Giuseppe Oddo, Il Sole 24 Ore 30/10/2012, 30 ottobre 2012
Il rischio default e l’ingovernabilità – Non una, ben due spade di Damocle – default e ingovernabilità – pendono sulla testa del neogovernatore Rosario Crocetta
Il rischio default e l’ingovernabilità – Non una, ben due spade di Damocle – default e ingovernabilità – pendono sulla testa del neogovernatore Rosario Crocetta. E mai metafora fu così calzante, perché l’aneddoto di Damocle è ambientato in Sicilia, qualche secolo prima di Cristo, alla corte di Dionigi, il tiranno di Siracusa, e simboleggia le insidie del potere. Il rischio di default in Sicilia, che ieri ha subito dall’agenzia Fitch un taglio del rating a BBB con autlook negativo, fu liquidato dalla vecchia giunta regionale come una sparata giornalistica. Ma il problema è lungi dall’essere risolto. Ed è la grana più grossa che Crocetta dovrà risolvere. La Corte dei conti annota in un documento redatto in estate il «preoccupante deterioramento dei conti regionali», le «criticità finanziarie e gestionali» che non riguardano solo l’ente di Palazzo dei Normanni, «ma si propagano alla finanza locale dell’Isola, al sistema delle partecipate, alla gestione dei rifiuti e alla stessa assistenza sanitaria», e rimarca lo scandalo dei residui attivi, crediti accertati ma non riscossi per circa 15,5 miliardi, con il prosciugamento degli accantonamenti prudenziali che erano stati effettuati per la svalutazione delle poste inesigibili. L’altra grana è quella della ingovernabilità. Per affrontare i nodi del bilancio, i tagli della spesa, il venir meno dei trasferimenti statali, Crocetta dovrà formare una maggioranza di cui non dispone. E non sarà semplice. Dice Leoluca Orlando, rieletto sindaco di Palermo cinque mesi fa: «La mia preoccupazione è che si ritorni al governo dell’inciucio nel nome della salvezza della Sicilia. Chiunque faccia il presidente ha bisogno di allearsi con la parte avversa e probabilmente anche di qualche transfuga. Ma l’ingovernabilità e le grandi coalizioni hanno storie poco nobili in Sicilia. Il governo Milazzo fu una scelta di rottura, quello di oggi è un modo per garantire la continuità, per imbalsamare un blocco di potere che rappresenta, per bene che vada, il 15% dell’elettorato. La gente non ha più fiducia nella capacità della politica di risolvere i problemi. E la Sicilia è la fotografia dell’Italia di domani. Qui finisce la seconda repubblica, ammesso che sia mai nata. Per questo dico che le elezioni di ieri segnano la morte dei partiti: tutti, compreso il mio, Italia dei valori. Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli sono gli ultimi sindaci di centro-sinistra: bravissimi, ma di un’altra era geologica». Lo storico Giuseppe Casarrubea attribuisce la crisi al crollo di ogni riferimento morale ed etico: «Il degrado ha fatto assumere consistenza ai movimenti, solleticando il voto di protesta. In Sicilia assistiamo allo sgretolamento del vecchio sistema politico-mafioso in assenza di alternative. Grillo esprime una rottura, ma non una proposta. Non vedo una prospettiva coerente ed omogenea per un futuro stabile che consegni la nostra isola a una possibile crescita». È in atto lo sfascio del vecchio sistema, una transizione senza approdo «che non sappiamo dove ci porterà». Anche Cosa nostra gioca la sua partita. Conclude lo studioso partinicese: «Le famiglie mafiose pensano di costruirsi un futuro pescando nel torbido. Di certo hanno contribuito a creare lo scontento con forme di disagio e di accentuazione dello smarrimento politico». Giuseppe Oddo