Ilaria Maria Sala, La Stampa 01/11/2012, 1 novembre 2012
CINA VERSO LA SVOLTA “BASTA CON LA POLITICA DEL FIGLIO UNICO”
[Un centro studi governativo: troppo impopolare] –
Arrivano nuove critiche all’impopolare «politica del figlio unico» applicata in Cina, ma questa volta la fonte è un think-tank alle dipendenze del Consiglio di Stato, la Fondazione per la Ricerca sullo sviluppo, che consiglia di eliminare progressivamente la prassi, arrivando a sospenderla del tutto da qui al 2020. Lo studio, annunciato ieri dall’agenzia di stampa Xinhua, ribadisce fino a che punto sia mal digerita una politica che, introdotta nel 1980 per ridurre la popolazione cinese, è stata causa di alcuni fra i più gravi abusi dei diritti umani nel Paese.
Se il problema che ha portato alla sua introduzione è sotto gli occhi di tutti – un’esplosione demografica che pesa sia sulle infrastrutture che sul potenziale di sviluppo nazionale – le difficoltà e la sofferenza create dalla decisione di limitare le coppie ad avere un solo figlio sono numerose, e minacciano di estendersi nei decenni. Per restare sul piano prettamente economico, la delicata questione dell’invecchiamento della popolazione, che dovrebbe portare a circa 450 milioni di anziani di qui al 2050. Ma i peggiori casi di aborti forzati e controllo delle nascite invadente si sono avuti proprio da parte di autorità locali sulle cui spalle grava la responsabilità di assicurare che le municipalità non sforino il piano regolatore delle nascite. Pena la riduzione dello stipendio, il blocco delle promozioni, multe e altri provvedimenti punitivi.
La preferenza, in particolare nelle zone rurali, per il figlio maschio ha portato a un’incontrollabile diffusione dell’aborto selettivo, risultata in milioni di bambine «mancanti», a cui non è stato dato il permesso di nascere e a un potenziale esercito di scapoli che non potranno trovare moglie in Cina. Ciò nonostante, molti attribuiscono proprio alla severità della politica del figlio unico lo stabilizzarsi dell’esplosione demografica, e il fatto che le riforme economiche siano riuscite a togliere dalla miseria centinaia di milioni di persone.
Già da diversi anni, però, la politica più odiata dalla popolazione cinese è stata addolcita: nelle campagne, le coppie il cui primo nato sia femmina hanno diritto ad un secondo figlio. Molti gruppi etnici minoritari possono avere fino a tre figli. Nelle città, inoltre, le coppie formate da figli unici possono avere due bambini, e molti degli abitanti di alcune città particolarmente sviluppate, fra cui Shanghai, possono avere due figli. Anzi: come ripetono instancabilmente gli slogan dipinti sui muri delle campagne, l’aspirazione della dirigenza nazionale (che non teme gli echi eugenetici della sua incitazione) è quella di «innalzare la qualità della popolazione e ridurre il numero delle nascite». Innumerevoli sono poi le persone che hanno deciso di pagare le salate multe per chi ha più di un figlio, o che si recano all’estero (inclusa Hong Kong) per dare alla luce il pargolo senza incorrere in penalizzazioni.
Gli appelli contro il perdurare della politica del figlio unico sono stati numerosi nel corso degli anni, e per quanto quest’ultimo venga da un think tank particolarmente altolocato, fino ad ora non ci sono stati segnali da parte del governo cinese di voler eliminare interamente questa controversa pratica. Ma in queste settimane, in attesa del 18esimo congresso del Pc, che selezionerà la nuova classe dirigente, i maggiori controlli imposti per evitare ogni segnale di dissidenza o protesta sono accompagnati da imprevisti dibattiti per una maggiore liberalizzazione.