per l’uso strumentale dell’immigrazione che si sta facendo a Lampedusa». Il tentativo scaltro, lo cataloga lei, «di sbandierare un allarme inesistente». Un vero e proprio depistaggio dell’attenzione pubblica, perfetto «per nascondere l’illegalità diffusa sull’isola».
Sia chiaro: nessuno, Nicolini compresa, nega che il 2012 sia stato un calvario di sbarchi. «Sono passati dal nostro Centro di accoglienza 3 mila 442 extracomunitari». Ed è una scia impregnata di dolore e morti. Cinque a marzo, per esempio, quando sono stati soccorsi 300 migranti nel Canale di Sicilia. Poi 53 a luglio, uccisi dalla sete dopo una fallita traversata da Tripoli. E avanti così, ora dopo ora, mese dopo mese, con il mare che restituisce a rate i corpi macerati dall’acqua, e la Guardia costiera in perenne allerta. «Sotto i riflettori», dice Nicolini, «c’è il cupo rituale dell’accoglienza, mentre resta nell’ombra l’altro volto di Lampedusa». Quello, per intendersi, di cui è emerso il profilo nel 2009, quando è finito in manette con l’accusa di concussione l’ex sindaco Bernardino De Rubeis. Lo stesso brivido tornato in scena con l’elezione di Nicolini: «Basti dire che, appena mi sono insediata, certe ditte che avevano i cantieri aperti sono sparite. All’improvviso. Abbandonando da un giorno all’altro i lavori in corso. Senza chiarire i motivi della fuga, e senza più farsi sentire».
Segnali che rimbombano, ora che l’isola si è svuotata dei turisti. Anzi: dei tanti turisti, visto che nei mesi estivi sono arrivati in aereo 63 mila vacanzieri (l’anno scorso erano stati 55 mila). Adesso è il silenzio a prevalere su tutto, e un senso di vuoto che sottolinea i problemi impellenti. «Che sono tanti, tantissimi», premette il sindaco: «In bilico tra malafede e inefficienza cronica». Si riferisce, dice salendo sulla sua vecchia Panda per un viaggio nell’isola, all’abusivismo edilizio: «Moda sempre in auge, a Lampedusa». Il piano regolatore, d’altro canto, non c’è. E il bello è che non c’è mai stato. Ci si è accontentati di un cosiddetto "piano di fabbricazione" del 1974, in cui era persino prevista la costruzione di un villaggio Valtur sulla preziosa spiaggia dei Conigli. «Quanto agli uffici tecnici, stendiamo un velo pietoso», dice Nicolini: «Gli isolani onesti hanno chiesto per anni le autorizzazioni a costruire, e gridavano al miracolo quando arrivava una risposta». Risultato, il fai-da-te selvaggio. Un’infilata di case e casupole che cambiano di continuo volumi, occupando sempre più suolo con una facile mossa: «Si perimetra una porzione di terra pubblica accatastando cumuli di pietre», mostra Nicolini alle spalle di Cala Croce, «e in automatico diventa un’area privata».
Una carognata, contesta il sindaco. Un atto di egoismo che, alla lunga, umilierà la fama lampedusana di paradiso terrestre. «D’altronde», spiegano in Comune, «i vigili urbani sono giusto sei, mentre la tendenza a farsi gli affari propri marchia qualunque attività quotidiana». Senza imbarazzi. Nemmeno quando s’incontra per strada il primo cittadino. «Buongiorno!», la salutano gli isolani smarmittando senza casco in scooter. Pochi metri più in là, spunta un furgone con una struttura d’acciaio che sporge in modo abnorme dai lati del cassone. Eppure l’autista non si scompone, incrociando il sindaco. Anzi: le fa segno di arretrare, con la sua Panda del cavolo. E quando lei urla che è rischioso, viaggiare così, lui si limita a accelerare, buttando lì un annoiato: «U sacciu, u sacciu...».
«Ce la farò, prima o poi, a trasformare questa terra in un normale comune d’Italia?», si chiede Nicolini al quarto caffè del mattino in un bar del porto. La risposta è un mistero. Come il blocco di documenti, riferiti ad appalti della precedente gestione, scomparsi dal Comune dopo le elezioni. «Altro caso che dovrebbe scandalizzare la popolazione», dice il sindaco, «e invece insegue polemiche inutili». Come quando i residenti non tollerano i somali e gli eritrei del Centro di prima accoglienza, colpevoli di ciondolare annoiati lungo la costa. «Capisco il senso di esasperazione, ma sarebbe il caso di indignarsi, piuttosto, per gli irresponsabili che hanno smaltito amianto dov’è alloggiata la pompa del depuratore». O magari, «di maledire chi ha permesso che le abitazioni costruite negli ultimi trent’anni, in giro per l’isola, rimanessero senza fognature».
