Tommaso Cerno; Marco Damilano; Gigi Riva; Susanna Turco, l’Espresso 1/11/2012, 1 novembre 2012
PERCHÉ PIACE GRILLO
[COMICO Carlo Freccero, VAFFA Michele Ainis, PROGRAMMA Innocenzo Cipolletta, GIOVANI Sofia Ventura, ORGANIZZAZIONE Ilvo Diamanti]
Cinque ingredienti magici, come le cinque stelle del suo simbolo, che ormai dilaga. Cinque punti di forza, che si mescolano nella pozione che ha trasformato Beppe Grillo da comico capace di riempire i teatri a leader politico in grado di invadere i seggi e sbancare le urne elettorali. Uno: il comico-star che guida la rivolta e la sua lenta metamorfosi. Da Grillo parlante a mago del consenso. Da giullare a capo-popolo. Due: l’alchimia che ha trasformato un insulto come il "vaffa", scagliato da centinaia di piazze italiane contro la classe politica corrotta e cristallizzata, in un movimento politico solido, che ha reso quella rabbia un voto. E che ha conquistato il podio di primo partito nella difficile Sicilia, oltre ad essere uno dei pochi segni più dei sondaggi nel resto del Paese. Tre: un programma furbo. Riempito di temi che attraggono i delusi, come il menù di un ristorante fa con i ghiotti e gli affamati. Quattro: lo spread generazionale. Un’innata capacità di dialogo con i giovanissimi che, dopo anni di isolamento, di esclusione, trovano anche grazie alla Rete la parola d’ordine per tornare a contare, per sentirsi protagonisti. E, infine, una organizzazione rivoluzionaria. Fra facce nuove, anonimato, candidati che sembrano i loro elettori, diversi da tutto e da tutti, dalla destra e dalla sinistra, auto-censurati dalla tv e repellenti all’auto blu. Sono queste le cinque stelle di Beppe Grillo. Le cinque ragioni per cui piace. E che "l’Espresso" racconta grazie a cinque testimonial speciali. Cinque esperti, che hanno sviscerato ingredienti, pregi e difetti dell’uomo che rischia di far saltare il banco della politica tradizionale. Mentre Massimo Cacciari spiega perché a lui Beppe Grillo proprio non piace.
COMICO Carlo Freccero
DA GRILLO PARLANTE A FATA TURCHINA
Zelig» come sa esserlo «un comico che sente il suo pubblico», ma anche leader politico che «batte le piazze» nel senso più tradizionale. Santone immateriale del Web ma anche tangibilissimo attraversatore di Stretti. «Grillo Parlante» che racconta verità scandalose, certo, ma ormai anche «Fata Turchina» che «impartisce a tutti noi Pinocchi i precetti per essere cittadini buoni». E, in futuro, chissà che altro. Perché il fenomeno Grillo è più complicato e spiazzante di quel che sembra. E in continua evoluzione.
Per testimoniarlo, Carlo Freccero, oggi direttore di Rai4, una vita da guru della comunicazione e grande osservatore della realtà, prende ad esempio l’ultima evoluzione, quella della campagna elettorale in Sicilia, che a suo avviso «dimostra l’esistenza di un percorso davvero molto articolato»: «Tutti pensavano a Grillo come a quello del sito, del blog, quello che aleggia coi comunicati. Invece lui ha stravolto tutto. E in questa campagna elettorale ha fatto il contrario: ha lavorato come un vecchio politico sul territorio, piazza per piazza, paesino per paesino. Nessuna presenza virtuale: una campagna elettorale tutta di prossimità, materialità, corpo, a partire dalla traversata a nuoto dello Stretto. Cioè, in teoria, proprio quella modalità che da nativo digitale avrebbe dovuto detestare. Non solo. Si è addirittura trasformato in un agit-prop umanistico, in buon pastore che grida “siciliani, dovete cambiare”, “convertitevi, oh siciliani” - proprio a loro, poi, i più cinici rappresentanti del niente cambia. Nulla a che vedere, comunque, con la filosofia Casaleggio, con la politica come algoritmo e ricerca del format per far sì che la gente controlli via Web la cosa pubblica. Perché questo Grillo non è più digitale, è analogico. Stupefacente».
