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 2012  ottobre 30 Martedì calendario

«Ho fatto errori, ma lascio ai miei figli un gruppo in salute» – Chiude la sua giornata più lunga in quello che è stato il suo quartier generale per quasi 30 anni

«Ho fatto errori, ma lascio ai miei figli un gruppo in salute» – Chiude la sua giornata più lunga in quello che è stato il suo quartier generale per quasi 30 anni. Al civico 1 di Via Ciovassino, nel cuore di Milano. Carlo De Benedetti (nella foto), l’«Ingegnere», è soddisfatto: «È andata anche questa», dice. Davanti a sé, sull’ampia scrivania, una foto con in primo piano l’insegna Compagnia Italiana tubi metallici flessibili. «È cominciato tutto da lì, dagli insegnamenti di mio padre Rodolfo, e ora tocca ai miei figli». Difficile sottrarsi al senso un po’ solenne di un passaggio tra generazioni. Così avverti che la prima domanda che hai in testa rischia di stonare. Ma poi la fai: non è che tutto questo preluda a un suo impegno in politica? «Non lo si può minimamente pensare. Glielo escludo categoricamente». Fabrizio Forquet N essuno crede che lei andrà ai giardinetti. Alla mia età potrei anche permettermelo. Ma non lo farò. Mi concentrerò sul mio ruolo di Presidente ed editore del Gruppo Espresso. Mi ci dedicherò a tempo pieno come editore. E a questo punto sarò un editore completamente puro. Forse l’unico in Italia. Il mio solo interesse sarà la presidenza dell’Espresso. Non avrò nessun legame con le altre attività controllate da Sapa. Come è arrivato a questa scelta? È la volontà di dare continuità alla tradizione imprenditoriale familiare iniziata con mio padre. In fondo tutto è cominciato con la sua Tubi Metallici Flessibili. Vi entrai nel 1959, oltre 50 anni fa, come responsabile delle vendite. Da mio padre ho imparato il culto dell’impresa. Io ho spinto assai più in là le attività di famiglia. Ora tocca ai miei figli. Si dirà: il tema del ricambio generazionale produce i suoi effetti anche nel mondo della finanza e dell’impresa... Se questa mia scelta aiuterà un più ampio passaggio generazionale in un capitalismo troppo rivolto al passato ne sarò molto contento. Per l’Italia, non per me, perché credo che ce ne sia davvero bisogno. Nel mio caso però voglio ricordare che ho già lasciato ogni carica operativa e mi sono dimesso da presidente della Cir e della Cofide nel gennaio 2009. Per cui il ricambio era già nei fatti. Restava però il proprietario del gruppo. Perché ora ha deciso di liberarsi anche delle azioni? È un passo che voglio fare mentre mi sento nel pieno delle mie forze. Un atto di generosità, verso i miei figli e verso quella tradizione di cui parlavo. In fondo io sono una parte di quella tradizione, quindi è anche un atto di generosità nei miei confronti. Di fatto al vertice del gruppo si instaura una diarchia operativa: suo figlio Rodolfo e Monica Mondardini. Proporrò ad assemblee e consigli la nomina di Rodolfo a presidente esecutivo. Mondardini sarà amministratore delegato unico. Quindi ci sarà un vertice nel quale si compendiano le rispettive competenze. La famiglia, da una parte, le competenze manageriali sperimentate all’Espresso di Mondardini dall’altra. No, competenze che lavorano dalla stessa parte. Mio figlio è da 25 anni in azienda, da 18 è amministratore delegato. È una sicurezza. Ma nello stesso tempo è giusto che una società da cui dipendono direttamente le sorti di 15mila famiglie possa contare anche su un contributo ulteriore di esperienza come quello della Mondardini. È un inserimento che abbiamo deciso di comune accordo con i miei tre figli. È stato lei a portare quattro anni fa Mondardini all’Espresso. Ed è stata un’ottima scelta fatta con Rodolfo e in questi anni entrambi ne abbiamo apprezzato il lavoro, come quello di una persona molto capace e intelligente. Si è creato un rapporto di grande fiducia. Che gruppo lascia ai suoi figli? È un gruppo in salute, internazionalizzato e molto diversificato. I numeri dicono che ci sono state stagioni migliori. Non c’è dubbio che anche noi risentiamo di una situazione di crisi generale dell’economia. Una crisi che