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 2012  novembre 01 Giovedì calendario

SONO STATO UN INGENUO: PENSAVO CHE ANCHE A UN POLITICO FOSSE PERMESSO CONDURRE LA PROPRIA VITA PRIVATA COME MEGLIO CREDE


[DOMINIQUE STRAUSS-KAHN SI CONFESSA]

Sedici mesi fa mesi fa Dominique Strauss-Kahn, ex direttore generale del Fondo monetario internazionale, era uno degli uomini più potenti della Terra. Le sue decisioni influenzavano il corso dell’economia, la sua candidatura all’Eliseo sembrava cosa fatta. Oggi vive come sospeso. Le sue vicende giudiziarie vanno per le lunghe, la sua carriera professionale si divide tra conferenze all’estero e l’attività di consulente, mentre la sua vita quotidiana sembra un reality, in cui il minimo movimento viene subito pubblicizzato sui social network, nei siti d’informazione e nei media. «Non ho più responsabilità pubbliche, non sono candidato a nulla» puntualizza. «Non sono mai stato condannato, né in Francia, né in un altro paese. Quindi non c’è alcuna ragione perché io sia divenuto l’oggetto di un attacco mediatico che in certi giorni sembra una caccia all’uomo. Voglio essere lasciato in pace».
Parla con voce ferma e apparentemente priva di emozioni, una combinazione di rabbia fredda e analisi ragionata, nello stile tipico di questo docente di matematica appassionato di scacchi, che gioca sempre più partite contemporaneamente su internet. Lo scandalo di New York, poi la denuncia della scrittrice Tristane Banon e infine il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul Carlton di Lilla hanno minato la sua carriera politica, come anche lui sa bene. Ora cerca semplicemente di riprendere una vita normale. «Non sono più un politico e neppure un personaggio» afferma. «Voglio poter disporre della mia libertà di andare e venire senza essere braccato, spiato, denunciato, come se fossi colpevole di chissà cosa».
I vicini della casa in cui si è trasferito, a Montparnasse a Parigi, si sono già abituati a vederlo passare. Più volte al giorno degli sconosciuti lo fermano per strada per scambiare due chiacchiere o fare una foto con lui. Nei ristoranti non è raro che qualcuno lo avvicini per dirgli parole di incoraggiamento. Sebbene ammetta di sentirsi talvolta a disagio, Dsk assicura di non essersi mai tirato indietro: «Non posso respingere le persone che comunque mi dicono frasi gentili» sottolinea. «Non ho mai ricevuto il minimo insulto. Neppure una parola ostile». Ma essere osservato come un animale da baraccone è diventato pesante. E vedere le sue occupazioni e frequentazioni diffuse in rete in tempo reale è ancora peggio. «C’è un fotografo appostato davanti a casa un giorno sì e uno no. Ormai ho imparato a riconoscere i paparazzi che mi seguono. Non sono aggressivi, ma la loro costante presenza è soffocante. E il giudizio morale che qualcuno esprime sulla mia vita privata non autorizza qualsiasi abuso».
Il ritorno dall’America l’ha proiettato in un’altra vita. Assolto da ogni imputazione dal procuratore di New York, ma umiliato dalla prigione e dal fiume di rivelazioni scabrose, Dominique Strauss-Kahn è arrivato a Parigi con la moglie, Anne Sinclair, accolto da un crepitare di flash e da una folla di giornalisti. Da allora la pressione si è solo lievemente allentata. Parallelamente al feuilleton giudiziario i media hanno narrato le vicissitudini della loro vita coniugale, le foto dell’uno senza l’altra, spesso affiancate a speculazioni sul futuro della coppia. Finché, il 31 agosto, l’agenzia France Presse non ha ufficializzato la loro separazione.
