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 2012  novembre 02 Venerdì calendario

ALTRI DUE ANNI AL PONTE FANTASMA GIÀ COSTATO AGLI ITALIANI 600 MILIONI

[Spese folli per la Stretto di Messina Spa, 6 milioni di stipendi a 53 dipendenti] –
PALERMO
— Il baraccone andrà avanti, continuando a spendere soldi per inseguire il sogno di realizzare l’opera che non c’è. Dopo l’annuncio dello stop alla costruzione del Ponte perché «l’Italia non può permettersi questa infrastruttura», il governo Monti con una nota di poche righe ridà fiato alla società Stretto di Messina spa, che da oltre trent’anni tenta di collegare Calabria e Sicilia solo sulla carta: «Il Consiglio dei ministri ha deciso di prorogare, per un periodo complessivo di circa 2 anni, i termini per l’approvazione del progetto definitivo del Ponte al fine di verificarne la fattibilità tecnica e la sussistenza delle effettive condizioni di bancabilità». In sintesi, due anni ancora di lavoro per una cinquantina di dipendenti e amministratori di una società che dal 1981 a oggi è costata già 300 milioni di euro, e altri 300 milioni ne dovrà sborsare per le penali maturate tra opere realizzate e mancati guadagni per il consorzio d’imprese guidato dalla Impregilo. In totale 600 milioni, 1.200 miliardi delle vecchie lire: il costo che alla fine degli anni Sessanta stimava l’Eni per fare un tunnel sotterraneo tra Villa San Giovanni e Messina. Il Ponte è già costato di più, ma non una pietra è stata posata.
LA SOCIETÀ DALLE POLTRONE D’ORO
Di quest’opera in Italia si è cominciato a parlare fin dal 1866 durante il governo Ricasoli, ma è nel 1981, con i governi Forlani e Spadolini, che lo Stato ha inizia davvero a spendere soldi per questa faraonica infrastruttura, con la costituzione della Stretto di Messina spa. È il primo passo del grande spreco. Sono trascorsi trentuno anni filati e tra assunzioni, consulenze, mantenimento di sedi distaccate, gettoni agli amministratori e progettazioni riviste di anno in anno, sono stati spesi ad oggi 300 milioni di euro, secondo una stima fatta dall’Anas stessa. Un carrozzone che andrà avanti per almeno altri due anni, grazie alla decisione del governo Monti. Ieri è stato quindi un giorno di doppia festa per gli undici amministratori, che costano 443 mila euro lordi all’anno, 40 mila euro a testa, quasi tutti con incarichi in altre aziende. Come Guglielmo Rositani, che è anche consigliere della Rai, il presidente Giuseppe Zamberletti, che guida l’Igi, sigla che riunisce le principali aziende italiane nel settore edile, o il focoso generale dei carabinieri Antonio Pappalardo, che nel maggio scorso ha tentato la scalata al Comune di Palermo. E possono dormire sonni tranquilli anche i 56 dipendenti, di cui 11 dirigenti. Un numero, questo, cresciuto dal 2010 a oggi, nonostante l’Unione europea abbia dichiarato l’opera non più strategica.
Per almeno altri ventiquattro mesi si spenderà di stipendi oltre 6 milioni di euro all’anno, che si sommeranno ai 4 milioni di euro per manutenzione e affitti. Chissà cosa faranno nei prossimi mesi i 53 dipendenti chiusi nei quattro piani della sede romana di via Marsala, che costa d’affitto 1,2 milioni di euro. Chissà cosa continueranno
a fare i tre funzionari distaccati al fronte: cioè alla periferia di Messina, in un’altra sede che costa d’affitto 32 mila euro. «Questi due anni ci consentiranno di aprire al mercato la realizzazione del Ponte, verificando l’interesse d’investitori privati per non gettare tutto al macero», dicono dell’Anas. Ma perché in due anni dovrebbero riuscire a fare quello che non sono stati capaci di fare in trent’anni? Perché continuare a cercare investitori per un’opera che nel progetto preliminare doveva costare 6,3 miliardi e adesso invece ne costerebbe 8,5?
ANNI DI ASSUNZIONI ALLEGRE E SPESE PAZZE
Di certo sarà difficile per la Stretto di Messina ripetere gli anni fortunati tra il 2001 e il 2006, quando grazie al governo Berlusconi in cassa arrivavano a flusso continuo milioni da spendere in consulenze ed iniziative varie. Se oggi la società costa 10 milioni di euro all’anno, negli anni fortunati si è arrivati anche a 18 milioni. Nel 2005, ad esempio, solo di consulenze si sono spesi 5,7 milioni. Il tutto per elaborati a dir poco strambi, come quello «sull’impatto emotivo» del Ponte per le popolazioni locali, o lo studio «sulle caratteristiche chimicofisiche delle acque dello Stretto e sulle possibili relazioni con i flussi migratori cetacei». E, ancora, «sull’investigazione radar delle specie di uccelli migratori notturni »: progetto, questo, affidato all’Istituto ornitologico svizzero. Le spese da queste parti sono ripartite alla grande tra il 2010 a il 2011, in coincidenza del ritorno alla guida del Paese di Berlusconi, che della grande opera ha fatto sempre la sua bandiera per lasciare «il segno nella storia». Ed ecco l’inizio della collaborazione della Stretto di Messina con la società indonesiana Wiratman & Associates. Per fare cosa? «Gli incontri svoltisi con gli indonesiani hanno costituito l’occasione per valutare diverse ipotesi di collaborazione tra le quali il supporto nelle attività di redazione del “basic design e project management consultant”», si legge nella relazione dell’ultimo bilancio della società italiana. In sintesi, mentre qui tutto è fermo, vorremmo andare in Indonesia a spiegare come si fanno i ponti. Ma la Stretto di Messina ha spiegato anche ai cinesi, durante l’Expo di Shangai, come fare il Ponte, con tanto di missione in Oriente con al seguito modellino e «filmato riguardate le principali caratteristiche dell’opera». Tra le spese singolari, c’è poi quella da 10 mila euro per istituire un Consorzio, denominato Sch, con sede a Messina e di cui fanno parte anche delle ditte di navigazione locale, come la Caronte & Tourist della famiglia Franza. Perché un Consorzio? «La nostra attività riguarda la realizzazione di un sistema integrato per la valutazione della vulnerabilità ambientale dell’area dello Stretto», dice Vincenzo Franza.
Tutte queste pompose iniziative sembravano essere state messe finalmente da parte, dopo la decisione di Palazzo Chigi di stanziare 300 milioni di euro per pagare le penali alle ditte private. Ma adesso, con altri due anni di ossigeno, tutto si rimetterà in moto. E in tanti brindano.
UNO SCHIAFFO ALL’ONESTÀ
Le reazioni di ambientalisti e sinistra non si sono fatte attendere. «La decisione del governo è uno schiaffo all’Italia onesta — dice il presidente dei Verdi, Bonelli — si va avanti per un’opera che rappresenta la sagra dello spreco e dell’inutilità». «Pensavamo fosse un capitolo finito — aggiunge il segretario di Sel, Nichi Vendola — invece no». Di diverso parere i deputati del Pdl, Nino Foti ed Enrico La Loggia: «La proroga di due anni consentirà a un governo politico e non fatto di tecnici di assumersi la responsabilità se fare andare avanti o meno questa infrastruttura». Insomma, altri due anni per riflettere.