Oliviero Beha, il Fatto Quotidiano 30/10/2012, 30 ottobre 2012
Arbitri, il dibattito no! – Dopo Catania-Juventus siamo tutti catanesi, parafrasando John Kennedy a Berlino spaccata 50 anni fa
Arbitri, il dibattito no! – Dopo Catania-Juventus siamo tutti catanesi, parafrasando John Kennedy a Berlino spaccata 50 anni fa. Neppure lo sceneggiatore più creativo avrebbe potuto immaginare il copione del Massimino, ex Cibali (vergognoso al Massimino in effetti suona cacofonico...). Dunque il “siamo tutti catanesi” si potrebbe tradurre anche grossolanamente in “siamo tutti anti-juventini”, interpretando il sentimento rotondofobico del resto d’Italia. Eppure ci starebbe una lettura anche insolita, del tipo contrario come “siamo tutti juventini”, lettura provocatoria che va interpretata da subito. Se uno tifa Juventus senza avere interessi materiali né coinvolgimenti nel glorioso club della Vecchia Signora quanto mai in spolvero in un Paese così vecchio, dovrebbe offendersi. Dico davvero. Ma non per la reazione catanese o anti-juventina, bensì per quello che è accaduto domenica a Catania al volger del mezzogiorno, dunque in un orario insolito nel quale l’attenzione di un po’ tutti i calciofili si poteva concentrare anche di più: con le partite alla stessa ora le nequizie si mescolano meglio, di solito… TORNIAMO agli juventini. Dovrebbero offendersi, invece di incamerare così l’ennesimo stratagemma. Una simile sperequazione, un’ingiustizia, una macroscopica difformità di giudizio pro-Juve quando una squadra non perde da 48 partite consecutive in campionato dovrebbe essere vissuta da uno juventino serio come un’offesa, un insulto, un vulnus alla sua juventinità. Ed è ridicolo, proprio per la disparità di risultati, poi accampare un “comunque siamo più forti”. E che vuol dire, a maggior ragione non vi pare? Quello che è accaduto a Catania, e le modalità dell’episodio con quel parlamentino arbitrale che in altre circostanze sarebbe riuscito grottesco se non fosse stato il culmine di una situazione di disagio un po’ per tutti, dovrebbe colpire lo spettatore e l’aman - te del calcio in tv o nelle chiacchiere, quella rotondolalia che costituisce l’indotto favoloso della rotondocrazia: così davvero è tutto finto, e non si può pensare al bello del calcio perché Davide batte Golia (aveva la fionda, è vero, ma nella metafora articolata l’arbitro gli leva la fionda e Golia-Juventus picchia il piccolo Davide senza turbamenti). Insomma, io juventino chiederei regolarità dei campionati. E invece non sarà così, il tifo prevede la franchigia dell’au - gurarsi che la propria squadra vinca comunque, anche comprando gli arbitri, caso meraviglioso e di scuola purtroppo temo non riscontrabile in questa circostanza. Tutta la leggenda degli arbitri in auto della casa torinese, Fiat voluntas loro, e ho scritto leggenda perché fa più figura, sarebbe molto più semplice per spiegare ciò che è avvenuto domenica. E invece si tratta semplicemente di arbitri che sbagliano perché “in carriera”, perché da sempre tengono d’occhio le caste calcistiche, perché il Catania ci rimette contro l’Inter l’altra domenica e non succede granché e davvero stavolta Gervasoni e soci la devono far grossissima perché ci sia un moto di rivolta. Subito rientrato. Quel Rizzoli protagonista della pantomima a Catania come arbitro della porta incriminata (è ovvio che fosse stato dall’altra parte si sarebbe regolato all’opposto...) già stasera viene designato per Palermo- Milan, come se niente fosse. E il presidente del Catania, Pulvirenti, che ha giustamente strepitato come raramente in passato, deve essere rifuso nelle prossime partite, possibilmente ai danni di squadre ancora minori, meno abilitate a protestare perché di peso minimo in Lega, che condiziona la Federcalcio, che nomina i vertici arbitrali sia pure indirettamente, che dicono a Tizio, a Caio e a Sempronio, ai Gervasoni/Rizzoli/Maggiani più gli altri tre della famigerata sestina come regolarsi. È SEMPRE stato così. Quando la Juve era in disgrazia post Calciopoli, erano mazzate, adesso è tutto tornato come prima, ma per la Juve così come per gli altri. È guasto il Paese, è guasto il calcio, è guasto il tifoso che vuole vincere comunque (anch’io per un momento mi sono congratulato con me stesso per il gol annullato a Mauri, a Firenze, ma devo essere uno sbagliato perché un secondo dopo ho riconosciuto che era buono). E a chiunque richiami la “franchi - gia” umorale del calcio, forse va ricordato che il tifo esonda oltre il calcio, nella politica, nell’irra - zionalità, nelle contrapposizioni solo di superficie ecc. Un Paese così ha nel pallone la sua cartina di tornasole, e l’eponimo Bergessio è stato prezioso: ci ha detto, urlandocelo, che non è calcio ma catch, è finto (modello il Roland Barthes de I miti d’oggi del 1956 sulla finzione di uno sport recitato), e se facciamo quasi finta (finta?) di niente è perché in fondo ci sta bene così. Sta bene così alla cittadella calcistica piena di magagne, che ha inventato prima tre, poi quattro, poi sei “decisionisti da campo” che nel vortice delle loro comunicazioni via telefono e palmo davanti alla bocca annullano triturandole le loro responsabilità. Ghigliottinare 6 persone è più difficile e meno immediato che rosolarne una distinta. Sta bene alla stampa, che specie nelle sue performance televisive ci regala la solita verve “protezionistica” contraria a ogni forma di sia pur lieve giornalismo per sapere e non per confermare con lunghissime domande a preservare le risposte, come un vaccino per la malattia di una discussione seria, hai visto mai. Così al Cibali tutto resta com’è, clamoroso in apparenza, ma stantio e inappetibile nella sostanza, e chi continua a scriverlo si sente un cretino. Quasi meglio sostenere che El Shaarawi è il nipote di Mubarak. www.olivierobeha.it