Manuel Bonomo, Sette 2/11/2012, 2 novembre 2012
DA BRESCIA A NAIROBI PER DIVENTARE PRINCIPESSA
A volte le favole diventano incubi. Ed è quello che è successo a un’avvenente signora bresciana, Rossana Mara Pluda, che non ancora trentenne andò a vivere e lavorare in Kenya dove, nel 1993, sposò il potentissimo Philip Moi, uno dei figli dell’allora presidente Daniel Arap Moi. Diventando, di fatto, la “principessa” Rossana Moi, perché un suocero che rimane al potere 24 anni, dal 1978 al 2002, è più un monarca che un presidente.
Fu un matrimonio lampo, deciso in 48 ore. Philip e Rossana avevano già avuto una relazione anni prima, quando lei lo incontrò per trattare l’acquisto di un terreno («la terra in Kenya apparteneva quasi tutta ai politici»), senza in realtà sapere chi avesse di fronte. «L’attrazione fu immediata e ci lanciammo in un’avventura splendida. Ma poi lo lasciai: Philip era troppo infedele».
Passione e diamanti. Un secondo incontro casuale nel 1993, con lui al volante di una Jaguar in una Nairobi deserta, fu di nuovo travolgente, ma questa volta ebbe un esito diverso: «La sera stessa mi chiese di sposarlo e io dissi di sì: aveva la fama di persona difficile da conquistare e ne ero incredibilmente attratta, completamente infatuata», ci racconta nella sua residenza a Nairobi.
Il matrimonio fu di rito civile, con i soli testimoni a fare da ospiti: un’amica italiana di Rossana e l’avvocato di Philip. «Un matrimonio ufficiale avrebbe significato tempi lunghissimi, mentre noi volevamo tutto e subito».
Lui le regalò due zaffiri, uno blu e uno giallo, e un preziosissimo diamante. Poi partirono per un viaggio di nozze all’insegna del lusso, tra Roma e la Svizzera. «Ma non mi amava, ne sono certa. La luna di miele era un business per lui: era fatta di incontri d’affari con me accanto, che ero bella, bianca e glamour, un fiore da mettere all’occhiello. Mi si rivelò subito per quello che era: un uomo privo di sentimenti, incapace di ogni affetto».
Ma per i primi 7-8 anni l’emozione di essere principessa bastò a superare ogni difficoltà. «Mi sentivo come in un romanzo o in un film: ero la fiaba di Nairobi. Potevo dire qualsiasi cosa e le persone si inchinavano, bastava una telefonata e ottenevo quello che volevo, in Africa come in Europa. D’altronde, ai tempi di Moi avere il potere significava poter decidere della vita e della morte altrui».
Ma la presenza delle guardie del corpo giorno e notte, l’assenza di incontri personali, la quotidianità scandita secondo i voleri del marito e i doveri di Stato, erano difficili da digerire. «Mi sono presto sentita chiusa in una prigione dorata: tutto era finto, ufficiale. Stavo in piedi per l’eccitazione di essere tramite fra leader africani potentissimi e mio suocero, il presidente Moi, che mi stimava e mi portava spesso con sé».
L’umanità Rossana la trova solo nella suocera, Lena («una donna straordinara, che credeva in Dio e si dedicava ai poveri»), e nei due figli, Talissa e Alexander, che oggi hanno 18 e 17 anni.
Nel 2000 la storia con Philip era completamente esaurita, ma tenuta in vita nella forma: ufficialmente erano ancora una coppia felice. «Philip divenne un tirchio tremendo, non mi diede più un centesimo e io finii per abitare nel cottage di casa. Lui non si risposò mai, ma ebbe decine di altre donne».
Accadde però un fatto grave. Rossana ebbe bisogno di soldi per far fronte a un’emergenza medica di un suo familiare. Philip rifiutò di aiutarla. Lei se la cavò grazie ad amici, ma fu allora che giurò di lottare per riottenere la propria indipendenza economica.
«In Sud Sudan avevo conosciuto Riek Machar, un guerrigliero che dopo l’indipendenza divenne vicepresidente del Sud Sudan. Mi invitò a Juba e mi presentò Jacques Hachuel Moreno, un magnate del petrolio. Insieme tentammo l’impossibile». E lo ottennero: la concessione per lo sfruttamento del petrolio del Blocco E e la nascita della società M-Oil, che oggi fa capo all’intraprendente bresciana.
La storia tra Philip e Rossana si è ufficialmente conclusa nel 2010, con la vittoria della causa di separazione da lei avviata nel 2008. Un evento che ha scatenato una bufera cultural-politico-sentimentale in Kenya. Il marito, d’altronde, gliel’aveva detto chiaramente sin da subito: «Chi sei tu per lasciare un Moi?». Rossana ha ottenuto la custodia dei figli, «che sono però liberi di vedere il padre quando credono», e 100mila dollari per il loro mantenimento («una sciocchezza per uno che possiede milioni»). Ora è pronta per il secondo round giudiziario: vuole il divorzio. «Mi son chiesta tante volte perché vado avanti con questa guerra: lo faccio per le donne del Kenya. Le incontro per strada, al supermercato, ovunque, e mi dicono di tenere duro, di farlo per loro», racconta.
Petrolio e politica. Rossana sfrutterà il suo cognome, oltre che per il petrolio, anche per darsi alla politica, sostenendo la campagna elettorale di uno dei prossimi candidati alla presidenza: il nome non è ancora dato saperlo, ma è lecito sospettare quello di Raila Odinga, l’attuale primo ministro, data l’amicizia che li lega.
«Sfrutto il mio cognome, anche se è un peso. Presto userò la mia notorietà anche per soccorrere i bambini soldato del Sudan e per fondare un’associazione che tuteli i diritti delle donne del Kenya».
D’altronde, ora che ha riconquistato la propria libertà («ed è stato possibile solo perché i tempi di Moi sono finiti, altrimenti sarei a pezzi sul Masai Mara»), Rossana Moi ha campo aperto in Kenya.
A breve pubblicherà un libro autobiografico «in cui ci saranno tutti i particolari intriganti della mia vita, come il mio incontro con Paul Kagame», l’attuale presidente del Ruanda. «Sono stata io a tirare le fila dei colloqui segreti fra Kenya e Ruanda per ripristinare i rapporti perduti dopo il genocidio: Moi stava con gli hutu, mentre Kagame era un tutsi. Con il tempo sono diventata più politica di una politica».