Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, il Fatto Quotidiano 28/10/2012, 28 ottobre 2012
Trattativa atto primo 20 anni dopo lo Stato processa se stesso – Fisicamente, la distanza sarà netta e visibile: le facce dei boss mafiosi Totò Riina, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e del “postino” della trattativa, il medico Antonino Cinà, saranno visibili nei monitor appesi in alto ai lati dell’aula bunker del carcere di Pagliarelli
Trattativa atto primo 20 anni dopo lo Stato processa se stesso – Fisicamente, la distanza sarà netta e visibile: le facce dei boss mafiosi Totò Riina, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e del “postino” della trattativa, il medico Antonino Cinà, saranno visibili nei monitor appesi in alto ai lati dell’aula bunker del carcere di Pagliarelli. Quelle dell’ex ministro Nicola Mancino, dei senatori Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri e degli ufficiali dei carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, sono attese invece dentro l’edificio blindato che sorge lungo la tangenziale palermitana, alla periferia della città. Ma entrambi, uomini dello Stato e uomini di Cosa Nostra, domattina dalle nove a Palermo, siederanno simbolicamente sullo stesso banco degli imputati. E con loro ci sarà anche Massimo Ciancimino, il testimone del dialogo sotterraneo tra i boss e lo Stato, il grande accusatore dei carabinieri, che è imputato per concorso in associazione mafiosa e probabilmente sceglierà di tenersi a distanza dagli uomini in divisa. PADRINI di Cosa Nostra e uomini delle istituzioni, fianco a fianco, nella stessa aula giudiziaria per rispondere dell’accusa di aver dialogato sotterraneamente, nel tentativo di pacificare lo scontro che tra il ’92 e il ’94, tra una bomba e un depistaggio, ha dilaniato il Paese. Perché da domani, per la prima volta, lo Stato processa (o tenta di processare) se stesso. Quella che si apre nel-l’aula bunker di Pagliarelli è infatti la verifica del giudice terzo sull’inchiesta “che varca le colonne d’Ercole del diritto”, come l’ha definita il pm Antonio Ingroia, visto che dietro le divise dei carabinieri e le grisaglie dei politici (rappresentanti di quello Stato che, all’indomani delle stragi Falcone e Borsellino, scelse, secondo l’accusa, un’antimafia “morbida” che placasse la furia dei corleonesi) per la prima volta in un’aula sarà processata la ragion di Stato. Tra i politici, uno solo, Mancino, è accusato di falsa testimonianza: avrebbe mentito, secondo l’accusa, sulle ragioni che nel giugno del ’92 indussero il suo predecessore al Viminale, Vincenzo Scotti, a lasciare l’incarico ministeriale per la Farnesina. Gli altri, mafiosi, senatori ed ex ufficiali del Ros, sono tutti accusati di violenza e minaccia a corpo politico dello Stato: negoziando sottotraccia la concessione di benefici a Cosa Nostra, si sarebbero resi complici di un grande ricatto alle istituzioni, letteralmente franate dopo Capaci e via D’Amelio nella scelta di una interlocuzione con i boss, poi concretizzata – secondo la ricostruzione dell’accusa – in un vero e proprio patto di convivenza con i poteri occulti del Paese. Così, presidiata dal sit-in dei volontari delle Agende Rosse e di Cittadinanza per la magistratura, l’aula bunker di Pagliarelli diventa domani il luogo-simbolo della nuova frontiera giudiziaria antimafia, come lo fu l’aula bunker dell’Ucciardone che segnò con il maxi-processo l’avvio di una stagione vittoriosa sulla mafia militare. Per il gup Piergiorgio Morosini, che ha lasciato la segreteria nazionale di MD per dedicarsi al processo, e ha trascorso l’estate a leggere oltre 300 mila pagine, racchiuse in 65 faldoni, la strada si presenta subito in salita: su di lui pende la richiesta di ricusazione di uno degli imputati, il colonnello De Donno, ma il giudice ha già fatto sapere che rimarrà al proprio posto, non condividendola. A imporgli uno stop temporaneo, a questo punto, potrebbe essere solo la Corte d’appello con un’ordinanza provvisoria in attesa della decisione definitiva. L’udienza, dunque, si svolgerà regolarmente e saranno due le questioni preliminari da affrontare: le condizioni di salute di Bernardo Provenzano, ricoverato recentemente nell’ospedale Civile di Parma (e adesso tornato in carcere) per gravi problemi neurologici, che non è detto possa presenziare alla prima udienza e la verifica delle costituzioni di parte civile, ultima in ordine di tempo quella del governo, annunciata da Mario Monti in extremis, nonostante il 23 maggio scorso, a Palermo, il premier avesse proclamato solenne che “l’unica ragion di Stato è la verità”. Del boss Provenzano, il gup dovrà valutare la capacità di stare consapevolmente in giudizio, condizione indispensabile per la sua permanenza tra gli imputati dell’udienza preliminare. PER QUANTO riguarda le parti civili, invece, Morosini dovrà valutare l’annunciata costituzione di Salvatore Borsellino (e del movimento delle Agende Rosse) che potrebbe indurre qualche difensore a cogliere la palla al balzo per chiedere il trasferimento del processo a Caltanissetta, se il fratello del giudice assassinato in via D’Amelio motiverà la sua richiesta sul rapporto di causa-effetto tra la trattativa e la strage. Dopo avere affrontato entrambe le questioni, il gup si ritirerà in Camera di consiglio per concedere, probabilmente, i termini a difesa: gli avvocati infatti hanno già preannunciato che chiederanno tempo per leggere gli ultimi verbali di interrogatorio prodotti nei giorni scorsi dai pm Ingroia e Nino Di Matteo. L’ultima questione riguarderà la pubblicità del processo, essendo l’udienza preliminare vietata ai giornalisti cui in genere è consentito l’ingresso solo se le parti processuali sono d’accordo. Ma “in ragione dell’eccezionalità dell’evento”, l’Unci, l’Unione nazionale cronisti, ha rivolto un appello al gup, ai pm e agli imputati affinché sia consentito ai giornalisti l’ingresso in aula: “Solo così – si legge nel-l’appello – potrà essere esercitato il controllo democratico per conto del cittadino-lettore”.