La questione essenziale, dice Nicolini, è far capire ai seimila lampedusani che le regole «non sono per forza un cappio, ma un’opportunità per generare benessere». E camminando accanto al mare ancora caldo e lucente, malgrado l’autunno inoltrato, l’occhio inciampa sui rifiuti gettati ovunque: quasi l’isola fosse una discarica fuori controllo. Materassi, passeggini, copertoni, biancheria intima a brandelli, bottiglie, balle di cartone, sanitari scaraventati accanto a dove i villeggianti scattano foto ricordo, e dove cani randagi vagano in un puzzo indecente di immondizia. «Uno schifo», scappa di bocca al sindaco. Che nell’elenco delle urgenze, tra l’altro, ha trovato anche la voce "raccolta differenziata": «Al momento arriva soltanto al 6,04 per cento delle 5 mila tonnellate di rifiuti prodotte ogni anno da Lampedusa (costo di smaltimento previsto, per il 2012, 2 milioni 800 mila euro)». E di questa misera percentuale, il disastro è che «appena lo 0,25 è rappresentato dai rifiuti solidi urbani, mentre il restante sono rifiuti speciali e ingombranti».
Non stupisce, quindi, la distesa di sacchi neri che arriva fino alla spiaggia della Guitgia, dove per un decennio Claudio Baglioni ha organizzato la manifestazione musicale ’O Scià. E si capisce pure, in questa confusione esplosiva, perché agli isolani sia scappato da ridere quando Silvio Berlusconi, nel 2011, ha spiegato che la rinascita dell’isola sarebbe passata dalla creazione di un casinò e un campo da golf. «Progetti condivisi dalla giunta De Rubeis», testimonia Nicolini. E comunque folli su un’isola che ha ben altre priorità: «Come garantire ai suoi giovani la normalità scolastica», spiega l’assessore all’Istruzione Antonella Brischetto. Richiesta scontata, in teoria, ma non nei fatti. «Un plesso delle elementari», indica l’assessore in via Maccaferri, «è inagibile da anni». E mentre due classi di bambini sono costrette a studiare dentro agli uffici dell’Enac (l’Ente nazionale per l’aviazione civile), «gli studenti delle medie fanno il doppio turno pomeridiano nel liceo scientifico, dal momento che la loro sede è altrettanto inagibile». Dopodiché è ovvio che anche i liceali debbano pagare pegno, infatti «nel 2011 hanno frequentato con il doppio turno e ora patiscono i lavori di ristrutturazione».
Per questo, se parli ai lampedusani della villa che Berlusconi sta riadattando a Cala Francese, si scaldano all’istante. «Noi abbiamo l’isola che sta cadendo a pezzi, e quello s’è comprato una casa per farsi pubblicità!», dicono. Che saranno pure parole poco ospitali, ma acquisiscono un senso quando vedi dov’è collocata, la famosa costruzione del signor Mediaset. La struttura, insomma, non è lussuosa come ci si aspetterebbe, è circondata da altre abitazioni e dà su una spiaggia pubblica dove trionfa il pulmino di "Gerry Fast Food, patatine, panini, crocchette e panelle". «L’opposto di villa Certosa», dice il sindaco. Ma anche, senza allontanarsi troppo, della villa che ha acquistato Domenico Modugno sulla spiaggia dei Conigli, poi ceduta all’ex esponente di Forza Italia Valerio Baldini (scomparso a gennaio) e adesso - dicunt - nel mirino di Paolo Berlusconi.
«È un dato oggettivo», sostiene il sindaco Nicolini, «che una certa politica ha sfruttato la visibilità garantita da Lampedusa e dal suo delicato ruolo di porta sul Mediterraneo». Poco importa, poi, che la Comunità europea abbia investito 16,7 milioni di euro per costruire il nuovo aeroporto e non ci sia un volo diretto che d’inverno collega l’isola al resto d’Italia. «Per non dire dei trasferimenti via mare», continua Nicolini, «con una nave che impiega fino a 13 ore per portarci in Sicilia, nonostante la distanza risibile da Porto Empedocle».
Tale e tanta è la frustrazione, a Lampedusa, che la gente ferma ogni due passi il sindaco per chiederle aiuto. C’è chi non sa come pagarsi i soggiorni a Palermo per la chemioterapia, dato che sull’isola non esiste l’ospedale ma un poliambulatorio (peraltro in buono stato). C’è chi lamenta la presenza di bancarelle abusive al mercato e vorrebbe un po’ di giustizia. E c’è chi denuncia, a voce alta, lo sciamare per Lampedusa dei tanti extracomunitari, salvo poi apprendere che il signore in questione è stato scoperto a incendiare barconi.
«Abbiamo perso il senso del limite», scuote la testa Nicolini. E per dimostrare quanto abbia ragione, ferma la sua auto davanti al cancello del cimitero: «Quello che dovrebbe essere un luogo di pace», e invece è un altra tappa verso l’assurdo. «Non abbiamo ancora il piano dei nuovi loculi. Presto non sapremo più dove seppellire i migranti. E per giunta, ci tocca sopportare le didascalie che De Rubeis ha fatto scrivere sulle tombe. Del tipo: "Immigrato non identificato, 20 anni, etnia africana, colorito nero...". Uno stile che un giovane extracomunitario, spinto dall’amarezza, ha commentato così: "Non sapevo faceste la raccolta differenziata dei morti..."».
Chissà cosa avrebbe detto, quel ragazzo, se avesse saputo che dove sono sepolte le vittime degli sbarchi, qualcuno ha anche abbattuto una palma storica, pur di fare spazio a un loculo illegale. Della serie: a Lampedusa non ci ferma nessuno. Nemmeno il Padreterno.