Alessandro Piperno, Corriere della Sera 2/11/2012, 2 novembre 2012
L’AMORE ROMANTICO È UNA FIABA EFFIMERA
Perché se quella ragazza non era la più carina della classe tutti (me compreso) ne erano innamorati?
Solo più tardi, ormai sui banchi dell’università, grazie alla lettura entusiasmante di Menzogna romantica e verità romanzesca di René Girard, avrei gettato un po’ di luce su quell’interrogativo adolescenziale. Girard mi rivelò una verità odiosa su me stesso, e sulle persone che conoscevo. Finalmente uno studioso che mi parlava con coraggio di cose che mi riguardavano. Che ripristinava il legame tra vita e letteratura che mi aveva animato sin dai tempi in cui avevo iniziato ad idolatrare gli inventori di Anna Karenina e di Emma Bovary.
Girard utilizzava la letteratura per spiegare i meccanismi del cuore. Lo sguardo terso e sfiduciato sulla natura umana era del tutto assimilabile a quello di certi grandi moralisti classici. Lui ce l’aveva con il romanticismo. Con il mito dell’amore assoluto e disinteressato. La sua devozione alla Recherche proustiana derivava dal fatto che nessuno più di Proust aveva saputo demolire il mito dell’amore romantico. Amiamo solo esseri in fuga. L’amore è una fiaba effimera che il soggetto si racconta. Non c’è nulla nell’oggetto amoroso che possa spiegare la passione e il dolore che ci ha ispirato. D’altronde, non c’è amore ricambiato che non abbia i giorni contati.
Le Grandi Leggi proustiane furono d’ispirazione a Girard. Da lì proviene l’elaborazione teorica del famoso «desiderio mimetico». Noi siamo indotti a desiderare ciò che gli altri desiderano. Il nostro desiderio per proliferare ha bisogno di un intermediario autorevole. Non c’è niente di meno autonomo del desiderio. Fu così che Girard mi spiegò perché tanti anni prima mi fossi innamorato di una ragazza che non corrispondeva al mio ideale.
Sebbene nel frattempo i suoi interessi si siano spostati sul territorio del Sacro, quell’idea giovanile ha continuato a tormentare Girard. Ed ecco qui, fresco di stampa, questo libretto, una raccolta di interventi vari, ineluttabilmente intitolato Geometrie del desiderio (Raffaele Cortina, pp. 138, 13). Qui Girard, con un tono ancor più tranchant del solito, affronta alcuni pesi massimi della letteratura universale. Nel breve saggio su Dante, medita sulla celebre confessione di Francesca: «Galeotto fu’l libro e chi lo scrisse». «Paolo e Francesca», scrive Girard, «sono le vittime designate di Lancillotto e della regina che, a loro volta, sono le vittime di Galeotto. E i lettori romantici, infine, sono le vittime di Paolo e Francesca». Solo un poeta romantico, nella sua ottusità, nella sua scriteriata fiducia nella purezza dei propri impulsi, può ritenere che un amore non sia il frutto avariato di un condizionamento sociale e di una mediazione diplomatica.
L’analisi di Girard sull’abuso di ossimori da parte di Shakespeare in «Romeo e Giulietta» è ancor più brillante. «Shakespeare sa che il pubblico è incapace di concepire il desiderio viscerale se non sotto la forma dell’ossimoro, cioè in termini di frustrazione estrema». Insomma Shakespeare usa l’ossimoro come il doping. Dal che si può evincere che, a dispetto delle apparenze, non c’è amore meno romantico di quello di Romeo e Giulietta. Siamo certi che se i Montecchi e i Capuleti fossero andati d’amore e d’accordo quei due ragazzini l’avrebbero fatta tanto lunga? Probabilmente si sarebbero messi assieme, per poi lasciarsi dopo un paio di mesi. Shakespeare ha bisogno che i Montecchi e i Capuleti si odino affinché Romeo e Giulietta possano amarsi con altrettanta intensità. Anche su di loro, in un certo senso, agisce il subdolo afrodisiaco del desiderio mimetico. «La legge del desiderio mimetico», scrive solennemente Girard, «è la frustrazione universale». Be’, basta vivere per capire quanto abbia ragione.
Alessandro Piperno