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 2012  ottobre 30 Martedì calendario

M a nu a l e del Buon Giudice – Nelle mie ultime interviste, non più di due in un anno, c’è una frase che ricorre e che non riesco a far piazzare, quindi me la scriverò da me: “Invece di tenerne in carcere sessantamila, basterebbe mettere dentro seicento intoccabili, a parte gli assassini rei confessi, e buttare la chiave; sarebbe così risolto civilmente e umanamente e politicamente ed economicamente il problema del sovraffollamento”

M a nu a l e del Buon Giudice – Nelle mie ultime interviste, non più di due in un anno, c’è una frase che ricorre e che non riesco a far piazzare, quindi me la scriverò da me: “Invece di tenerne in carcere sessantamila, basterebbe mettere dentro seicento intoccabili, a parte gli assassini rei confessi, e buttare la chiave; sarebbe così risolto civilmente e umanamente e politicamente ed economicamente il problema del sovraffollamento”. Magari qualche mese di galera si potrebbe dare anche a quei gip in cerca di pubblicità o di provato zelo verso la morale comune, sebbene sempre meno comune, che fanno propri gli scapricciamenti di menti affette da mania di persecuzione, da ansia da protagonismo o da noia esistenziale, perché spesso nella mia esperienza di imputato ad apparire davanti a una corte di tribunale, sempre per motivi culturali e per disamine dialettiche che in un mondo non kafkiano si risolvono con una discussione da bar, avrei più volentieri controquerelato e smascherato un gip insospettabilmente stolido, se la legge me lo avesse permesso, che non lo stolido manifesto la cui strampalata querela era stata accolta e portata avanti con grande e frivolo scialacquio di denaro pubblico. Penso ai poveri ragazzi di Scampia, e non solo Ai ragazzi siciliani, calabresi, pugliesi, napoletani, romani, torinesi, veronesi, bresciani e di ogni altra regione d’Italia che, spesso drogati a loro volta, spacciano droga e vengono costantemente pestati, ricattati, pedinati, riempiti di ovuli di cocaina che devono ingurgitare e che, quando gli va bene, finiscono in carcere per un po’ e possono finalmente allungarsi su una branda e desiderare di non svegliarsi più tanto è il sonno arretrato; penso ai ragazzi africani e sudamericani senza orizzonte che, agli ordini di italiani, vagolano di parco in binario in piazzetta in oratorio in discoteca con la loro merce di morte di cui sono morti ambulanti, casualties senza nome e cognome in tempo di pace, e non posso non sentire un moto di pietà e di tenerezza e persino di solidarietà: sono gli autentici martiri della nostra società vile, bieca, vecchia, sfruttatrice, dei nostri governi di malaffare, di una magistratura allo sbando che se la prende sempre coi pesci più piccoli e si espone a verdetti sempre più incomprensibili, ridicoli o palesemente tendenziosi e che si ammazzano l’un l’altro di grado di giudizio in grado di giudizio e che ormai, contrariamente al detto che le sentenze non si commentano, vengono, giustamente, sempre più commentati e dileggiati da opinione pubblica, stampa, televisione, Internet (gettando ludibrio contro un magistrato anche a torto, secondo me, come è accaduto con il giudice Marco Billi e la recente sentenza del Tribunale de L’Aquila che è contro gli scienziati colpevoli non di non aver divinato un terremoto ma di aver divinato un non terremoto, arrogandosi a fini mediatico-politici il diritto divino di rassicurare per un verso o per l’altro una popolazione stremata da uno sciame sismico senza fine le cui contromisure non potevano essere né dettate dall’esterno né collettivamente prese, laureati cervelloni di cui tutto ciò che si potrebbe dire è che si sopravvalutano, nel senso che sopravvalutano se stessi e vengono sopravvalutati prima delle catastrofi e si ridimensionano dopo, allorché sarebbe sensato farvi meno ricorso durante e in pianta stabile: se mi trema il pavimento sotto i piedi e i mobili mi vengono addosso, aspetto il parere dello scienziato-sciamano bertolaseggiante per uscire di casa o è meglio che continui a fidarmi del mio istinto?). Tuttavia, ormai è assodato: quando uno non vuole studiare o non sa che fare o è uno svogliato figlio di papà, trovando che Scienze della comunicazione è troppo impegnativa, si iscrive a Giurisprudenza. Per male che ti vada, una volta