Massimo Giannini, la Repubblica 02/11/2012, 2 novembre 2012
LA STRATEGIA DI GRILLI “AVANTI A PICCOLI SCONTI”
«Vittorio, non te la prendere, è iniziata la campagna elettorale… ». Si racconta che il primo a confortare il ministro dell’Economia Grilli sia stato il presidente del Consiglio in persona.
A Monti non poteva sfuggire l’effetto boomerang della clamorosa retromarcia del governo sulla legge di stabilità, riscritta da cima a fondo dopo l’incontro tra il ministro dell’Economia e i relatori del Pd e del Pdl. L’immagine di un governo in confusione, costretto a rimangiarsi la manovra di riduzione delle prime due aliquote Irpef dopo l’assedio bipartisan operato dalla ’strana maggioranza’, andava messa nel conto, ed era in qualche misura inevitabile. Ma Palazzo Chigi e Via XX Settembre respingono le critiche. L’idea che i politici abbiano più buonsenso dei tecnici, e che abbiano dimostrato più attenzione alla domanda di giustizia sociale che sale tra i cittadini-contribuenti, viene considerata «irricevibile». E la vulgata secondo la quale la coppia Monti-Grilli voleva aumentare le tasse, mentre la premiata ditta ’Baretta & Brunetta’ è riuscita a ridurle, viene giudicata «una caricatura demagogica». Una «falsità strumentale», dettata solo dall’imminenza del voto.
Il ministro dell’Economia lo ha spiegato ai relatori, nell’incontro di due giorni fa, e lo ha ripetuto in queste ore a tutti i suoi interlocutori: «Avevamo detto fin dall’inizio che il nostro obiettivo era quello di dare un primo segnale forte sulla riduzione della pressione fiscale, senza indebolire in alcun modo le coperture di bilancio. La rimodulazione delle prime due aliquote Irpef era nata con questo spirito. Poi avevamo anche aggiunto che, fermi restando i saldi finali e l’impianto complessivo della legge di stabilità, che doveva agire contemporaneamente sull’Iva, sui redditi delle persone fisiche e sul cuneo fiscale, saremmo stati disponibili ad accogliere i suggerimenti e i miglioramenti proposti dal Parlamento. E’ esattamente quello che è accaduto». Dunque, secondo Grilli, non c’è stata alcuna confusione. Meno che mai un braccio di ferro tra l’intenzione del governo di aumentare le tasse e l’opposizione dei partiti che si sono battuti per diminuirle.
«Ridurre la pressione fiscale è un nostro obiettivo prioritario», ha rivendicato il ministro dell’Economia nell’incontro con Baretta e Brunetta. E il compromesso condiviso, raggiunto con i relatori mercoledì scorso, è funzionale allo scopo. Solo che lo raggiunge con un meccanismo diverso, anche se non antitetico, rispetto a quello inizialmente previsto dal governo.
Monti e Grilli restano convinti che quest’ultima fosse comunque preferibile, perché abbracciava una platea più vasta di beneficiari. Negano che l’aumento delle due aliquote Iva avrebbe annullato del tutto gli sgravi sulle due aliquote Irpef. Il ministro, come ha ribadito anche agli esponenti del Pd e del Pdl, è tuttora persuaso che la prima stesura della legge di stabilità avrebbe comportato benefici per il 99% dei contribuenti, e che le stime più pessimistiche (formulate per esempio dalla Corte dei conti) non fossero realistiche. Ma premesso questo, le correzioni concordate non dispiacciono affatto, né alla presidenza del Consiglio né al Tesoro. Non solo perché non alterano gli equilibri contabili (che sarebbe una motivazione «meramente ragionieristica ») ma sop rattutto perché mant engono inalterata «la filosofia complessiva della manovra » (che punta comunque ad alleggerire l’onere fiscale delle famiglie).