Niente a che vedere, spiega Freccero, nemmeno con l’antipolitica. «L’ultimo Grillo non presenta nulla di oppositivo, nessun elemento di rivolta. Ha superato il ruolo di Grillo parlante, quello dello smascheratore di scandali che è stato per anni, e si è fatto Fata turchina, da attore è diventato maestro che spiega cosa fare per essere buoni cittadini. Lavoro, impegno, sacrificio. Si presenta come un nuovo don Milani, un sacerdote buonista che spiega la Costituzione. E che offre un modello di politica onlus, di impegno come volontariato: rappresentando, peraltro, l’unica alternativa in un panorama dominato dai tecnici, nel quale i politici tradizionali si sentono sempre più fuorigioco».
Insomma, spiega Freccero, quello di Grilllo è un lungo percorso che parte da anni di «controinformazione», passa per il Web, per poi ritornare «alla predicazione », realizzando una «versione americanizzata del lavoro porta a porta ». Il tutto, senza smettere d’attingere dall’esperienza di comico: «Essendo uomo di spettacolo, Grillo sa benissimo che con il pubblico non bisogna fare ragionamenti difficili, ma stabilire una complicità, fare appello all’affettività, alla risata, al sentimento. E ha trasportato in politica una modalità che in politica non è abituale: come ha fatto Berlusconi con la sua soap opera, ma offrendo al contrario la narrazione del realismo e dell’impegno».
VAFFA Michele Ainis
QUELL’INSULTO TRASFORMATO IN VOTO
C’era una volta il “vaffa”, l’insulto che il comico Beppe Grillo scagliava dalle piazze contro la casta politica. Oggi, invece, quel “vaffa” è l’anima di un movimento politico. Con voti ed eletti. Un collante, che tiene insieme un popolo che non soltanto protesta, ma va in massa alle urne. Non c’è da stupirsi, secondo il costituzionalista Michele Ainis. Anzi, questa trasformazione era un approdo prevedibile. I segnali c’erano tutti, spiega, si trattava di capirli: «Succede anche nella scienza, quando le eccezioni a un modello sono tante e tali da modificare il modello stesso», dice: «Per prima cosa il sentimento politico verso i partiti tradizionali, che aveva animato l’era di Berlusconi, s’è trasformato in un risentimento. E questo è avvenuto durante l’ultima legislatura. Ecco che il “vaffa” è diventato lo slogan del rifiuto di quel sistema, il grido che ammaina la bandiera della Seconda repubblica per alzarne una nuova, quella della terza, di cui ancora non sono chiari i colori».
A coagulare tanti “vaffa” diversi per storia, età, ceto, tutti insieme verso le urne a votare M5S, secondo Ainis sono stati tre fattori: un sistema immobile per troppi anni, con le stesse facce dal 1994; una spiccata capacità suicida dei partiti, che si manifesta con slogan e promesse che poi non vengono mantenute; gli scandali da destra a sinistra che hanno dato il colpo di grazia al sistema bipolare: «L’elettore ha urlato “vaffa” contro un’intera classe politica, identica a se stessa dall’arrivo di Berlusconi in poi, incapace di dare risposte nel cosiddetto decennio degli anni zero, durante i quali un Paese ricco e sviluppato ha cominciato a impoverirsi e crescere meno di tutti, meno addirittura della Grecia. Questo ha reso gli italiani più poveri e quindi più arrabbiati, ne ha svilito il senso di cittadinanza, il senso di rispetto per ciò che è pubblico», aggiunge Ainis.
Il harakiri dei partiti, poi, nasce dalla degenerazione del bipolarismo all’italiana, costruito per quasi due decenni su un referendum pro o contro Berlusconi, e combattuto a suon di promesse, sogni e annunciati miracoli. Promesse che non sono poi state mantenute, nemmeno quando il vaso del cittadino era ormai colmo: «Basti pensare che anche di fronte al risentimento delle piazze contro la cosiddetta casta, i partiti hanno promesso il taglio del parlamentari, ma poi hanno lasciato le cose come stavano, sottovalutando l’ondata di dissenso che si sarebbe sollevata». Stessa cosa vale per la legge elettorale, identificata negli ultimi mesi dagli italiani come la cartina tornasole dell’effettiva volontà del Palazzo di cambiare facce e metodi. «Una riforma che i partiti non hanno la capacità di portare a termine e che, nell’immaginario collettivo, è svilita dallo stesso, estenuante dibattito che non porta a una soluzione».
