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 2012  novembre 01 Giovedì calendario

LA TERRA TREMA LA SCIENZA PURE


Terremoti e tribunali, scienza e previsioni. Dal 23 ottobre un brivido corre sui sismografi e lungo le schiene degli esperti della materia: da quando il Tribunale dell’Aquila ha condannato a 6 anni di reclusione 7 tra i massimi esperti italiani di terremoti, gli ex membri della Commissione grandi rischi, ritenendoli colpevoli di omicidio colposo plurimo perché in una riunione del 31 marzo 2009 avevano sottovalutato la probabilità della successiva scossa del 6 aprile, inducendo almeno 29 dei 309 morti di quella notte a non assumere cautele.
Fra Bruno Tinti, ex magistrato (è stato procuratore aggiunto di Torino) oggi editorialista del Fatto quotidiano, e Luciano Maiani, fisico, ex presidente del Cnr e nuovo presidente della Commissione grandi rischi, le posizioni sono irriducibili. «La condanna dell’Aquila è corretta» dice Tinti. «No, è uno sbaglio e apre solo un problema» replica Maiani. Non per nulla, il 24 ottobre lo scienziato ha annunciato le sue dimissioni dalla Commissione, subito imitato da altri scienziati: «Non per protesta contro il magistrato dell’Aquila» spiega «anche perché non conosco le carte processuali, ma per segnalare il problema della tutela di chi si espone a dare pareri che si prestano a controversie legali e penali».
La polemica, comunque, nasce dalla sentenza dell’Aquila. Voi cosa ne pensate?
Tinti. Per capire bene serviranno le motivazioni, ma intanto vorrei sottolineare che è falso che all’Aquila gli scienziati siano stati condannati perché non hanno previsto il terremoto. Sono stati condannati perché hanno detto alla popolazione «non c’è pericolo, state tranquilli», inducendo alcuni a non adottare le prudenze che fin lì avevano seguito.
Maiani Mi colpisce però che tutti gli imputati siano stati messi sullo stesso piano. Giulio Selvaggi e Mauro Dolce avevano partecipato alla riunione della Commissione non come suoi membri, ma esclusivamente come portatori di dati. Condannarli a 6 anni di galera e a 1 milione di multa mi ha lasciato assai perplesso. Di che cosa erano colpevoli?
T. Attenzione: compie un reato anche chi, potendo evitarlo, non fa nulla. Selvaggi e Dolce avrebbero dovuto dissociarsi. E dire agli altri: attenti perché state fornendo all’opinione pubblica assicurazioni che non dovreste dare.
M. In quel caso gli altri membri avrebbero detto loro di tacere, perché non avevano alcuna responsabilità decisoria. E comunque conosco bene Enzo Boschi e Franco Barberi, altri due condannati; davvero hanno detto: «Non ci sarà un terremoto»? Mi pare impossibile, incredibile. E non credo che la Commissione lo abbia escluso così definitivamente.
Professor Maiani, ma intanto le vostre dimissioni sono già operative o no?
M. Sono ancora in discussione. Ma siamo sempre operativi, comunque. Le dimissioni sono servite a portare alla ribalta il problema, più evidente da quando la sentenza ha mostrato la vulnerabilità del sistema. Commissioni come la nostra, fatte di esperti esterni, danno avvisi che spesso si prestano a controversie. E non solo all’Aquila. In estate, quando abbiamo detto che il sisma in Emilia-Romagna poteva continuare, i sindaci della zona hanno minacciato di citarci per procurato allarme.
Davvero?
M. Non abbiamo alcuna protezione: né la consulenza dell’avvocatura dello Stato, né un’assicurazione. Lavoriamo a titolo gratuito. È da gennaio che chiediamo garanzie. Finora abbiamo ricevuto solo dei no. Nei paesi avanzati tutto è diverso: la tutela è piena, con la sola esclusione dei casi di dolo. Da qui nascono le nostre dimissioni. Il rischio è che gli scienziati, vedendosi a rischio, si ritirino. Ma così l’amministrazione sarà costretta a scelte basate solo su formalismo o burocrazia.
Dottor Tinti, non è un problema grave, questo? E non crede che all’Aquila si siano confusi i livelli di responsabilità?
T. Non lo credo affatto. Il tema sollevato da Maiani, però, è centrale. E condivido in pieno la scelta delle dimissioni. Scienziati come lui vivono un perpetuo dilemma: se sono pessimista, m’incriminano per procurato allarme, di omicidio se sono ottimista. Va detto però che il procurato allarme è un reato doloso; lo compie solo chi sa di dire il falso. Ma il rischio di una ritirata degli scienziati esiste ed è grave: in America nessun ortopedico opera più alla spina dorsale perché quasi mai un intervento è risolutivo e il chirurgo si espone a troppi rischi. Per questo credo che lo Stato dovrebbe garantire i tecnici cui si rivolge.
