Alessandra Nucci, ItaliaOggi 02/11/2012, 2 novembre 2012
ELEZIONI USA CON TROPPI IMBROGLI
[Anche il voto anticipato e dall’estero contiene molte insidie] –
Il New York Post ha scritto che, quanto alla possibilità di brogli, il sistema elettorale Usa si potrebbe definire «da Terzo Mondo», se ciò non fosse un insulto per quell’area geografica del pianeta. I racconti dell’assurdo si sprecano. Sui registri elettorali risulta un numero enorme di deceduti o pregiudicati che hanno perso il diritto di voto, tant’è vero che a Philadelphia, come in almeno altre dieci città, ci sono più elettori che abitanti.
Nel Minnesota le elezioni del 2008 furono seguite da settimane di contestazioni e riconteggi, e, alla fine, il candidato democratico prevalse per 312 voti su un totale di oltre 3 milioni; solo che, a scrutini finalmente chiusi, si scoprì che avevano votato 1.099 pregiudicati senza diritto di voto.
Nell’Arkansas il deputato Hudson Hallum è stato condannato con rito abbreviato per aver comprato i voti di elettori all’estero, che spedirono a lui le loro schede firmate, in busta aperta, da inoltrare. Nel Kentucky si è scoperto che trafficanti di cocaina e marijuana usano i proventi della droga per comprare voti, e nel solo Distretto Est, dal 2010, sono 20 i politici condannati o che hanno scelto il rito abbreviato in processi per l’acquisto di preferenze.
Per arginare i brogli vari Stati, fra cui Texas, South Carolina e Pennsylvania, hanno approvato leggi che rendono più rigorosi i controlli, ma sono stati impugnati dal ministro della giustizia Eric Holder, il quale li accusa di aprire la strada alle discriminazioni contro le minoranze.
La principale materia del contendere è l’obbligo di presentarsi con un documento corredato di foto autenticata, per esempio la patente. Sono solo 17 su 50 gli Stati che lo richiedono, ma, secondo un sondaggio del Washington Post, tre quarti degli americani, ovvero il 74%, sarebbero favorevoli a imporre tale requisito. Ciononostante, il ministero della giustizia ha dato battaglia in tribunale, sostenendo che esigere l’identificazione con foto è discriminatorio nei confronti di chi non ha i soldi per procurarsela. Negli Usa, infatti, non esiste un’anagrafe nazionale come in Italia, né l’obbligo di avere una carta di identità, tantomeno un ufficio elettorale che manda il vigile a casa di ognuno con il documento per votare. Nel braccio di ferro fra Stati e ministero, finora la Corte suprema ha dato ragione agli Stati coinvolti, e perfino la Nona Corte d’appello, quella considerata più radicale, nell’esaminare i provvedimenti legislativi in Arizona ha stabilito che, anche se «ottenere la carta d’identità richiesta con la legge dell’Arizona può avere un costo», ciò non costituisce una tassa.
Anche le prove sul campo dimostrano che l’adozione del requisito della carta d’identità non ha influito sull’afflusso alle urne da parte delle minoranze. Anzi. In Georgia, per esempio, dove il provvedimento è in vigore dal 2007, alle elezioni del 2008 i voti dei cittadini ispanici aumentarono del 140% rispetto al 2004, quelli degli afroamericani del 42%. È un incremento che supera anche quello degli Stati che continuano a non chiedere il documento con foto.
Ma, dove non arriva il ministero della giustizia, intervengono gli attivisti. In Minnesota le femministe hanno stoppato anche l’indizione di un referendum sul requisito di identificazione fotografica, indetto dal parlamento locale per lasciar decidere gli elettori: si sono opposte le femministe della League of Women Voters, sostenendo che il quesito referendario può trarre in inganno. La questione andrà alla Corte suprema dello Stato.
Altro campo di battaglia è quello dei voti delle Forze armate. Alla luce del ricorso vinto dopo le elezioni di quattro anni fa da John McCain, che dimostrò che la Virginia aveva conteggiato solo un terzo dei voti dei militari, l’Ohio ha fatto una legge che concede tre giorni in più per l’arrivo dei voti dei soldati. Ma il governo Obama ha impugnato anche questo in tribunale. Fra i militari, i sondaggi danno Romney in vantaggio su Obama di un sonante 66% contro il 29%.
La possibilità di brogli è moltiplicata a dismisura, infine, dalla possibilità di votare in anticipo. Pare che 12 milioni di americani, oltre il 9% degli iscritti, abbia già votato prima della giornata elettorale vera e propria, che per legge coincide sempre con il primo martedì di novembre. Per il modo rilassato con cui si raccolgono questi voti, anche al termine di un comizio, lo Stato dell’Illinois ha cercato di porre un freno chiedendo l’identificazione fotografica almeno per il voto anticipato. Incassare il voto anticipato è un punto su cui insistono a ogni piè sospinto i democratici, con Michelle Obama che nel Wisconsin ha esortato la base a togliersi il pensiero per tempo, di persona o per posta. Perché? Perché il giorno delle elezioni, ha spiegato, gli impedimenti possono essere tanti: «Un raffreddore, il bambino che si ammala, la macchina che si rompe, il cesso che si intasa».