Ma il “vaffa” che spinge Grillo nei sondaggi, primo partito in Sicilia e altissimo in tutto il Paese, è anche l’eco degli scandali che da mesi ormai riempiono i giornali: «Lusi, Fiorito, Maruccio, Penati, e così avanti. Sono loro che hanno dato il colpo di grazia al sistema», continua Ainis: «Non importano i dettagli, i distinguo: c’è un fastidio trasversale, che non salva nessuno, che cancella ogni differenza fra i partiti e gli schieramenti. Il “vaffa” di Grillo intercetta proprio l’esigenza di fare piazza pulita, offrendo un ricambio reale e tout court. In questo senso il “vaffa” è anche il grido di chi vuole cacciare il politico di mestiere, di chi urla “siete tutti uguali”, di chi si fonde in un’area di dissenso senza confini, che mette insieme dopo anni i delusi della destra e della sinistra», continua Ainis. «È questo che la politica non ha capito, quando l’ha battezzato anti, finendo per coalizzare tutti e dare una mano proprio a Grillo». Secondo Ainis, dire che “vaffa” è essere anti, è come definire un palermitano extra-milanese: «Intepreta un sentimento partendo da una definizione di politica ufficiale, senza rendersi conto che è proprio quella definizione l’obiettivo di quel popolo». Al punto che è stato proprio il “vaffa” a generare i fenomeni con cui i partiti cercano di reagire al grillismo: «Renzi, la rottamazione, il successo dei referendum, le stesse primarie del Pdl nascono dal “vaffa”. Senza quello sono uno spettacolo che non avremmo mai visto. Un fenomeno salutare, dunque, per il Paese, una risposta alla crisi della democrazia partecipativa, una spinta che di antipolitico non ha nulla, anzi riporta fra gli elettori la voglia di esserci, di partecipare: proprio la base della politica».
PROGRAMMA Innocenzo Cipolletta
UN MENÙ FURBO PER SCEGLIERE “À LA CARTE”
Un programma «furbo», quello del movimento di Beppe Grillo, nell’analisi di Innocenzo Cipolletta, 71 anni, economista che, come molti, ha scaricato dal Web le quindici pagine d’intenti e le ha analizzate per capire il perché di tanto successo. Per concludere con quell’aggettivo: «furbo». Perché costruito completamente «con gli elementi che possono attirare l’attenzione di cittadini delusi, condiscendente verso i loro umori». Un misto «di liberismo, anarchismo e una spruzzata di dirigismo» (tanti “ismi” anche in evidente contraddizione) dove ciascuno, lui compreso, può trovare almeno un elemento convincente: «Nel mio caso, la parte sull’energia, dove si punta sul risparmio, soprattutto negli edifici pubblici, e chiede l’applicazione di molte delle direttive già emanate a livello europeo». Salvo poi negare la possibilità che si facciano inceneritori o nuove centrali «e su quello naturalmente non sono d’accordo».
Condividere almeno un punto è già qualcosa, in un’epoca in cui i partiti hanno perso ogni credibilità. Così l’ecologista ci si può riconoscere al pari dell’anticapitalista. Un menù «à la carte », zeppo di parole d’ordine che «attirano » ma che risulta «largamente prevedibile », in quanto «altro non è se non la somma delle conferenze, degli spettacoli e delle orazioni del leader». Lette tutte insieme sono in evidente e forte contraddizione. «Però Grillo, non avendo un obbligo di coerenza, può permettersi di prendere a destra come a sinistra. Ricorda la Lega degli esordi, ma è un’operazione che si può fare una volta sola e da parte di una forza politica che sta fuori dal Parlamento e cerca di avere visibilità e attenzione».
Il Movimento 5 Stelle dovrebbe augurarsi di perdere le elezioni, secondo Cipolletta, perché se le vincesse il suo programma risulterebbe totalmente inapplicabile, soprattutto nel settore che, per vocazione, più gli sta a cuore: l’economia. «Lì si possono leggere solo slogan e provvedimenti in negativo che riguardano la governance, come l’abolizione delle scatole cinesi in Borsa, delle stock option, dei monopoli di fatto e il divieto degli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale. In alcuni casi c’è qualche ragione, per carità, e ci vorrebbe più vigilanza. Ma contemporaneamente si chiede di abolire le autorità di controllo e allora il ragionamento non torna. Manca qualunque analisi seria, non si capisce quale ruolo debba ricoprire lo Stato, né si possono calcolare i costi di una ricetta che presentata così dovrebbe contemplare costi elevati per la collettività. Senza nemmeno una voce su come tagliare gli sprechi. Inoltre non c’è nulla su cose concrete, anche terra-terra, come, ad esempio, gli assegni familiari». In conclusione: «Non dice quale sistema economico vorrebbe. Segnala cosa togliere e cosa mettere come se si trattasse di un mosaico dalle tessere intercambiabili, quando si tratta invece di un disegno complessivo e che regge solo se c’è una visione d’insieme». In realtà, pensa Enzo Cipolletta, «nemmeno Grillo crede di poter governare perché non realizzerebbe nulla di quanto ha promesso. Gli conviene rimanere all’opposizione, continuare a urlare e proclamare vittoria ogni volta che una sua idea dovesse essere fatta propria della maggioranza».