io ritengo di medio-lungo periodo, non congiunturale. Ma i dati dell’ultima trimestrale confermano che facciamo meglio della media dei mercati di riferimento. Prenda la Sogefi, che opera nella componentistica auto. Quando siamo partiti avevamo 80 dipendenti. Adesso è un’azienda con 7mila dipendenti, che ha sede in Italia ma ha sviluppato negli anni la sua attività in giro per il mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, dalla Cina all’India. È una multinazionale italiana, una di quelle multinazionali tascabili di cui il Paese ha bisogno. Pochi giorni fa ha presentato i conti dei nove mesi: 1 miliardo di fatturato, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. E questo nonostante la crisi dell’auto. Anche il settore energetico risente duramente della crisi... In settembre i consumi di energia hanno segnato un -6%. D’altra parte la crisi della produzione si riflette subito nei consumi energetici. Quindi è inevitabile una flessione della domanda. Ciononostante Sorgenia, che è nata solo 12 anni fa, è ormai una realtà solida, con una importante quota di mercato e non potrà che avere buone prospettive appena i consumi torneranno a crescere. Poi c’è Kos, che è la più grande azienda italiana nel settore delle residenze per anziani e riabilitazione, un settore di sicuro sviluppo per gli andamenti demografici e per l’inevitabile ridimensionamento del settore pubblico. E il Gruppo Espresso che presenta i migliori indici di performance di settore in Italia. Prima di parlare dell’editoria, dove lei conserverà il suo ruolo, possiamo immaginare che con il passaggio di consegne vi saranno cambiamenti strategici nella guida del gruppo. Cosa devono aspettarsi gli azionisti? È una domanda che evidentemente va fatta a quelli che d’ora in poi avranno la piena responsabilità del Gruppo. Ma penso di poter dire che, in momenti come questi, occorra consolidare le posizioni esistenti. È questa la priorità nella situazione di crisi mondiale in cui siamo, anche perché la visibilità del futuro è molto scarsa. Poi, certo, il nuovo assetto, con l’innesto delle nuove competenze, porterà nuovi stimoli, idee, progetti. Lei intanto farà l’editore "puro". Concentrerò le mie attenzioni su quella che è stata sempre la mia passione. Una passione che si è accresciuta da quando nel 2009 ho tenuto la presidenza dell’Espresso, come unica carica all’interno del gruppo. Potermi dedicare a questo settore, con Mondardini capo azienda ed io editore e punto di riferimento, mi dà grandi stimoli. E poterlo fare interamente da editore puro, in un Paese dove questo è così raro, è un’opportunità e un motivo di soddisfazione in più. Anche l’editoria, però, è in un momento di grande sofferenza. Si rendono necessarie misure difficili. A «Repubblica» i giornalisti hanno scioperato proprio due giorni fa. Abbiamo davanti problemi molto seri. C’è una profonda crisi mondiale della carta stampata. E c’è lo specifico problema italiano di un calo di pubblicità che raggiunge il 25% in ottobre. Una realtà che impone inevitabilmente una revisione dei perimetri e delle azioni su cui ci si focalizza. Bisogna ragionare in modo strategico sul futuro, facendo oggi quanto occorre perché questo futuro ci sia. Diventano cruciali gli investimenti nelle tecnologie digitali... Noi vantiamo di essere stati i primi a dedicare molte risorse al digitale. Non a caso siamo il primo sito news italiano e, proprio nelle scorse settimane, abbiamo lanciato una nuova iniziativa editoriale tutta digitale, l’Huffington Post italiano. Continueremo su questa strada. Con quali prospettive? Il futuro sarà quello di tutti i grandi giornali europei: edizioni cartacee con minor foliazione, concentrate su analisi e commenti, e con il sito web per le notizie. È una tendenza che si è manifestata già negli Stati Uniti e si sta sviluppando anche in Europa. Il Guardian si sta ponendo il problema se andare tutto su digitale ed eliminare la carta. Noi non siamo a questo punto. Continuiamo a credere nel cartaceo. D’altra parte Repubblica resta il quotidiano più letto d’Italia e i nostri giornali locali sono in crescita. Siamo