Per tutta l’estate i media hanno fatto la cronaca di qualsiasi faccenda personale di Dsk. In agosto soggiornava in Corsica dall’amico François Pupponi, suo successore al municipio di Sarcelles, quando un giornalista residente nel paese l’ha apostrofato accusandolo di avere attraversato un campo di proprietà di suo nonno. Il giornale locale ha riferito l’episodio, compresi gli insulti del giornalista. Diffuso di blog in blog, l’aneddoto ha presto occupato il primo posto nei siti d’informazione. Sempre in agosto, a Cadaqués, città balneare della Catalogna, si è ritrovato protagonista di una vicenda surreale. Mentre soggiornava nella villa di suo fratello e sua sorella, una raffica di tweet ha segnalato la sua presenza in loco. Racconta: «Una sera ero nel bar più frequentato del paese con mia sorella e suo marito, mio fratello e sua moglie, una cugina e due miei nipoti. Tanta gente ci ha salutato, chiedendo di farci una foto. Questo non ha impedito al giornalista di una testata parigina considerata seria di inviare un messaggio per dire che ero con una ragazza. Un altro ha scritto che ero con Anne [Sinclair] e che volevamo comprare una casa. Tutte menzogne. Perché inventare tutto questo? Tutti sanno che ho dei problemi con la giustizia» commenta «ogni fase del mio percorso giudiziario genera fiumi di articoli e di immagini. A volte ne soffro, lo trovo ingiusto, ma posso capirlo. È inaccettabile, invece, questa ingerenza nella mia vita privata e in quella di tutti coloro che incontro o frequento. Sapere con chi esco a pranzo, chi incontro e con chi passo il fine settimana non riguarda nessuno». L’allusione è chiara. All’inizio di settembre, le testate Vsd, Voici e Closer hanno pubblicato foto dell’ex direttore del Fmi in compagnia di una giovane donna, presto bollata come la sua «nuova compagna».
Anche se non ha reagito, confessa di non riconoscersi nel libro che gli hanno dedicato due giornaliste di Le Monde. «Le autrici hanno raccolto tutti i pettegolezzi che circolano sul mio conto da anni, perlopiù falsi. Hanno inventato scene, aggiunto presunte confidenze, ripreso vecchie inchieste nelle quali ero sospettato o perseguito, ma senza sottolineare il fatto che sono sempre stato dichiarato innocente».
Occorre fare una precisazione: dalle inchieste giudiziarie condotte a suo tempo relativamente alle sue prestazioni di consulenza per la Mnef (la Mutuelle nationale des étudiants de France) allo stipendio corrisposto alla sua segretaria dal gruppo Elf, o ai benefici fiscali concessi allo stilista Karl Lagerfeld, Strauss-Kahn è effettivamente uscito indenne. Sebbene la sua reputazione sia stata infangata, la sua fedina penale è pulita. «Molti se lo dimenticano» aggiunge «però io no». Nell’ottobre 2011 anche la denuncia per tentato stupro della scrittrice Tristane Banon è stata archiviata. La Procura di Parigi ha giudicato che, anche se potevano sussistere fatti qualificabili come «aggressione sessuale» (sebbene Dsk abbia ammesso solo di avere cercato di baciarla), il reato è caduto in prescrizione.
Allo stesso modo il 2 ottobre a Lilla è stata archiviata l’inchiesta su un altro presunto stupro. Il procuratore ha constatato che l’ipotetica vittima ha menzionato un «gioco sessuale accettato senza costrizione» e pertanto «il reato non sussiste». Tuttavia Dsk resta sotto inchiesta per «prossenetismo aggravato in banda organizzata» nel quadro del caso Carlton. Questa allusione gli fa alzare gli occhi al cielo. «Non ho mai messo piede in quell’hotel» reagisce. «La verità è che uno dei miei amici organizzava delle serate cui ho partecipato. Siccome c’erano anche delle prostitute, eccomi accusato di avere creato una rete di prostituzione al mio servizio, quindi di essere un prosseneta: è tanto fittizio quanto assurdo. Ho ribadito più volte che non sapevo che alcune di quelle donne fossero pagate per essere lì. Anche loro l’hanno dichiarato in giudizio. Avevano addirittura ricevuto l’ordine di non dirmelo».
Tuttavia il procedimento va avanti. I suoi avvocati hanno chiesto l’annullamento parziale dinanzi alla Corte d’appello di Douai, che si pronuncerà il 28 novembre. Rimane aperto anche il caso Sofitel di New York, il punto di partenza della sua discesa agli inferi. Il 23 agosto 2011 il procuratore americano ha archiviato definitivamente il procedimento penale per stupro negando qualsiasi credibilità alla sua accusatrice, Nafissatou Diallo, dichiarata colpevole di «numerose menzogne» prima e durante l’inchiesta. Comunque la cameriera ha presentato al Tribunale del Bronx un’istanza civile di risarcimento danni contro Dsk e questo procedimento è ancora in corso.
Strauss-Kahn non parla volentieri dell’arresto, avvenuto il 14 maggio 2011, e delle quattro notti trascorse nel penitenziario di Rikers Island. «È stato incredibilmente duro» sono le sue uniche parole, lo sguardo perso nel vuoto. «È bastato chiedere un sonnifero per ritrovarmi nella sezione riservata ai suicidi. Non avevo diritto ad abiti normali, neppure l’uniforme arancione dei prigionieri: solo una sorta di veste, come in ospedale. Non potevo neppure uscire dalla cella senza le catene ai piedi».