Naturalmente tutto il capitolo che va sotto il nome “Stato e cittadini”, e che si dovrebbe invece definire “anti-Casta”, strizza l’occhio a un’opinione pubblica esasperata dalle ruberie e fiaccata dalla crisi. Il comico, in questo caso, come se fosse uno show, va in cerca dell’applauso, ricapitola una serie di gag che il pubblico apprezza. Nell’insieme, quindici pagine dove, raccogliendo le varie suggestioni dei suoi seguaci va dal micro al macro e viceversa con grande disinvoltura e a seconda di ispirazioni estemporanee. Tanto che si può passare, per usare un’iperbole,«dalla guerra alla Cina alla necessità di pulire due volte al giorno le strade».
C’è infine un altro elemento che Cipolletta apprezza e non sta scritto nel programma ma fa riferimento a un decalogo di comportamento: «Dopo il voto siciliano, Grillo ha detto che candiderà solo chi è da tempo nel movimento e chi non vuole salire ora sul carro del vincitore». In un Paese di trasformisti come l’Italia sarebbe sicuramente avvenuto, forse stava già avvenendo. Impedirlo, porterà altro conenso.
GIOVANI Sofia Ventura
VENDITORE DI FUTURO
Un movimento che parla agli esclusi. Dunque anzitutto ai giovani, «i più esclusi di tutti ». E che somiglia - per qualche verso e con le dovute differenze - all’operazione elettroshock di Matteo Renzi sul centrosinistra. È nel suo «messaggio di rottura», la chiave del successo di Grillo, secondo la politologa Sofia Ventura. Ed è così che si spiega quel seguito, impensabile per i partiti tradizionali, che i Cinque stelle ottengono nella fascia degli under 45, secondo uno studio pubblicato sul “Mulino”: 70 per cento fino alle amministrative di primavera, 55 dopo (quando l’aumento dei consensi ha allargato la base di riferimento). Con candidati sconosciuti, ingegneri o geometri la cui totale inesperienza politica è vissuta come un punto di forza, e appartenenti a un’altra generazione: alle amministrative l’età media dei 101 candidati alla guida delle città era 38 anni; Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma, ha 39 anni; 37 ne ha Giancarlo Cancelleri,il candidato presidente in Sicilia; 32 Roberto Castiglion, il primo sindaco di M5S eletto a Sarego; 27 quello di Mira, Alvise Maniero. Il 64enne Grillo ha la rottamazione incorporata. Spiega Ventura: «Chi non ha mai saputo cosa fossero i diritti dei lavoratori, o comunque vive in pieno la crisi dello stato sociale, come le ultime generazioni, è più sensibile al discorso di frattura con l’esistente portato avanti dal suo movimento. E lo è anche se poi - come è - al messaggio dirompente non seguono proposte concrete, reali. È lo stesso meccanismo che vale anche in Europa, per i movimenti populisti che in pieno crollo del Welfare raccolgono larghi consensi tra i giovani, provenienti dalla destra come dalla sinistra. E vale a maggior ragione in Italia, dove alla crisi economica si affianca quella del sistema politico». Elettori di qualunque estrazione che finiscono per rivolgersi ai Cinque stelle «non tanto perché si sentano traditi dal partito di provenienza, quanto perché non vi trovano risposte soddisfacenti ai disagi che vivono».
Il lavoro instabile , i soldi che mancano, uno Stato che chiede ma non dà. «In un momento come questo, le persone hanno bisogno di rassicurazioni, semplicità, parole d’ordine. E Grillo gliele offre: retorica complottarda, logica del noi e loro, nemici da sbaragliare. Con un linguaggio diretto, comprensibile, che coglie nel segno». Ed è tutto diverso rispetto ai politici che «sembrano parlare tra di loro e vivere in un altro mondo. Lui ha invece la capacità di porsi dal punto di vista del cittadino medio: sa interpretare un malessere profondo, ed esprimerlo secondo il senso comune ». Una semplicità, quella del capo politico del M5S, che è sconosciuta, dice Ventura, ai Casini, Fini, Bersani, ma non dissimile da quella di Silvio Berlusconi «il primo che ha portato in politica l’abitudine a farsi capire».
