Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 02 Venerdì calendario

“LA MIA ITALIA, PAESE DI CATTIVO UMORE”

[Londra dedica una retrospettiva al regista. “I media ammalati di titolismo. No a Grillo, sì a Renzi e a Vendola”] –
Non mi chiedo se un film sia di destra o di sinistra, ma se è fatto bene. Mi appassiono ai personaggi e cerco di non essere fasullo. Per me la prima cosa è il piacere della narrazione».
Sabato, dieci di mattina, nell’albergo di Great Marlborough Street, di fianco al Palladium Theatre, Paolo Virzì si siede su un divano largo e gioca con l’Ipad ridisegnando il profilo di suo figlio Jacopo. È arrivato a Londra per una rassegna dedicata alla sua carriera - da Ferie d’agosto a La prima cosa bella - e adesso sembra perplesso mentre guarda la prima pagina del Financial Times che racconta la condanna a quattro anni di Silvio Berlusconi per frode fiscale. Davvero siamo fatti così? Il suo modo di fotografare la vita fa venire in mente una poesia di Giorgio Caproni. «Il mare brucia le maschere, le incendia il fuoco del sale. Uomini pieni di maschere avvampano sul litorale. Tu sola potrai resistere nel rogo del carnevale. Tu sola che senza maschere nascondi l’arte d’esistere». Così è facile partire dal suo ultimo lavoro per parlare poi dell’Italia. Un Paese superbo, pieno di virtù che nessuno pratica.

Virzì, che film è «Tutti i santi giorni»?
«È un film più sofisticato, rarefatto e intenso rispetto al mio modo consueto di raccontare. Ho provato anche a difenderlo dalle semplificazioni giornalistiche, invece ho trovato titoli del tipo: “Virzì: Fiorito non è la normalità”. Certo. Ma che c’entra?».

Lei è considerato il maestro delle commedie impegnate.
«È capitato che i miei film uscissero in corrispondenza delle campagne elettorali. Ma solo perché in Italia si vota spesso. A quel punto la stampa vuole metterti una maglia. Non è piacevole».

Perché succede?
«Perché la mancanza di credibilità di chi dovrebbe esercitare la leadership è talmente forte che i media vengono a cercare noi che facciamo un altro lavoro. Anche se poi c’è qualcuno come Beppe Grillo che la politica la fa davvero».

Grillo non le piace?
«No».

Perché?
«Non apprezzo il suo fanatismo, la sua sicumera sprezzante. Tanto più che sulla politica economica mi pare che dica un sacco di coglionate. Soprattutto sull’Europa».

I sondaggi lo danno intorno al 20%.
«Nel nostro carattere nazionale c’è sempre stato questo elemento di adesione irrazionale alla politica dell’uomo della provvidenza. Non siamo stati noi a inventare il fascismo?».

Come descriverebbe l’Italia a uno straniero?
«Come un Paese di cattivo umore. Suscettibile, astioso, ma con una forte spinta e una grande voglia di cambiare pagina».

Il governo Monti è il cambiamento?
«Il governo Monti è la fisiologica reazione agli anni del carnevale e dell’incoscienza berlusconiana. Per questo c’è stato bisogno di chiamare il preside serio».

Il preside non fa parte dell’establishment planetario?
«Probabilmente. Vero è che nel nostro Paese è in crisi l’intero sistema. Io sono un democratico appassionato, ma a volte vacillo sul principio del suffragio universale».

Quante colpe hanno i media?
«Molte. Danno spazio anche a ciò che non è notizia. Il titolismo è la malattia infantile del giornalismo, no? Ma questa roba qui, questa superficialità, alla fine si paga».

In Italia 50 milioni di persone non leggono i giornali.
«Ma quelli che li leggono sono l’elite. Vengo da un quartiere popolare di Livorno ma ho sempre pensato che ci debba essere un gruppo di migliori che cerca di alzare il livello del confronto delle idee. I giornali dovrebbero servire anche a questo».

Renzi le piace?
«La questione del ricambio generazionale è importantissima. Anche se penso che il fanatismo faccia male alle idee e ai pensieri. Non possiamo passare dalla gerontocrazia al giovanilismo».

Renzi o Bersani?
«Io penso che vincerà Renzi. Che pure a me sembra un D’Alema giovane. Dice le stesse cose che sosteneva D’Alema nel ‘96, quando dopo la caduta del governo Prodi venne proprio qui a Londra a parlare con la City. Bersani è una brava persona, che vuole bene alla nostra gente con una tenerezza quasi da romanzo».

Voterà per lui?
«No. Forse per Vendola. Mi piace che ci sia qualcuno che parla ancora con insistenza di cultura, formazione e diritti».

Cos’è la destra in Italia?
«Spirito animale. Che altrove ha una fisiologia sana e da noi si esprime in modo aggressivo, scomposto e irrazionale perché ci è mancata la rivoluzione borghese. Quella che c’è stata in Francia».

Perché detesta le fiction Rai?
«Io sono del 1964 e sono cresciuto con i film del lunedì sera su RaiUno. Un cineforum, fatto di Visconti, di Fellini, di Antonioni. Oggi la Rai è una tv commerciale, però fatta peggio».

Posizione un po’ snob?
«Posizione di uno che con la Rai ha avuto molti contatti. E che sa che i casting delle fiction sono fatti con le telefonate degli onorevoli. Se un regista non può scegliere né gli attori né le ricette narrative di che cosa stiamo parlando?».