Dario Fertilio, Corriere della Sera 1/11/2012, 1 novembre 2012
Quel fumo di Eva in faccia a Hitler e l’eros di Claretta a Palazzo Venezia – Q uando Eva e Claretta entrano in scena, i lettori dell’ultimo saggio quasi romanzo di Arrigo Petacco hanno la sensazione di starsene seduti al cinema, spettatori di un film
Quel fumo di Eva in faccia a Hitler e l’eros di Claretta a Palazzo Venezia – Q uando Eva e Claretta entrano in scena, i lettori dell’ultimo saggio quasi romanzo di Arrigo Petacco hanno la sensazione di starsene seduti al cinema, spettatori di un film. Sullo schermo idealmente campeggiano due donne di una modernità inquietante: belle e curate, sportive e ballerine instancabili, estranee alla politica, attratte dalla celebrità, in cerca di avventure ma spasimanti per un grande amore. Così la Braun e la Petacci, sorelle sotto la pelle, occupano prepotentemente la scena di Eva e Claretta, le amanti del diavolo e non la lasciano più. Pare quasi, di fronte alla loro vitalità prorompente, alla contraddittorietà degli impulsi, e soprattutto all’abnegazione totale di entrambe, che Adolf e Benito siano pallide comparse: spiazzati, travolti dall’ardore delle rispettive amanti. Differenti, certo, Claretta ed Eva. Ma qualcosa che somiglia molto a un destino le insegue dall’inizio: questo qualcosa aleggia sempre, evocato per una precisa scelta di Arrigo Petacco, capitolo dopo capitolo. Entrambe belle, entrambe destinate a morte violenta, alla stessa età, 33 anni. Anche l’anno fatale coincide, il 1945, e così pure il mese, aprile, e quasi il giorno, 30 e 28, sotto il segno del Toro. E sono nate, ancora, lo stesso anno (il bisestile 1912) e lo stesso mese (febbraio). Simile anche la differenza d’età rispetto agli amanti: 23 anni nel caso di Eva e Adolf, 29 quelli che separano Claretta da Benito. Le sconcertanti coincidenze sono poi insaporite dal caso: Claretta e Benito si parlano per la prima volta sulla rotonda di Ostia, scendendo da una macchina; Adolf ammira le forme generose di Eva a Monaco, nello studio fotografico dove lei è commessa, e festeggia portandola all’Opera su una Mercedes-Benz fiammante, dono della fabbrica al politico emergente. Da quel momento, le due coppie procedono senza saperlo su strade parallele, raramente incrociandosi nella realtà ma ricalcando idealmente l’una le orme dell’altra. I rapporti passano dalla pura attrazione fisica alla tenerezza e poi alla passione. Claretta nell’intimità chiama «Ben» il suo Duce, il quale ricambia ricorrendo a una sfilza di nomignoli e vezzeggiativi addirittura imbarazzanti; Eva si rivolge più teutonicamente ad Adolf con un Mein Führer, mentre lui ricambia teneramente con un Tschapperl, «topolino mio», e nel rifugio del Berghof la sistema in una camera comunicante tramite sala da bagno, con al centro una vasca enorme in marmo nero dai rubinetti d’oro. Il grottesco e il drammatico sono le due tonalità alternativamente dominanti nella narrazione di Petacco. Alla prima appartiene la scena del Duce che possiede per la prima volta Claretta su un divano di Palazzo Venezia, subito dopo il discorso in cui annuncia il ritorno dell’impero «sui colli fatali di Roma»; oppure l’immagine di Eva che soffia provocatoriamente il fumo in faccia al suo morigeratissimo Adolf, canterellandogli sottovoce la canzone «Smoke gets in your eyes». Alla seconda, la discesa agli inferi di tutti e quattro, con i due dittatori finalmente coscienti di non poter fare più a meno delle amanti (Adolf riparerà in extremis, tanto che Eva diventerà, nelle ultime ore, la signora Hitler). Le battute conclusive, tragiche e tra loro quasi intercambiabili, toccano sempre a loro, Claretta ed Eva. La prima: «Troppa gente gli ha voltato le spalle. Io non lo farò mai. Dove va il padrone va il cane». «Ho preso la mia decisione. So che non morirò nel mio letto». Il libro: Arrigo Petacco, «Eva e Claretta, le amanti del diavolo», Mondadori, pp. 212, 19