Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 2/11/2012, 2 novembre 2012
ROMA —
Se campanilismo deve essere, campanilismo sia. E infatti, mandato giù il boccone amaro del taglio per decreto legge, nelle nuove Province sono già partite le grandi manovre per aggiudicarsi il titolo di capoluogo. Con l’aiuto di una frasetta aggiunta in zona Cesarini nel testo approvato due giorni fa dal Consiglio dei ministri. Dice l’articolo tre che «diviene capoluogo di Provincia il comune, tra quelli già capoluogo, avente maggior popolazione residente». La città più grande, non la Provincia più grande. Pescara, non Chieti per fare un esempio. La regola era stata già annunciata dal governo, e fin qui ci siamo. Ma il bello viene con la frasetta aggiunta subito dopo, tredici parole appena: «Salvo il caso di diverso accordo, anche a maggioranza, tra i medesimi comuni». Cosa vuol dire?
Se i consigli comunali dei vecchi capoluoghi decidono di spostare la «capitale» in una città diversa da quella più popolosa, ecco, si può fare. Poco cambia nelle fusioni a due, la grande maggioranza nella nuova cartina disegnata dal governo. La città più grande dovrebbe strapparsi spontaneamente i gradi di capitale. Impossibile. Matera l’aveva proposto a Potenza e ha ricevuto un no, senza possibilità d’appello. Ma la questione si complica quando a unirsi sono almeno in tre. Nell’alta Lombardia il capoluogo dovrebbe essere Como, ma Varese e Lecco potrebbero fargli le scarpe se unissero gli sforzi. La capitale della Romagna dovrebbe essere Ravenna ma tutto potrebbe saltare se si mettessero d’accordo le altre, Forlì, Cesena e Rimini.
Visto che parliamo di campanili, però, bisogna andare in Toscana, nel provincione del litorale nord. Quattro territori uniti in un colpo solo e addirittura cinque capoluoghi perché c’è anche il duplex Massa-Carrara. Con la regola base dei residenti il capoluogo sarebbe Livorno. Ma il sindaco di Pisa Marco Filippeschi già chiede di «interpretare con intelligenza la norma che prevede accordi fra le città». E non bisogna essere abbonati al Vernacoliere per capire che a Livorno l’abbiano presa male. In città si mormora che dietro quella frasetta aggiunta nel decreto ci sia la mano di Enrico Rossi, presidente della Toscana che tra Pisa e provincia è nato e cresciuto. «Per eliminare ogni sospetto — dice il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi — sarebbe meglio eliminarla durante l’esame del decreto in Parlamento». Altrimenti? «Si aprirebbe un problema politico enorme. Ricordo al mio partito che il Pci è nato a Livorno e il Pd prende in città il 48,5%. Occhio, che qui la gente si arrabbia». Ma non è una poltrona per due. Si candida anche lei? «Perché, non si può?», risponde veloce il sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini. «Siamo stati capitale di uno Stato libero fino al 1847, abbiamo la seconda commissione tributaria della Regione...». D’accordo, ma cosa offre a Massa e Carrara per votare la sua città? «L’assetto policentrico della nuova provincia».
«Policentrico», che tradotto vuol dire spartirsi sul territorio gli uffici statali: la sede dell’Inps a Massa, la sovrintendenza a Carrara, e via così. Policentrico, guarda caso la stessa parola che usano i sindaci di Massa e Carrara, come requisito per dare il loro appoggio. «Sarebbe bellissimo se tra i due litiganti godesse il terzo», si augura il sindaco di Lucca. E allora è vero che l’Unione delle province mantiene alta la protesta, parla di «attacco alla democrazia» e l’8 novembre si riunirà a Roma. Ma le grandi manovre per i capoluoghi sembrano dire che, decreto o non decreto, nella pancia dell’Italia Province e campanili resteranno in piedi per sempre.