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 2012  novembre 02 Venerdì calendario

LA DOLCEZZA DI VISITARE I MORTI

Infelice la frase di Benedetto Croce che per il 2 novembre diceva: «Via dalle tombe!». Pensava ai bambini: ai bambini, secondo lui, fa male sapere che i nonni sono morti. Infelice anche la frase di Ugo Foscolo, nei «Sepolcri»: «A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti». Perché le urne dei forti? Perché solo loro? Perché soprattutto loro? È la forza, cioè la grandezza, la garanzia dell’immortalità, del ricordo perenne? Ma da due millenni non è stato insegnato all’umanità che il traguardo non è essere forti, ma essere giusti? Essere forti, come quelli che Foscolo passa in rassegna, è concesso a pochi, pochissimi per ogni generazione. Dipende dal destino. Essere giusti è concesso a tutti. Dipende da loro. E la memoria che coloro che hanno finito di vivere ottengono nei discendenti è la loro immortalità. Andare «via dalle tombe» e non visitare i morti, oggi che è il loro giorno, vuol dire farli morire veramente. Oggi i mortimorti sono soltanto quelli che non ricevono visite. I parenti che non li visitano, li uccidono. Questo abbandono dei morti, questo distacco dai morti, segna una frattura nella vita: la vita perde continuità, rompe con il passato. Ma il passato è l’origine. Lasciar perdere la propria origine vuol dire lasciarsi andare nel fiume della vita, senza resistenza, senza orientamento. Ci sono persone abbandonate dal padre o dalla madre, o da tutt’e due, e poi adottate da famiglie sconosciute, che per tutta la vita cercano di sapere chi è la madre, chi è il padre (ma soprattutto la madre). Sapere chi è il padre e la madre significa sapere chi sei tu. Se prima non lo scopri, non hai pace.
Accettare la tua origine e pacificarti con essa, è la condizione per accettare la tua fine e pacificarti con essa. Finché questo non avviene, sei in guerra con te stesso. So bene che questo avviene nella vita di quello che molti considerano (e io tra loro) il più grande scrittore francese vivente, Patrick Modiano: Patrick aveva dei motivi per non-amare il padre, e da quando il padre è morto, molto tempo fa, non è mai andato alla sua tomba, neanche una volta. Credo che questa non-conciliazione con la propria origine (questa maledizione della propria origine) traspaia nei suoi libri, di riga in riga. La lingua di Modiano è un sangue avvelenato, che scorre per smaltire l’avvelenamento, invano. Molti anni fa ebbi una malattia lunga, mesi di ospedale. Ero in stanza con uno che non poteva guarire, in fase terminale, ed era figlio di NN. Per tutta la vita aveva cercato il padre: solo per vederlo un attimo. D’improvviso sulla porta si stagliò la figura di un uomo, che alzando la mano fece soltanto un saluto. Era controluce, non si vedeva bene. Ma il figlio rispose.
C’è una frase memorabile, non so chi l’abbia detta ma possiamo sottoscriverla tutti, che dice: «Di qualunque cosa parli, l’uomo parla sempre della propria morte». Significa: ci sono uomini che non vanno a trovare i loro morti, non ci pensano e non ne parlano, ma in realtà non pensano e non parlano d’altro. Non accettano il 2 novembre, ma anche per loro, come per tutti, ogni giorno è il 2 novembre. Quella frase si può completare con un’altra: «Qualunque cosa faccia, l’uomo la fa sempre per vincere la propria morte». Qualunque cosa: una guerra, un ponte, una casa, un libro, un figlio. Chi oggi va a trovare il padre morto e porta con sé un figlio, sentirà nascere un pensiero nel cervello: «Io ero prima di essere, e sarò anche quando non sarò». Ha una sua dolcezza, questo pensiero.