Goffredo Fofi, Avvenire 1/11/2012, 1 novembre 2012
ELOGIO DI GUARESCHI
Sono nato nel 1937 in una cittadina dell’Umbria dove, come nell’Emilia rossa, dopo la guerra vinse la sinistra, e per molti anni l’amministrazione comunale, prima socialista e poi comunista, fu gestita con molta dignità, anche se i ricatti della guerra fredda fecero pesare i loro effetti nel confronto quotidiano tra la sinistra e i cattolici - i fascisti ridotti in qualche modo al silenzio dalla sconfitta storica della dittatura. Questo confronto, va detto e vale per l’Italia tutta, raramente diventò uno scontro. Di storie come quelle raccontate dal Mondo piccolo di Guareschi ne potrei raccontare molte, e molte mio hanno coinvolto. Ricordo perfettamente quando nottetempo fuggii di casa per raggiungere un prete fanatico che ci portò a imbrattare nottetempo i manifesti (castissimi) di Bellezze al bagno coprendo le poche parti nude del bel corpo di Esther Williams, o il giorno della scomunica ai marxisti, perché mio padre, socialista militante, e i suoi amici, dal fondo di una grande chiesa fecero cenno alle loro mogli, tra cui mia madre, di seguirli, uscendo platealmente quando il parroco attaccò a leggere la bolla di Pio XII: io servivo messa, rimasi inchiodato all’altare e ancora me ne vergogno… Il “mondo piccolo” fu anche il mio mondo, e siccome tra i dieci e i 18 anni leggevo di tutto, lessi con uguale entusiasmo Pratolini (le Cronache , Il quartiere, Metello…). di cui più tardi diventai anche amico, e i libri di Guareschi, a cominciare da Gente così. Di quel libro vidi anche la riduzione cinematografica, incunabolo dei Don Camillo a venire, apprezzandola non diversamente da come apprezzai, che so, Ladri di biciclette , Il cammino della speranza e il cinema neorealista, ma anche quello che i critici di sinistra non consideravano tale, e che pure raccontava pezzi di Italia molto veri, film dimenticati come Donne senza nome (su un lager per le donne apolidi seminate dalla guerra, La città dolente sull’esodo da Pola, o il Cristo proibito di Malaparte che osava parlare di ’guerra civile’ per ciò che era successo in Italia tra il ’43 e il 45…). Ero felicemente indifferente agli anatemi degli uni e degli altri, a quel che potevano dire i giornalisti i critici i politici. e qualche volta comprai anche il ’Candido’ di nascosto da mio padre, ma confesso che, a parte qualche pizzico di Guareschi, non mi piacque affatto, propagandistico nei modi e nelle idee non diversamente dai giornali del Pci e forse peggio. Dovendo scegliere, leggendo e vedendo e capendo quel che poteva leggere vedere capire un ragazzino figli di proletari semianalfabeti nell’Italia del dopoguerra, scelsi istintivamente e coscientemente l’altra parte, quella di una sinistra aperta e minoritaria.
Ma della sinistra non ho mai accettato i diktat culturali e ideologici, fedele a san Tommaso e avendo, per fortuna e per scelta, la possibilità di confrontare tra loro le idee e le realtà. La simpatia istintiva per Guareschi – e me la conferma la lettura del bel ’fumetto’ o graphic novel, romanzo-biografia disegnata di Nazareno Giusti (che ha anche la fortuna di avere un nome e un cognome esemplari) – mi ha portato ovviamente allo scontro con molti amici, né più né meno della simpatia per Jacovitti, un altro grande personaggio e artista inviso alla ufficialità ’marxista’ e ’liberale’ e a certi intellettuali ’trinariciuti’, che hanno detestato questi autori e hanno amato e amano, guarda caso, certi ’eroi’ del capitalismo statunitense alla Clint Eastwood. Don Camillo e Peppone sono stati due grandi invenzioni letterarie, e anche qualcosa di più: la personificazione di due istanze forti di un’epoca forte, quella di un cattolicesimo battagliero nella sua componente più tollerante e ’dalla parte del popolo’, e quella di un comunismo di base che fu ben diverso da quello dei vertici, e che si incontrava con il cattolicesimo sociale per il suo millenarismo, per le sue istanze di giustizia. Il ’basso’ e l’’alto’ non hanno mai avuto le stesse ragioni, e, come dice un vecchio proverbio contadino, ’chi ha pancia piena non crede al digiuno’, all’esistenza e all’esperienza di chi non ha di che saziarsi. Guareschi ha rappresentato in un modo formidabile e acuto la commedia dei ruoli assunti in una certa epoca storica dalle istanze di un popolo affamato di giustizia, e si è assunto il compito, pagando spesso di persona, di rappresentare, anche se con una certa dose di retorica, opinioni e sentimenti della ’zona grigia’, della ’gente comune’ e delle sue contraddizioni, bensì vitali.
Il tempo passa e fa giustizia, e oggi posso continuare ad amare senza vergogna i poveri amanti di Pratolini come il prete e il comunista di Guareschi: ’gente così’, la cui storia ci ha segnato e che abbiamo ben conosciuto.