Gli uffici di Via XX Settembre stanno mettendo a punto i dettagli dell’operazione. Ma le misure e le risorse, come ha riassunto lo stesso Grilli nel resoconto fatto a Monti dopo il vertice con la maggioranza, sono già definite. Niente più riduzioni di aliquota Irpef, ma tagli del cuneo fiscale con effetti diretti sul ’netto’ in busta paga. Non più abbattimento retroattivo ai redditi 2013 delle detrazioni e delle deduzioni dall’imposta sulle persone fisiche, e blocco dell’aumento di 1 punto dell’aliquota Iva del 10% (che riguarda beni di prima necessità come acqua, latte, carne, frutta e verdura). L’intervento sul cuneo fiscale riguarderà solo i lavoratori e le famiglie, che per fasce di reddito ancora da definire saranno sgravati con un aumento delle detrazioni da lavoro dipendente (che oggi partono da 1.840 euro per lo scaglione al di sopra della no tax area) e delle detrazioni per i figli a carico (che oggi partono da 800 euro per ciascun figlio sopra i tre anni).
A regime, secondo i calcoli del Tesoro, le risorse disponibili per finanziare questo sgravio in busta paga saranno di 2 miliardi. La precedente manovra prevedeva infatti ’uscite’ fiscali (sotto forma di sconti) per 6 miliardi, contro 1 miliardo di entrate (relative al giro di vite su detrazioni e deduzioni). Ora, dal saldo di 5 miliardi che ne viene fuori, occorre togliere un altro miliardo per coprire la rinuncia alla retroattività delle manovra sulle detrazioni. I 4 che restano vanno decurtati da ulteriori 1,2 miliardi, che servono a finanziare il mancato aumento dell’Iva al 10%. Quel che resta, poco meno di 2 miliardi, è quindi il ’tesoretto’ a disposizione delle buste paga dei lavoratori dipendenti. Le imprese, invece, dovranno aver pazienza. Come ha anticipato Grilli alle associazioni di categoria, a parte quel miliardo e 600 milioni già stanziato per i salari di produttività, si potrà tentare di sforbiciare anche l’Irap solo nel 2014, attingendo al nuovo ’Fondo’ creato appositamente con i proventi del recupero dell’evasione e i risparmi nei trasferimenti legati all’attuazione del piano Giavazzi. «Ma prima del 2014 – è la linea del Tesoro - non ci sono altre risorse disponibili». Il poco che c’è, per adesso, va insomma tutto al mondo del lavoro. E questo è sicuramente un fatto positivo, in un Paese che sconta il tasso di disoccupazione più alto degli ultimi vent’anni. Certo, in ballo non ci sono cifre stratosferiche. Tanto più che un’operazione analoga sul cuneo fiscale, compiuta dall’ultimo governo Prodi, si rivelò assai blanda come ’driver’ per i consumi delle famiglie e quindi per la crescita dell’economia. Tuttavia, nell’era della sobrietà e dell’austerità, questo passa il convento. Il governo ha commesso e commette molti errori. Se è vinta la sfida del rigore, quella dell’equità non lo è per niente. Il fatto che, nelle pieghe di questa legge di Stabilità, non si siano trovati i pochi fondi necessari per coprire l’assistenza ai malati di Sla, è uno scandalo che grida vendetta. E stride quel guanto di velluto usato con la Fiat, rispetto al guanto di ferro utilizzato contro i pensionati e gli esodati. Ma occorre pur sempre ricordare da dove siamo partiti, esattamente un anno fa. Il governo Berlusconi-Tremonti, oltre all’aumento secco di due punti delle due aliquote Iva, aveva previsto per l’anno prossimo una clausola di salvaguardia che conteneva un taglio automatico (e drammatico) da 20 miliardi tra detrazioni e deduzioni Irpef. Oggi, anche se la ’penitenza’ tributaria non è affatto finita, stiamo parlando di un alleggerimento di 2 miliardi del cuneo fiscale. Campagna elettorale o no, è comunque un discreto passo avanti. Ed è anche il motto di Grilli: «Piccoli sconti, grande segnale».