vinto un concorso, sempre sperando che non nascano diatribe su come e perché e grazie a chi lo hai vinto come spesso avviene in tutta la zona grigia dei concorsi di Stato in Italia, puoi arrivare a presidente di Cassazione contando sui meri scatti di anzianità, fossi pure uno coi capelli dentro il cranio e il cervello ben pettinato fuori. (...) Da qui, la grande corsa alle iscrizioni alla facoltà di Giurisprudenza, magari pure iniziata a Brescia e, con tre anni fuori corso, coronata con un esame alla Corte d’appello di Reggio Calabria – per fregiarsi del titolo di avvocato – e poi via a occupare secondo merito e quindi impunemente una poltrona di ministro per poi illuminarci su un tunnel di neutrini tra la Svizzera e l’Abruzzo! Le droghe sono tante e ognuno di noi ha la sua Ma se a tanto trionfo istituzionale non perverrai, può sempre toccarti la gloria di stabilire dal più alto scranno, per esempio (da una notizia datata 11 luglio 2012), che “sgrullare la tovaglia dalla finestra non è reato” – immagino le bottiglie di champagne che verranno stappate in certi bunker molto ben arredati alla conferma che anche in Cassazione continuano a occuparsi di simili trasgressioni all’etichetta di buon vicinato e a sveltire aggiornandolo, dopo anni di udienze nelle dovute procure, il Galateo di monsignor Della Casa. (...) Altrimenti, se la toga ti sta stretta, ti ci togli e entri in politica o alla meno peggio, se poi finalmente erediti di brutto e ti sei stufato di fare la spola tra una procura e il campo di golf non proprio a un tiro di schioppo, apri uno studio legale, diecimila più, diecimila meno: ah, la riforma della Giustizia senza una riforma dei filtri culturali, intellettuali, umanistici, linguistici, laici, informatici, etici, estetici e, non ultimi, psichiatrici (sul tasso di egolatria, di arroganza congenita, di complessi di inferiorità pronti a mascherarsi del contrario, di crudeltà mentale e di eventuali tossicodipendenze, esame questo da ripetere ogni semestre, ovviamente con governanti e parlamentari che per primi diano il buon esempio)! Occorrerebbe uno screening di ben altra portata che non una sola laurea specifica (?) per entrare a far parte degli organi di Stato! (...) Ma ritorniamo ai piccoli spacciatori: se la richiesta di droghe, lecite (psicofarmaci) e illecite, aumenta in maniera esponenziale per far fronte alla semplice tragedia di doversi svegliare, compiere un lavoro o un non lavoro o il lavoro di cercarne uno e addormentarsi un po’ in questo tipo di assetto lavorativo e disoccupazionale, significa che sempre più gente altro rimedio non trova che assumere una droga, gesto abitudinario diventato ormai basilare per reggersi almeno in piedi come per me mangiare pane e caffelatte. Perché tanto moralismo sulle droghe degli altri? Ognuno ha le proprie, vere o traslate che siano, ma le seconde non meno vere anche a livello cerebrale: grafomania, religione, calcio, social network, gratta e vinci, slot machine di Stato, corsa al potere, al denaro, quiz televisivi dove il denaro lo si regala, turismo sessuale, picchiare moglie e prole, fascistissime incursioni di “black bloc di destra” nelle scuole dove impera silente, sedata, l’incursione cattocomunista, caccia a specie in via di estinzione, apostolato solo nelle case dei più abbienti, mettersi ai crocicchi senza segnaletica e dare informazioni stradali rigorosamente sbagliate, il bondage con esiti tragici per svista, il colpo in canna partito per sbaglio... La produzione di cannabis e l’industria delle armi Se non si imprigionano medici di anta e passa anni che prescrivono una porcheria lecita via l’altra anche per bambini irrequieti, perché si sbattono in carcere ragazzi che tirano a campare con una decina di dosi di qualche schifezza illecita (?) comperata da milioni e milioni di depressi, di autodistruttivi, di accidiosi, di infelici malmostosi, di inibiti danzatori con disfunzioni erettili ai quali solo la lotteria di censo economico famigliare permette di essere coloro che comprano indisturbati senza vendere anche la pelle? La verità è sotto gli occhi di tutti: la produzione di cannabis e di papavero, determinando l’industria delle armi, determina l’attuale economia mondiale. Ecco perché i sequestri (da navi, valigie, stomaci) sono sempre dimostrativi e di preferenza esibiti davanti a uno