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 2012  novembre 02 Venerdì calendario

GERMANIA-ITALIA SCONTRO A COLPI DI NOTE


Siegfrid, in ottobre, poi, il 7 dicembre, la serata inaugurale della stagione col Lohengrin. È una Scala wagneriana assai, quest’anno. E qualcuno ha storto il naso, un po’ per sciovinismo musicale – ma come, siamo alla vigilia dell’anno verdiano… – un po’ per fresche cicatrici di soggezione economico-politica verso la stirpe teutonica, impersonata nelle fattezze – in verità, tutt’altro che bellicose – di Angela Merkel. Ora, i rapporti fra Penisola e Germania sono tema abitualmente spinoso. E non importa tornare alla sempre rievocata copertina di Der Spiegel col piatto di spaghetti guarnito da una pistola mafiosa. Nel senso che si può andare anche più indietro: praticamente tutto il “secolo breve”, per noi, scorre sul filo di un legame tempestoso, se non definitivamente ostile, con la nazione europea, al pari nostro, di più tarda unità. «In effetti, storicamente non abbiamo mai avuto rapporti troppo felici con i tedeschi: bisogna risalire al 1866, quando ci aiutarono a conquistare il Veneto. Certo, salvo la parentesi del Patto d’acciaio, ma anche quando combattevamo insieme nei nostri geni veniva a galla spesso l’antico odio», osserva uno storico come Arrigo Petacco che ha lavorato molto sul periodo fascista: «È indubbio che, nelle generazioni più vecchie, la parola “tedesco” non evoca bei ricordi. Anche se non credo che queste cose valgano in campo musicale». C’è invece chi sposa appieno la scelta di Wagner, come Renato Mannheimer: «Io penso che l’apertura con Wagner rientri in una tradizione scaligera degli ultimi anni e trovo sia utile continuare questo ciclo. Poi non vedo proprio questa ostilità della popolazione italiana verso i tedeschi». O chi se ne fa addirittura battagliero alfiere, come Giorgio Montefoschi: «Questa polemica non sta né in cielo né in terra. E poi è anche l’anno di Wagner. Figuriamoci, io, tra una settimana, vado a Londra per vedere il Sigfrido al Covent Garden… E che sarei, un traditore della patria?». Sulla stessa linea, Gaetano Pecora, studioso che ha riportato a nuova gloria un meridionalista come Gaetano Salvemini, che però la prende più larga e più colta: «Mi vengono in mente due testi usciti per l’appunto lo stesso anno, il 1936. Il primo è di Walter Benjamin, si intitola Uomini tedeschi e spiega come la Germania non sia quella “ufficiale”, come nella cultura abbia espresso valori universali, nei grandi personaggi e negli umili. Nello stesso periodo, Benedetto Croce pubblica un articolo su un giornale di Berna: La Germania che abbiamo amato. Sintetizzando molto, il concetto è analogo: i pensatori, i poeti, i grandi politici respirano dell’universo ed è una sciocchezza distinguere tra tedeschi e non tedeschi».

Sentimenti contraddittori. Un po’ meno ironica è un’altra storica che si è dedicata alle vicende del Novecento italiano, Simona Colarizi: «Non credo che nessuno si faccia turbare dal primato wagneriano nella stagione scaligera, certo il nostro sentimento verso la Germania è un po’ ambiguo. Anche durante la parentesi dell’Asse, l’opinione prevalente era molto negativa. Lo spirito pubblico del Paese – e Mussolini lo conosceva e lo seguiva con attenzione – era contrario all’alleanza con Berlino. Per due ragioni: perché non piaceva l’omologazione tra fascismo e nazismo e perché significava abbastanza chiaramente guerra. Aggiungo che tutto questo è contradditorio con l’influenza tedesca sul nostro sviluppo industriale: in questo campo dobbiamo molto più a loro che ad altri Paesi europei».
Valerio Castronovo, invece, liquida la querelle: «Non credo che nessuno possa aver niente da ridire. L’essenziale è che sia un’ottima esecuzione. E questo, con Wagner, non è semplicissimo».
Seguito a ruota dall’accademico Mario Isnenghi: «L’animo italiano esiste, ma non può sentirsi urtato da questa scelta. Nulla può impedirci di ascoltare volentieri Wagner». Mentre Alfio Caruso, che ha da poco dato alle stampe per Longanesi una ricostruzione della battaglia di Stalingrado, se la cava con una battuta scherzosa: «Io sono fermo a Woody Allen. Che, in Omicidio a Manhattan, quando sente la musica di Wagner ha subito voglia di invadere la Polonia. Sarei ripartito con Verdi, per riaffermare quello che siamo e quello che vogliamo essere…».
Invece l’editore Alessandro Dalai vede la prima scaligera quasi come un gesto diplomatico: «Mi sembra sia un segnale di appianamento per la pancia degli italiani che, quando sentono la parola tedesco, pensano a qualcuno che vuol mettere mano ai loro portafogli. Insomma, mi pare un segnale popolare che può servire a placare i nostri sentimenti più bassi».
Studioso anche lui delle vicende nazionali moderne, Francesco Perfetti introduce alcuni elementi più specificamente musicali: «Bisogna innanzi tutto ricordare il rapporto stretto tra Wagner e l’Italia. Non solo per i tanti viaggi e perché l’ha molto amata, ma anche per la sua ammirazione verso la nostra musica: se non sbaglio, una volta, disse che solo Beethoven superava Rossini. Detto questo, non credo che valgano letture politiche delle scelte musicali, anche se l’antigermanesimo, in Italia, ha una tradizione lunghissima, di recente ravvivata dalle posizioni della Merkel».
Alberto, erede di Giovannino Guareschi, chiude così la querelle: «Sono verdiano fino al midollo delle ossa come era mio padre. Ma non mi pongo neanche il problema: la musica e la cultura dovrebbero essere sopra i confini e le passioni politiche. Vorrà dire che gli spettatori della Scala, seguendo il programma, si potranno poi rifare la bocca con Verdi…».