Andrea Malan, Il Sole 24 Ore 30/10/2012, 30 ottobre 2012
Da Ford a Peugeot il focus è sui tagli – L’auto europea inizia a fare seriamente i conti con la crisi
Da Ford a Peugeot il focus è sui tagli – L’auto europea inizia a fare seriamente i conti con la crisi. Lo testimonia, la settimana appena passata, l’annuncio da parte di Ford della chiusura di tre stabilimenti in Europa: quello di Genk, in Belgio, e due in Gran Bretagna; la notizia arriva dopo una misura analoga annunciata dalla Peugeot a luglio (per quanto riguarda la fabbrica di Aulnay, alle porte di Parigi) e potrebbe essere seguita da una analoga da parte della Opel, per la quale si ipotizza lo stop alla fabbrica tedesca di Bochum. Sommmando i tagli già messi in atto da Opel (che nel 2010 ha chiuso l’impianto belga di Anversa) e Fiat (con la fine della produzione a Termini Imerese) e quelli annunciati da Peugeot e Ford, si arriva a circa 30mila posti in meno per le sole case costruttrici di automobili: senza contare, cioè, i veicoli commerciali e industriali e tutto l’indotto (a partire dai produttori di componenti). La crisi è iniziata sul mercato – crollo delle vendite di automobili del 20% in Europa tra il 2007 e il 2012 – e si è trasformata in crisi finanziaria: tra i costruttori cosiddetti generalisti (Fiat, Peugeot, Renault, Opel, Ford e Volkswagen), solo il colosso tedesco non chiude in rosso i bilanci in Europa; anche i conti di Fiat, oggi, non faranno eccezione. Il legame fra le due crisi è semplice: in un settore caratterizzato da elevati investimenti fissi per stabilimenti, linee produttive e nuovi modelli, per fare utili una fabbrica deve "girare" almeno all’80% della sua capacità teorica. Se resta al di sotto del 70%, brucia denaro – e ne brucia tanto più, quanto più basso è il tasso di utilizzo. Secondo uno studio della società di consulenza AlixPartners, l’ultimo anno in cui l’utilizzo della capacità produttiva in Europa ha superato l’80% è stato proprio il 2007. Il tonfo del 20% delle vendite tra 2007 e 2012 equivale alla produzione di 10-15 stabilimenti di medie dimensioni. Come spiega Stefano Aversa, co-president di AlixPartners «la chiusura di alcuni stabilimenti è una misura purtroppo necessaria ma non da sola sufficiente a recuperare la redditività delle case automobilistiche generaliste in Europa. Una riduzione drastica (15 stabilimenti di assemblaggio su circa 100 in Europa) è irrealistica nell’attuale contesto politico ed economico. La pressione sui prezzi di vendita e margini è quindi destinata a rimanere elevata, almeno nel breve periodo». Nel 2009 negli Usa l’Amministrazione Obama finanziò General Motors e Chrysler (attraverso la bancarotta pilotata) a condizione che queste tornassero competitive anche tagliando la capacità produttiva; i conti di Chrysler annunciati ieri sono una conferma della ritrovata competitività. In Europa i Governi sono intervenuti per impedire le chiusure; se nel 2008/2009 furono varate misure fiscali di stimolo un po’ in tutta Europa, oggi la crisi delle finanze pubbliche non li consente più, e si utilizzano misure di tipo diverso. In Italia sono in discussione provvedimenti di aiuto (generalizzato) al l’export per convincere Fiat a rilanciare la produzione nel nostro Paese. La Francia, di fronte alla crisi finanziaria di Peugeot, ha annunciato garanzie su crediti alla banca del gruppo; un provvedimento accusato da più di un concorrente (da Ford a Renault) di violare le norme Ue a tutela della concorrenza. L’ipotesi di una soluzione europea al problema della sovracapacità – più volte auspicata da Sergio Marchionne – si scontra, come accade spesso nella Ue, con gli interessi dei singoli Paesi. La crisi non è uguale per tutti: «Perché le nostre aziende in salute dovrebbero pagare per una crisi che non le colpisce?» è la domanda tedesca. Con l’aggravarsi della situazione, però, e con l’arrivo della recessione anche sul mercato tedesco (-11% le vendite nel mese di settembre), potrebbe aprirsi uno spiraglio negoziale. Andrea Malan