Maria Serena Natale,, Corriere della Sera 1/11/2012, 1 novembre 2012
DAL NOSTRO INVIATO
KIEV — Signora Tymoshenko, come sta?
«Non voglio dare l’impressione di lamentarmi. Ho scelto la strada della lotta per un’Ucraina libera e democratica, per la giustizia, contro la corruzione e l’oligarchia che stanno trasformando il mio Paese nella proprietà illegittima di una Famiglia criminale. Non rimpiango un solo giorno di questa battaglia politica. La violenza che subisco quotidianamente su ordine di Yanukovich non cambierà le mie convinzioni, non abbatterà il mio spirito né il mio corpo».
Yulia Tymoshenko ha appena cominciato lo sciopero della fame, il secondo in un anno, contro «la totale falsificazione» delle elezioni politiche di domenica scorsa. In quest’intervista esclusiva risponde al Corriere dall’ospedale di Kharkiv dov’è ricoverata in stato di detenzione. Icona e leader della Rivoluzione arancione che nel 2004 sembrò aprire una nuova era per il Paese dove passa il confine non scritto tra l’Europa e l’«orbita russa», Yulia è stata primo ministro nel 2005 e dal 2007 al 2010. Il prossimo 27 novembre compirà 52 anni in carcere. Nel 2011 è stata condannata a sette anni per aver commesso abuso d’ufficio firmando con Mosca un contratto capestro sulle forniture di gas, negli ultimi mesi nuovi procedimenti sono stati aperti a suo carico. Denuncia l’accanimento di un potere corrotto che elimina il dissenso con metodi stalinisti e che non le ha permesso di guidare l’opposizione al voto di domenica. Martedì un incontro con la delegazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) è stato cancellato all’ultimo momento, come ha reso noto da Kharkiv il deputato radicale-pd Matteo Mecacci, presidente della Commissione Diritti umani e Democrazia dell’Assemblea parlamentare Osce e promotore di una risoluzione sui diritti civili in Ucraina — la delegazione ha passato queste domande ai legali di Yulia.
Com’è giunta alla decisione di cominciare lo sciopero della fame?
«È un passo estremo ma necessario, perché sono stata privata di tutti gli altri mezzi per protestare ed esprimere la mia opinione. Se le autorità tentassero di alimentarmi in maniera forzata, commetterebbero una diretta violazione della Convenzione europea e un ulteriore atto di violenza che andrebbe ad aggiungersi alla lunga lista di torture con le quali hanno cercato di spezzarmi».
Perché definisce la sua detenzione arbitraria?
«Non è solo arbitraria, è aperta e brutale repressione politica. Non cercherò di giustificarmi, dare spiegazioni o difendermi. L’Unione Europea ha incaricato il Comitato Helsinki danese, organizzazioni legali e Ong per i diritti umani di condurre una minuziosa indagine sulle persecuzioni di oppositori commesse negli ultimi due anni in Ucraina. Gli osservatori hanno certificato la finalità politica di arresti e sentenze relativi a me e a colleghi come Yuri Lutsenko (ministro dell’Interno dal 2007 al 2010, condannato nel 2012 a quattro anni di carcere per abuso d’ufficio, ndr). Yanukovich e i suoi uomini hanno speso milioni per passare al setaccio la mia attività come primo ministro. Non hanno trovato un centesimo mancante, non un singolo protocollo violato. Le motivazioni della mia condanna spiegano che sono stata punita per essermi costruita, con la risoluzione della crisi del gas del 2009, un’immagine positiva agli occhi degli elettori. La Corte non è riuscita a provare alcun danno né abuso di potere. Non credo che Yanukovich e la sua cerchia sarebbero sopravvissuti a un simile esame. Le autorità del regime continuano a fabbricare processi penali mirati: è così che Yanukovich ha deciso di affrontare la sua principale oppositrice».
Il Paese è diviso e sfiduciato, che ne è stato degli ideali della Rivoluzione arancione?
«Quegli ideali sono il senso della mia vita e del mio lavoro. Vivo e combatto nella convinzione che presto diventeranno realtà per l’Ucraina».
Quali misure ha adottato, durante il suo mandato come primo ministro, per modificare le regole del sistema?
«Purtroppo la Rivoluzione è stata tradita e non abbiamo mai avuto una maggioranza democratica in Parlamento né una magistratura indipendente. Tuttavia in quegli anni l’Ucraina è diventata membro dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha introdotto un piano d’azione che stabiliva i primi passi verso l’accordo di Associazione e di Libero scambio con l’Unione Europea; il governo ha preparato e ricevuto mandato dal Parlamento per una riforma di bilancio che decentralizzava le inefficienti strutture di stampo sovietico, abbiamo aumentato stipendi e pensioni. Abbiamo sottoposto al Parlamento trecento progetti di legge che, se fossero stati approvati, avrebbero aperto la strada per riforme in aree chiave.
Quali sono le priorità per l’Ucraina oggi?
«Ripristinare lo sviluppo democratico attraverso la rimozione non violenta del regime autoritario, nel rispetto delle leggi costituzionali. Dopo, il Paese sarà finalmente pronto per rinnovare la sua prospettiva europea con un esecutivo in grado di garantire il rispetto degli standard europei su Stato di diritto e lotta alla corruzione. Il prossimo governo democratico dovrà attuare una vera riforma giudiziaria, creare condizioni favorevoli allo sviluppo delle piccole e medie imprese che sono la base per quella classe media distrutta dalla riforma fiscale e dalle razzie compiute nella redistribuzione illegale e violenta del potere all’interno della "Famiglia". Infine, nel lungo periodo dobbiamo costruire l’Europa in Ucraina, sviluppare e rendere competitivi i settori più forti dell’economia e aprirci agli investitori esteri».
Cosa chiede alla comunità internazionale?
«La trasformazione dell’Ucraina in un regime autoritario sembra un processo irreversibile ma possiamo ancora recuperare la nostra libertà. Alle ultime elezioni più di metà della popolazione ha sostenuto l’opposizione democratica. La comunità internazionale non riconosca questo voto, non legittimi il regime. Chiedo di unire le forze per combattere la dittatura e fermare il deterioramento della democrazia, della libertà e dei diritti umani nel mio Paese. Forse è tempo che, nel mondo globalizzato, le istituzioni internazionali elaborino strategie per indagare i sistemi corrotti e dittatoriali. Non esistono dittatori "utili". Prima o poi, le dittature che lasciamo crescere busseranno alla porta dei vicini Stati democratici spargendo il loro veleno oltreconfine, con gravi conseguenze per tutti. Nessun Paese è un’isola e nessuna democrazia in lotta può sconfiggere gli usurpatori da sola. Dobbiamo unire le forze ora, prima che sia troppo tardi».
Maria Serena Natale