Flavio Vanetti, Corriere della Sera 31/10/2012, 31 ottobre 2012
«CHICAGO CASA MIA, ORA SVUOTO LA VALIGIA»
Parte la nuova stagione della Nba e l’«uomo con la valigia» è appena sceso alla stazione di Chicago. Maglia numero 8 dei Bulls, per Marco Belinelli. Chicago, uno dei miti dei «pro». È la quarta squadra di «Beli» in sei stagioni tra i professionisti. Ma può essere, deve essere, quella che gli fissa finalmente un centro di gravità. Vengono in mente le parole di Ettore Messina, non uno qualsiasi: «Dei tre ragazzi che abbiamo nella Nba, ammiro in particolare Marco: ha lottato in silenzio per restare a galla. E ce l’ha fatta».
Belinelli, che cosa ha imparato facendo il «precario» dei canestri?
«A crescere come giocatore e come uomo. Sul piano mentale è un’esperienza che mi ha rafforzato».
Qual è il segreto dell’uomo con la valigia sempre in mano?
«La capacità di capire e di accettare un mondo sportivo differente dagli standard europei: in nome dell’affare, qui può capitare di tutto. Ecco, ho imparato a fare a mia volta l’affarista e a badare ai miei interessi».
Non rimpiange di non aver messo radici?
«A volte sono tentato di dire che sarebbe stato bello, come sta capitando a Bargnani, rimanere nella stessa squadra. Ma mi sarei perso l’incontro con città differenti e con gente interessante. Ora però spero di fermarmi: Chicago è un posto giusto per piantare le tende e la voglia dei Bulls di vincere coincide con la mia».
Non aver avuto una squadra fissa è una bocciatura oppure no?
«Può sembrarlo e qua e là ho pure avuto questo sospetto. Con un senso di fastidio, lo ammetto. Ma la realtà è un’altra: ho sempre trovato porte aperte e io ho saputo imboccarle. Dico con orgoglio che la Nba si è accorta di Marco Belinelli».
Quanto ha stretto i denti?
«Parecchio, parecchio... Tanti mi dicevano: "Non è la tua dimensione". Ma io non ho mai voluto mollare e ho sempre ricercato il rispetto. Nei momenti difficili è indispensabile essere ottimisti e non arrendersi».
Che cosa invidia ad Andrea Bargnani o a Danilo Gallinari?
«Sinceramente, nulla. Non sono geloso, nemmeno quando mi si fa notare che loro due sono più conosciuti di me. Io vado avanti per la mia strada, con grande fiducia e grande umiltà. Essendo comunque amico sia del Mago sia del Gallo».
Giuri che lei, da bambino, non tifava per i Bulls di Jordan.
«Non posso giurarlo perché era... la verità. Quando ho firmato il contratto avevo i brividi; quando ho indossato per la prima volta la maglia, di più... E non ci sono parole per descrivere l’emozione nello spogliatoio: dove si sedevano Jordan, Pippen e gli altri, ora mi siedo io».
La statua di Jordan allo United Center è uno sprone o un moloch che incute timore?
«È uno sprone. La paura ti coglie semmai guardando al soffitto del palazzo, dove sono appese le bandiere-ricordo dei trionfi».
Quanto giocherà Belinelli?
«Parto dalla panchina, devo dare il massimo. Sono il cambio di Rip Hamilton, imparerò da lui».
Siete da titolo?
«Ci sentiamo forti, puntiamo in alto. Aspettiamo il rientro di Derrick Rose dopo il grave infortunio dello scorso maggio: non si sa ancora quando tornerà, ma quello non sarà un bel giorno per gli avversari...».
Europeo 2013: lei e Bargnani dovreste rientrare in nazionale. Ma non c’è il rischio di rompere gli equilibri vincenti che l’Italia ha trovato?
«Se ci chiameranno, seguiremo una regola facile: tornare in punta di piedi, evitando di creare scossoni».
Come racconta la sua America?
«Con un’immagine che si lega ai miei anni qui: è una scala in salita. È dura, ma regala soddisfazioni».
Magari un giorno i Bulls ritireranno la sua maglia numero 8...
«Se succederà, andrò a piazzarla io, lassù in alto».
Flavio Vanetti