schieramento di telecamere o perché un pesce che piccolo non sia in carcere ci sta infinitamente di meno di uno che più piccolo, spesso anche di età, non si può: ragioni superiori, ragioni di “equilibrio globalizzato”, spicciola psichedelia planetaria compresa. Sì all’a m n i st i a , no ai suicidi di Stato Non capisco perché la cocaina debba essere sottoposta alla commedia della discriminazione giuridica più della farina geneticamente modificata: ma se la farina è ormai tutta così! E presto rimpiangeremo anche questa. Se chiunque si droga a modo suo, se tutti, infine, si drogano, nessuno si droga: se tutti vanno contromano, ormai il senso giusto di marcia è altro rispetto a quello che era una volta. Al massimo verranno addosso a me, che in un anno berrò dieci litri di vino e in tutta la mia vita avrò preso cinque volte una pastiglia contro il mal di testa. Sì all’amnistia, basta coi suicidi di Stato: le carceri vanno svuotate subito almeno di un 30 per cento dei detenuti, si è già abbastanza ingabbiati e puniti fuori. Ps. Ah, dimenticavo: poiché non si dica a vanvera che “anch’io” ce l’avrei su coi giudici (e ne avrei ben donde, ma non c’è alcun motivo particolare che mi muove alla critica, a parte il mio amore per le istituzioni e i loro depositari se sono irreprensibili), sono costretto, contro la mia volontà, a rendere noti i dedicatari del mio romanzo El especialista de Barcelona, in uscita per Dalai editore il 13 novembre: “A Aung San Suu Kyi, al martire Federico García Lorca, all’ex giudice Baltasar Garzón, al magistrato Antonio Ingroia”. Ci avrei messo di cuore anche Ilda Boccassini, ma rischiava di diventare un omnibus, sarà per la prossima corsa, e, come ho fatto con Ingroia, anche a lei chiederò il permesso. Perché un attestato di stima da me, se non hai il carattere per apprezzarlo e difenderlo, può esserti fatale, e non vorrei certo essere di nocumento a qualcuno che mi ispira affetto intellettuale, civile, politico. Come ho già scritto, si deve chiedere il permesso anche per fare una carezza, perché potrebbe essere subita come un atto di violenza occulta, dalla maligna finalità, di indebita appropriazione dell’accarezzato – io ho passato la mia vita sociale, quando ancora ne avevo una, a staccare dalle mie spalle braccia che vi si posavano proditoriamente e a dire a gran voce ai malintenzionati di tenere giù le zampe, visto che stavano a significare ‘è dei nostri’ senza aver mai chiesto il mio parere sul ritrovarmi annesso. Basta con la rassegnazione istituzionalizzata Fermo restando che forse anche le persone perbene... contribuenti totali, padri e madri responsabili che invece di incitare alla ruberia e alla furbizia e all’inclinazione alla prostituzione insegnano la forza d’animo, la dignità, lo spirito di sacrificio e a stringere la cinghia nei momenti avversi... dovrebbero ribellarsi alla tanta retorica in giro su mafia camorra & ’ndrangheta. Non perché sia retorica, ma perché è vissuta dal popolo e dalle istituzioni rassegnatamente quale inerte retorica: o agli imprenditori locali si sono semplicemente sostituiti imprenditori “di fuori” e da quarant’anni a questa parte, allorché per farsi assumere anche in una fabbrica di amianto occorreva la raccomandazione del prete e del sindaco, ben poco è cambiato per la stragrande maggioranza dei cittadini... e se sì gli sta bene così... o lo Stato mandi eserciti in “missione di pace” anche nelle nostrane terre di nessuno, cominciando dalla Lombardia. Non è più tempo di mezze misure: o il problema non sussiste o si interviene con mezzi radicali. Sarà un’ingenuità, ma se secondo le memorabili parole nel vicinissimo 2001 di Pietro Lunardi, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, “con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole”, se cioè con le mafie si tratta in pianta stabile, una volta sdrammatizzate si dovrebbe poter trattare e convivere di tanto in tanto anche con lo Stato. Farebbe bene anche allo Stato: se con lui si tratta, significa che c’è anche lui o che almeno gli si dà modo di esserci o di non essere tutt’uno con le mafie con cui tratta. Già che ci sono: recita l’epigrafe del mio romanzo tratta da Walden (1854) di Henry David Thoreau, “La massa degli uomini vive vite di quieta disperazione. Quella che viene chiamata rassegnazione è disperazione istituzionalizzata”.