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 2012  novembre 01 Giovedì calendario

Ponzellini: “Silvio, che piacere” Il fascino discreto della piaggeria – Ciao Silvio, tutto bene? Che piacere sentirti”

Ponzellini: “Silvio, che piacere” Il fascino discreto della piaggeria – Ciao Silvio, tutto bene? Che piacere sentirti”. Poi ottenuta l’informazione, ancora salamelecchi, inchini, ridondanze: “Ti ringrazio come sempre di tutto, mi metto in moto subito”. Con Massimo Ponzellini come con l’universo mondo, Silvio Berlusconi era abituato alla genuflessione. Al metateatro della verità: “Mi hai fatto un regalo, mi ha fatto piacere”, di cui ribaltare il senso non appena cambiato interlocutore o consonante. Allora il miele diventava fiele: “Ho preso un’inculata” e i pupi soggiogati dal puparo, per un istante, potevano sognare di tagliare il filo, relativizzare l’appartenenza, ipotizzare persino l’anomalia della normalità. “Tutti per interposta persona… ma che cazzo di Paese è, uno stato di banane?”, dice l’ingegnere Alberto Rubegni, Ad di Impregilo svezzato in Iran, al suo nume smanioso di comunicargli le novità apprese da Berlusconi. Un lampo nel buio. Un’eversione semantica. Lo iato illusorio tra chi comanda davvero, chi esegue e chi si illude di contare qualcosa. Sui rapporti di forza, il letterato Gennaro Mokbel, ardito del neologismo e della frode non necessariamente dialettica, avrebbe potuto scrivere un trattato. A Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl in ceppi, troppo compromesso per poter sperare nel pur sentito corporativismo di casta, tra un “Mi hai scassato il cazzo” e un: “Mi hai proprio riempito le palle”, Mokbel dettava regole, ordini e sintetiche istruzioni sul futuro “Se t’è venuta la candidite, se t’è già venuta la senatorite è un problema tuo Nicò... A me non me ne frega un cazzo di quello di quello che dici tu. Puoi diventa’ pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio, tu sei uno schiavo mio”. Pur nella decadenza e nella manifesta ingratitudine dei suoi, a S.B., capo naturale della classe mista dei Di Girolamo, tanta diretta franchezza colloquiale non osava riservarla nessuno. Silvio conosceva il malumore delle truppe, ma come il Troisi di “Pensavo fosse amore...” preferiva ascoltare altro. L’attore veniva informato dei carpiati della fidanzata e respingeva le confidenze: “Ma pecché siete tutti così sinceri con me?”, il capocomico Silvio, assalito da imbonitori e apologeti, prestava orecchio ai questuanti. Tra i più attivi, Walter Lavitola. Inesausto tastierista da cellulare: “Mi ha chiamato 6 volte e alla fine mi ha trovato” esala un affranto B. a Ponzellini, mentre, vinto, si espone all’effimero piacere del servaggio made in Lavitola: “Hai visto che avevo ragione io? Dimmi”. Quello, in un frinire di “bacioni” e involontari autoritratti non si fa pregare: “Io... sinceramente… non credo che ci sia una donna al mondo che se lei la telefona… dice vieni qua... a farmi una pompa… quella non corre… dottore... lei mi perdoni se mi permetto... però... in questa cosa... è troppo Berlusconi…”. Fisiologico che in fondo al pozzo delle ambiguità, degli approcci pelosi e della noia: “Buongiorno dottore, come va?” Berlusconi risulti poi stremato e frettoloso: “Male, male dimmi, dimmi”. E ovvio che l’altro, in odore di abbandono, spedisca lettere d’amore: “Paga o torno in Italia e ti spacco il culo”. Per quanto ci si sforzi di invertire l’inerzia, certe storie finiscono così. Agli adulatori e ai ruffiani Dante riservava l’Inferno. Ad Arcore, nelle fiamme della passione, Berlusconi dedicava ai procacciatori di anime la dovuta attenzione. Gianpy Tarantini, con le metafore sussurrate alla bella Barbara Guerra: “Amo’, però mettiti una minigonna inguinale... Vestiti proprio da mignotta” risultava perfetto. Occhio al linguaggio celestiale: “Le mando un angioletto per farle passare il colpo della strega”. Filtraggio delle professioniste e delle insospettabili (la segretaria del ministro Romani, qui poetica con Gianpy): “Sei proprio figo! Se mi fai trombare il tuo amico ti prometto che mi adopero. Divento la tua schiava se mi porti lì”. Un cortocircuito carnale, tra lettoni di Putin e giarrettiere rosa, più vitale delle lamentele di Craxi su Montanelli dell’83. Preistoria. Castrante preistoria. L’ultimo Silvio non aveva freni. Disegnava moltiplicazioni divine: “Ce le prestiamo, la patonza deve girare”. Scenari tanto allegorici da risultare terreni. In soccorso costante, Tarantini. Tinte tenui: “Lei mi deve spiegare una cosa… ma alle donne cosa fa?… non ho mai visto uno che le fa impazzire così tanto”. Oggi Silvio non risponde più. Forse è una liberazione. Alle spalle, gli echi di una festa.