Tramontata l’era di Arcore, l’unico paragone possibile, nell’attualità, è con Matteo Renzi, il sindaco di Firenze: «Sia lui che Grillo utilizzano linguaggi che arrivano in modo diretto, pur nella diversità. E rispondono a una domanda di innovazione, presentandosi come fattori di rottura con il sistema preesistente: l’uno nel centrosinistra, l’altro a tutto campo».
ORGANIZZAZIONE Ilvo Diamanti
SUL PARTITO-AUTOBUS SENZA IDEOLOGIE
Un modello stratarchico, ovvero fatto a strati, al tempo stesso diffuso e centralizzato. Ilvo Diamanti, il primo studioso a intercettare il fenomeno Lega all’inizio degli anni Novanta, analizza da tempo l’organizzazione del Movimento 5 Stelle: «Assumono tecniche di partecipazione e di comunicazione molto innovative. Sono più avanti degli altri». Per descrivere il legame tra Grillo, gli aderenti al movimento e gli elettori Diamanti ha usato mesi fa l’immagine dell’autobus, ripresa da Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini sull’ultimo numero del “Mulino”, l’analisi più approfondita su 5 Stelle. «Sull’autobus ci sono gli abbonati, che partecipano attivamente ai Meet up degli amici di Grillo, poi ci sono i passeggeri occasionali, la platea più vasta degli elettori che salgono e pagano il biglietto. Il biglietto è il voto, in nome della sfiducia ai partiti. Infine c’è lui, l’autista, Grillo, un attore mimetico che sente le onde del pubblico ma anche un imprenditore politico che entra sul mercato elettorale e sa sfruttare le opportunità date dallo scongelamento dell’elettorato forzaleghista ma anche di quello che si opponeva, che si riferisce al popolo della Rete ma anche alla Piazza. L’autobus di Grillo, come quello della Lega, si riempie di passeggeri perché è molto pubblicizzato. Non solo dalla Rete. Ma dai “nemici”, i media tradizionali».
Il Movimento 5 Stelle è tre livelli insieme: il più semplice è il blog beppegrillo. it, poi i Meet up che raccolgono oltre 80 mila persone nel centronord ma anche al Sud, il più grande è a Napoli, infine c’è lui, Grillo, la sua leadership. «Un’esperienza puntiforme, reticolare, in cui i singoli gruppi, sorti per affrontare singole tematiche, ambiente, beni comuni ecc., hanno il massimo dell’autonomia e c’è un livello centrale che garantisce l’unità del movimento, che offre un’identità garantita da un marchio di cui Grillo è proprietario, padrone, e per questo può intervenire sugli altri livelli. Un modello lontano da quello del partito-azienda, interamente centralizzato, ma anche da quello del partito di massa tradizionale, con la sua scala gerarchica dal centro alla periferia». Un movimento che rifiuta la definizione di partito. «Ma piaccia o non piaccia il movimento è un canale di rappresentanza », reagisce Diamanti. «Chiamiamolo un soggetto politico che raccoglie i voti sull’arena elettorale, dunque un partito. E qui c’è il salto rispetto all’ispirazione originaria. Perché l’ideologia di 5 Stelle è la democrazia diretta. È la dis-intermediazione, saltare i passaggi che dividono il popolo dai luoghi in cui si decide. Per questo vengono attaccati i giornalisti: per il loro ruolo di mediatori. Ma ora quel modello è alla prova. Perché Grillo ora si candida alle elezioni. Per far saltare la rappresentanza tradizionale, entrata in crisi, scende anche lui sul terreno della mediazione. E deve affrontare problemi nuovi: come saranno selezionate le candidature? Come si fa a mantenere un’organizzazione che intende saltare le mediazioni quando eleggerà deputati e senatori, delegati senza mandato imperativo, rappresentanti e mediatori a pieno titolo?». Nell’organizzazione a strati, conclude Diamanti, spunta un modello antico: il catch all party, il partito pigliatutto, interclassista, trasversale, capace di contenere in sé diverse anime, come era la gloriosa Democrazia cristiana e i grandi partiti occidentali. «Ormai 5 Stelle interpreta classi sociali e anagrafiche lontane dal popolo della Rete. Ha al suo interno elettori di sinistra e di destra. L’autobus si è fatto molto affollato. E bisognerà dare ai passeggeri una buona ragione per continuare a pagare il biglietto».
Testi raccolti da
Tommaso Cerno; Marco Damilano; Gigi Riva; Susanna Turco