Mettiamo però che lo scienziato dica: c’è l’elevato rischio di un terremoto. Così si ordina un’evacuazione, ma poi nulla accade. È certo che poi qualcuno gli chiederà i danni…
T. Impossibile. Anche all’Aquila sarebbe bastato che il 31 marzo 2009 i geologi dicessero: signori, il terremoto non si può prevedere, ma per ora non è prudente tornare a casa. Avrebbero salvato qualche vita.
E per quanto non avrebbero dovuto tornare a casa? Un giorno? Un mese?
T. Il terremoto è arrivato poco dopo, la notte del 6 aprile.
Purtroppo è il caso di dire che del senno di poi sono piene le fosse...
M. Il vero problema è che il lavoro dei geologi non serve a prevedere che cosa accadrà oggi, o tra un mese. Serve a classificare le aree sismiche, a creare mappe di rischio su cui basare le norme per chi edifica, e per costruire in base a quelle norme. Questo è il cuore del problema: all’Aquila le case non erano adeguate. E anche in Emilia, questa estate, poche case sono crollate ma molti capannoni industriali sì, perché non erano in linea con la sismicità della zona.
Ma a decidere l’evacuazione non è l’amministratore locale, il prefetto, la Protezione civile? Non deve essere loro la responsabilità?
T. Non sempre è così. Prendiamo un ospedale: un tecnico fa una tac, una radiografia, e allega un referto sbagliato. Il chirurgo poi opera e sbaglia. Però la colpa, la prima responsabilità, ricade sul primo tecnico che ha indotto l’errore.
M. Ma è un campo diverso. Da scienziato, sono chiamato a dare un’opinione per esempio sulla sismicità dell’area del Pollino: sulla base di quella opinione la Protezione civile decide se evacuare o no. Se io so che verrò tenuto responsabile anche di quella decisione, ho paura. Non sono più libero.
T. Dipende se la sua opinione è giusta o sbagliata.
M. E chi lo dice? Una cosa è una lastra, una tac sbagliata. Ma in queste commissioni sulla sismicità, così come quelle sul farmaco, si devono fare scelte sempre opinabili, con incertezze anche gravi. Lo scienziato deve sapere che, dopo che ha dato un parere, resta libero rispetto alle decisioni che ne derivano. La decisione di agire si deve basare su altre questioni: ordine pubblico, compatibilità economica… I due piani devono restare separati.
T. Non c’è dubbio che lo scienziato deve dare il parere e che raramente sarà una verità al 100 per cento. Nella sismologia e nella medicina i pareri devono essere probabilistici. Resta comunque il fatto che all’Aquila, nel 2009, il parere era sbagliato: gli scienziati riuniti hanno detto che il terremoto non ci sarebbe stato. Perché «dovevano» tranquillizzare la popolazione. Sta tutta lì la loro responsabilità.
Ma dottor Tinti, se lei oggi dovesse dare un parere sul Pollino non si sentirebbe più vulnerabile, dopo la condanna aquilana?
T. No. Quando devi prendere una decisione, adotti sempre quella più prudenziale, fai una scelta conservativa. Come nel caso della condanna di un possibile innocente: lo mandi libero.
M. Dissento. Una cosa è lasciare fuori un presunto delinquente. Ma se dovessimo assumere l’atteggiamento più conservativo in campo sismico dovremmo evacuare l’80 per cento delle città italiane. Per esempio, dovremmo evacuare Ferrara.
Addirittura. E perché?
M. Non vorrei fare allarmismi, ci mancherebbe. In Emilia-Romagna, in luglio, lo sciame ha interessato metà di una faglia ad arco, da Mirandola a Ferrara. Il sospetto, teorico, è che in futuro possa riguardare l’altra metà. Verremo chiamati a valutare. Nel frattempo, però, i protocolli sono stati cambiati e si sta lavorando all’adeguamento dei capannoni.
Ma la massima cautela è criterio corretto?
M. No, è mortale. Se dovessimo dimensionare le costruzioni sul massimo terremoto possibile, dovremmo dire che l’Italia è a rischio come San Francisco e trasformarne le case in bunker. Così dovremmo spostare immense risorse dai vaccini o dalla sicurezza stradale. E si morirebbe d’influenza o al minimo incidente. Sarebbe giusto? No. Per questo dobbiamo bilanciare la protezione contro i rischi in maniera ragionevole. Per questo si fanno le carte sismiche su base probabilistica. Lasciando margini ai decisori politici.
T. Però tutto questo non c’entra con il processo dell’Aquila.
M. La sentenza si basa su una negligenza o su un errore. Davvero l’errore c’è stato? Vedremo. Io, comunque, ne dubito.
Professor Maiani, ora però si assuma la responsabilità di dire com’è la situazione nell’area del Pollino.
M. Ci sono sciami ricorrenti e piuttosto superficiali. Non è chiaro se possano interessare faglie più profonde e diventare più pericolosi. I modelli che abbiamo consultato dicono che, dopo uno sciame, la probabilità in qualche misura cresce. Quindi oggi la possibilità di un sisma è più elevata. La risposta corretta? Continuare a stare attenti, usare risorse per i soccorsi,verificare gli edifici a rischio. È una zona sismica. L’unica difesa è un’edilizia appropriata.