primi nella carta, siamo primi nel digitale, prenderemo nuove iniziative su digitale e vogliamo mantenere la leadership su carta. Andiamo avanti con la consapevolezza e la fiducia di avere un futuro positivo, se continueremo sulla strada intrapresa. Perché questa scelta di concentrare l’ultima parte della sua vita da imprenditore proprio sull’editoria? Quella per l’Espresso è l’attività che mi ha dato più grane in assoluto. Ma anche le maggiori soddisfazioni dal punto di vista dell’impegno civile. Io penso che il Gruppo abbia svolto, svolge e svolgerà un ruolo importante per una corretta informazione e per la formazione del pensiero culturale, sociale e politico del Paese. Ne vado orgoglioso, perché credo che contribuire a formare un’opinione pubblica consapevole e matura sia una funzione essenziale nelle nostre democrazie. Con il Gruppo Espresso esprimiamo un’idea di Italia, che è anche la mia idea dell’Italia. Perciò mi ha fatto piacere che i miei figli mi abbiano chiesto di restare a presiederla. Ed era anche il mio desiderio. Ingegner De Benedetti, lei lascia dopo oltre cinquant’anni di battaglie che hanno contraddistinto un’epoca del capitalismo italiano. Battaglie epiche, da quella in Fiat con Romiti a quelle per la Mondadori e la Sme con Silvio Berlusconi. Che bilancio si è fatto in questi giorni? Nel momento in cui chiudi la tua vita di imprenditore è ovvio che non puoi che fare i conti con tutto il tuo passato. La somma dei tuoi successi è quello che lasci, la somma dei tuoi insuccessi sono gli errori che hai commesso. Certamente se ognuno di noi potesse tornare indietro nella propria vita cercherebbe di non ricommettere gli errori. E io certamente ne ho fatti. Ma in queste settimane mi sono detto che la vita va vista come una sommatoria di giorni di pioggia e di giorni di sole. Ed io nel complesso sono molto soddisfatto. Credo di poter dire che lascio ai miei figli una realtà imprenditoriale moltiplicata rispetto a quella che mi ha lasciato mio padre e spero che loro possano moltiplicarla ulteriormente in favore dei loro figli. Un errore grande c’è stato, molto grande. Lei si riferisce alla scalata all’Sgb. E ha ragione. Qualcuno si portò avanti e titolò «De Benedetti si compra il Belgio». Poi andò diversamente. Il mio fu un errore di esecuzione, non di intuizione. Non si trattava di comprarsi il Belgio, ovviamente. L’intuizione era quella di spostare il baricentro di un grande gruppo italiano nel cuore dell’Europa. Eravamo alla metà degli anni 80. Era una visione giusta e in anticipo sui tempi. Purtroppo nella sua finalizzazione l’operazione fu gestita male. E ne abbiamo subito le conseguenze. Sicuramente ambiziosa. Avrebbe cambiato la vita del nostro gruppo. E forse anche un po’ del capitalismo italiano. È il grande rimpianto della mia vita, non c’è dubbio. E i computer Olivetti? Ora sono ricomparsi nei negozi, ma lei non c’entra più. Quella dell’Olivetti è una storia che rivendico con orgoglio. L’ho salvata da una morte che ha interessato tutti i nostri competitor di allora, che si chiamavano Nixdorf, Philips, Siemens, Bull. Con Olivetti ho trasformato una fabbrica di macchine da scrivere in uno dei maggiori produttori di computer mondiali e poi in un grande operatore di telefonia mobile che rompeva un monopolio. La vendita di Omnitel è poi un’altra storia. Io non l’avrei fatta. Così come non avrei scalato Telecom. Ma non c’è dubbio che la vendita di Omnitel produsse una liquidità senza pari tra le aziende italiane. Ci sarà tempo per bilanci più approfonditi. E agli storici del capitalismo italiano certamente lei di materiale ne ha offerto tanto. Vorrei chiudere, però, con una riflessione più personale. Come si sente stasera? Fa male il senso di distacco da una creatura che è stata con te tutta la vita. Una realtà cui ho dedicato 50 anni del mio lavoro. Ma prevale un sentimento di gioiosa serenità per quella continuità familiare che questa decisione consacra. Una continuità che parte da mio padre, da quei suoi tubi flessibili, e oggi ha il volto dei miei tre figli, con i quali ho condiviso questa decisione. Fabrizio Forquet