Nonostante il trauma subito, guarda alla giustizia americana in modo neutrale. «È un sistema che funziona. Ti sbattono in prigione, ti umiliano, ma è possibile che, dopo un mese e mezzo d’inchiesta, il procuratore scriva che si è sbagliato e abbandoni il procedimento. In Francia hanno forse più riguardi, ma dopo due anni sei ancora lì…».
Si saprà mai cos’è accaduto veramente nella suite 2806? Niente è meno certo. «I vincoli del processo civile mi impediscono di raccontare la mia verità» afferma. A Claire Chazal, su Tf1, il 18 settembre 2011 (la sua unica intervista finora) ha parlato di una «relazione inappropriata», che rappresenta una «colpa morale», ma «senza costrizione, violenza o aggressione». Anche queste poche parole vaghe sono oggi oggetto di rimpianto: «Quando Claire Chazal mi ha posto la domanda, avrei dovuto risponderle: questo non la riguarda. La cosa importante è che quanto è avvenuto in quella camera d’albergo non rappresenta una violazione della legge. Il resto non sono fatti che riguardano gli altri».
Il fatto che gli imitatori lo mettano alla berlina come maniaco sessuale sembra lasciarlo indifferente, però l’immagine di un uomo che brutalizza le donne l’ha distrutto. «Chi mi conosce sa che la violenza mi è estranea, addirittura odiosa» reagisce. «Anche in politica i miei amici mi dicevano che era un mio limite, che non ero abbastanza duro, che non ero capace di affondare il colpo decisivo».
Dsk deve sopportare anche la frustrazione dell’«appuntamento mancato» del 2012, ma se n’è fatto una ragione. «Ho dato una doppia delusione ai francesi e mi dispiace» riflette. «Sia a coloro che sono rimasti scioccati nell’apprendere cose della mia vita privata che non sospettavano sia a coloro che sono rimasti delusi dal fatto che, a causa del mio comportamento, non sono stato in grado di compiere il mio dovere».
Parla volutamente di dovere e non di ambizione. Benché fosse candidato alle primarie per la corsa alla presidenza della Repubblica, Dsk sostiene di non avere mai aspirato all’Eliseo, tantomeno alla campagna necessaria per arrivarci. «Nella mia vita non sono mai stato assetato di potere. Molti miei amici pensavano che prendessi troppo le distanze dalla politica. Un giorno, quando ero ancora direttore del Fmi, Nicolas Sarkozy mi ha chiesto quali fossero le mie ambizioni per il futuro. Per eludere la domanda ho risposto: tu all’Eliseo hai l’80 per cento di scocciature e il 20 per cento di questioni interessanti; per me al Fmi è il contrario. E lo pensavo davvero».
Se da un lato non vuole entrare nel merito della questione morale, ammette tuttavia l’esistenza di una forma di cecità nella conduzione parallela di una vita privata e una carriera pubblica difficilmente conciliabili. «Ho sempre pensato di poter condurre la mia vita personale come volevo, senza conseguenze per l’esercizio delle mie responsabilità, compreso un comportamento libero tra adulti consenzienti. Ci sono molte serate di questo tipo a Parigi: non immaginereste mai quali persone potreste incontrare. Sono stato ingenuo. Quello che può valere per un imprenditore, uno sportivo o un artista, non vale per un politico. Ho commesso un errore».
Dell’elezione di François Hollande non vuole parlare: «Mi astengo da qualsiasi commento sulla situazione francese e sul governo». I suoi legami con la politica attiva finiscono qui (la chiama «la mia vita di prima»). Il suo interesse per l’economia, al contrario, resta immutato. Ogni giorno ha scambi telefonici o via email con vecchi interlocutori francesi o stranieri in merito a diagnosi e valutazioni sulla crisi dell’euro e verifica le sue analisi di fronte a università famose o forum prestigiosi. Prima dell’estate confessava di avere saltuari momenti di noia. Ora sul suo iPad gli spazi vuoti si riducono sempre più.
La sua competenza e i suoi contatti lo hanno reso appetibile anche a fondi d’investimento e banche d’affari, come pure a organismi ufficiali che chiedono la sua consulenza con la massima discrezione. Questa attività lucrosa rappresenta ormai la sua principale fonte di reddito. In Africa e in Medio Oriente dice di essere stato addirittura ricevuto da alcuni capi di stato, ma anche questo deve restare confidenziale. «Un tempo» osserva «avevo dei vincoli, certe cose dovevano essere tenute segrete, ma sapevo perché: la politica e il Fmi imponevano regole di riservatezza. Ora che tutto questo appartiene al passato mi sembra normale volere recuperare, come chiunque, la mia libertà d’azione».