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 2012  novembre 02 Venerdì calendario

MILANO —

Inevitabile, forse. La Fiat decide di scommettere sull’Italia, conferma che non chiuderà fabbriche, fissa il polo dell’alta gamma a Mirafiori-Grugliasco e subito, entro l’anno, promette la partenza dei primi investimenti a Melfi. Ma passa tutto in secondo piano, a tenere banco resta Pomigliano. La guerra tra il Lingotto e la Fiom. I 19 iscritti ai metalmeccanici Cgil che, dopo la condanna del tribunale, il gruppo dovrà reintegrare (con gli altri 126 della causa collettiva, per i quali però l’obbligo scatterà fra sei mesi). L’identico numero di operai che l’azienda ha annunciato di «essere costretta a mettere in mobilità» perché, con la crisi e la cassa integrazione arrivata pure nella fabbrica della Panda, «il lavoro manca anche per chi assunto lo è già». Chiaro come il braccio di ferro tra Sergio Marchionne (ma con lui, alla fine, pure il «sindacato del sì») e Maurizio Landini sia arrivato alla partita probabilmente finale. Chiaro che montino le polemiche e le tensioni. In prima fila ieri, il ministro del Welfare: Elsa Fornero esprime «rammarico e preoccupazione», chiede uno stop, invita Torino a «soprassedere in attesa di verificare le possibilità di un dialogo che non riguardi solo il fatto specifico ma l’insieme delle relazioni sindacali». Con lei, il ministro dello Sviluppo Corrado Passera. Decisamente contro il Lingotto.
A lui, parlando comunque all’intero esecutivo, si era esplicitamente rivolto Landini: «Il governo chieda a Marchionne di ritirare i provvedimenti». Risposta, in realtà, già arrivata. Non fa cenno a interventi, Passera, da Sky Tg24. Però, se premette «non entro nel merito di decisioni interne a un’azienda», poi senza mezzi termini lo dice: no, a differenza della «buona notizia che non si chiuderanno impianti in Italia, non mi è piaciuta la mossa fatta a Pomigliano». Dove ovviamente, intanto, le tensioni salgono. Tra gli operai, quelli che comunque faranno la spese dello scontro tra Fiat e Fiom ma pure tra la Fiom e le altre sigle. E, quindi, tra gli stessi sindacati. Gli uomini di Landini all’attacco, con il nuovo appoggio anche su Twitter del segretario pd Pierluigi Bersani («Inaccettabile»). Gli altri a cercare una via d’uscita perché, appunto, a pagare non sia chi lavora. La sintesi la fa il leader Cisl Raffaele Bonanni: «Non mi è piaciuto, il provvedimento Fiat, tanto meno nel giorno dell’importante notizia degli investimenti in Italia». Quella decisione, oltretutto, «danneggia i miei iscritti: se saranno toccati ci muoveremo contro l’azienda per tutelarli». E però, ancora più duro: «Chiedo anche alla Fiom di finirla con questo gioco al massacro. Basta. Rispetti la volontà della maggioranza e firmi gli accordi».
La Fiom non ne parla proprio. Ed è del resto un tema, questo dello scontro, certo non «neutro» in tempi di campagna elettorale. Non è Marchionne, però, a caccia di voti. Così tira dritto, puntando al disegno di una Fiat italiana tutta da rivoluzionare. La sua voglia di restare, ieri, dev’essere scesa non di poco. Ma intanto i suoi tecnici andranno a Melfi e una sua squadra continuerà a lavorare con quella del governo alle possibili misure per l’export. Mentre lui, da Detroit, non replica nemmeno al nuovo, pesante attacco di Diego Della Valle: mister Tod’s chiede il doppio intervento di Giorgio Napolitano e Mario Monti perché, affonda, «bisogna proteggere l’Italia da Marchionne e dagli Agnelli, il presidente della Repubblica e il premier devono a questo punto intervenire per richiamarli al rispetto e al senso di responsabilità che devono al Paese». Non replicheranno — anche se certo non hanno gradito, a maggior ragione dopo le decisioni d’investimento — né il presidente John Elkann né l’amministratore delegato. Il quale, nominato ieri «uomo dell’anno 2013» dalla rivista Usa Automotive Magazine («La rinascita Chrysler è in gran parte opera di una sola persona, Sergio Marchionne»), dagli States si limita a sfornare gli ultimi numeri dei successi di Chrysler in America e di Fiat in Brasile. In ottobre, la prima ha messo a segno l’ennesimo mese record (siamo a 31 di fila) con un +10% che batte sia Ford sia Gm. La seconda, conferma i dieci anni di primato nel Paese con +41,4% e una quota salita al 23,1%. Ma oltre Atlantico non c’è il gran caos italiano.
Raffaella Polato