Michael Hainey, GQ 11/2012, 31 ottobre 2012
TUTTO SU MIO PADRE
Incontro Denzel Washington a New Orleans, dove sta girando il suo 42° film (2 Guns, con Mark Wahlberg). Ha recitato qualunque parte, da Malcolm X a Hurricane Carter, ha vinto due Oscar (per Glory e Training Day). E tuttavia cosa sappiamo veramente di Denzel Washington? (A parte che si porta i suoi 57 anni che è una bellezza). A 30 anni dal suo debutto, uno dei protagonisti della sua generazione di attori rimane per il pubblico un mistero.
Qual’è il suo primo ricordo su un palcoscenico?
«Avevo sette, otto anni, giù di lì. Partecipai a un talent show con un altro tipo, di nome Wayne Bridge, pace all’anima sua. Decidemmo di impersonare i Beatles e comprammo due chitarre finte, due parrucche e cantammo I want to hold your hand».
Qual’è il primo film che si ricorda d’aver visto?
«King Kong. Ma non ero un appassionato di cinema, non ho mai pensato di diventare un attore. Quando ho cominciato a studiare recitazione, non c’erano grandi star di colore».
C ’è qualche ruolo a cui si pente di aver detto no?
«Uno su tutti: Michael Clayton. Era una delle migliori sceneggiature che avessi letto, ma mi preoccupava lavorare con un regista esordiente. Ho sbagliato. Capita».
Lei ha un codice a cui ispira la sua vita?
«Leggo la Bibbia tutti i giorni. Ho letto una cosa importante ieri. Diceva: "Non conta fare cassa, conta fare la differenza"».
In un certo senso lei è un mistero. Non fa sapere molto di se stesso...
«E perché dovrei? Una volta Sidney Poitier mi disse: "Se ti vedono gratis per tutta la settimana, non pagheranno per andarti a vedere nel weekend, perché penseranno di averne già avuto abbastanza". Il mio mestiere è fare l’attore, non la celebrità».
Suo padre era un predicatore pentecostale...
«Sì. Tutte le domeniche andavo a messa, per cui posso capire quelli a cui non piace. Perché c’è stato un tempo in cui era una specie di dovere, tutti abbiamo una fase di ribellione».
Ho letto da qualche parte che lei una volta ha detto di essere stato invaso dallo Spirito Santo.
«È successo trent’anni fa, nella chiesa dove vado tuttora. Il sacerdote stava predicando e io mi sono detto: "Lasciati andare". E ho avuto questa tremenda esperienza fisica e spirituale. Mi ha spaventato. Piangevo, sudavo, avevo le guance in fiamme. È stato troppo intenso. Stavo quasi per impazzire. Chiamai mia madre e lei mi disse che lo Spirito Santo era entrato in me. E io risposi: "Significa che non potrò più bere vino?"».
È stata dura essere figlio di un sacerdote?
«Da bambino non tanto, c’era soltanto il problema delle domeniche: non finivano mai, dovevi stare in chiesa tutto il giorno».
Perché i suoi genitori hanno divorziato?
«Lo chieda a uno di loro perché la gente si separa».
Non gliel’hanno mai detto?
«No. Era un’altra generazione. Non ho mai fatto domande. Immagino fosse finito l’amore. Non me ne sono accorto, ma non facevo attenzione. Avevo solo 14 anni».
E quindi poi è stato lontano da suo padre?
«Frequentavo una scuola privata. Mia madre venne a prendermi e disse: "Prendi le tue chiavi, non abitiamo più in quella casa". Dai 14 ai 18 ho vissuto con lei, poi è diventata insostenibile. A quel punto sono andato a vivere con mio padre, ma lui mi ha cacciato di casa dicendo: "Sei pessimo"».
Suo padre è morto mentre lei girava Malcolm X...
«Avevo preso un aereo per New York per incontrare Spike Lee. All’atterraggio trovo mio fratello e penso: "La mamma è morta". Ma lui dice: "Papa ha avuto un infarto". Non ho mai versato una lacrima per lui. Sembra la frase di un libro o di una canzone, ma non ho pianto nemmeno al funerale. Tra noi non c’era un vero legame».
Si arrabbiò con suo padre quando i suoi genitori divorziarono?
«Il fatto è che lui aveva due o tre lavori. E così non è che lo vedessi molto. Sa, le cose che io facevo, tipo gli sport e il resto, non è che a lui importassero. Immagino per via del fatto che fosse un uomo di chiesa. Resta il fatto che non lo vedevo. Neanche mia madre, se è per quello. Lavoravano, molto. Poi sono cresciuto, ho cominciato ad andare in giro. A quel punto i tuoi genitori è come se sparissero. E un attimo dopo ti trovi all’università».
Si è sentito deluso?
«Non proprio. Tutti i miei amici non ce l’avevano nemmeno un padre. Almeno io ne ho avuto uno».
Ha ereditato qualcosa da lui?
«Direi solo da mia madre. È una donna tostissima. Ha 88 anni».
Quale è stato il suo primo lavoro?
«Consegnavo giornali. Ma ho smesso alla svelta: si guadagnava troppo poco. A 11 anni ho cominciato a lavorare da un barbiere e quello era stupendo, era come un teatro. C’erano un sacco di uomini adulti che dicevano cose da uomini adulti. E perlopiù mentivano. Io ascoltavo le loro bugie e imparavo come fare soldi. Giudicavo chiunque dalle scarpe che portavano. Mi hanno insegnato a mentire, quindi mi hanno insegnato a recitare. Mi mancano quei giorni, quella voglia di diventare indipendente. La vedo nella mia figlia più grande. Lei sta cercando di diventare indipendente. So che non vorrebbe lo dicessi, ma ha lavorato con Tarantino in Django Unchained».
Curioso, dato che voi due avete litigato per via di quella scena razzista che aggiunse nella sceneggiatura di Allarme rosso...
«Così va la vita. Io ho seppellito l’ascia di guerra, l’ho incontrato dieci anni fa e gli ho detto: "Scusami". Qualche volta devi lasciar perdere. Mica puoi prendertela per tutta la vita. Lui sembrò sollevato. E dieci anni dopo dà una parte a mia figlia. La vita è una gran cosa».
Come ti sei sentito quando è morta Whitney Houston?
«Whitney era la mia bambina. E aveva recuperato tanto bene...».
Vi sentivate spesso?
«Sì, abbastanza. La droga che l’ha fregata era la peggiore di tutte. Con quella non puoi tornare indietro, nessuno ce la fa. Whitney era una ragazza così dolce, così umile. Ne hanno fatto un personaggio. Certo, lei aveva quella voce, ma l’hanno inscatolata dentro questo ruolo. Proprio ieri la ascoltavo cantare I look to you ("The rain is falling, defeat is calling", ndr). È un testo profetico. O forse me lo immagino io. Forse lei pensava di potercela fare. E poi invece il suo corpo l’ha tradita. Lei non si rendeva conto che il suo corpo stava invecchiando rapidamente. È una cosa che non poteva sopportare. Il tuo corpo può tollerare solo fino a un certo punto. Qualcuno sopravvive a Hollywood e alla celebrità, qualcun altro non ce la fa».
Ha mai pensato di entrare in politica?
«No. Io sono troppo indipendente. Per alcune cose sono un progressista, per altre un conservatore. Siamo tutti troppo schematici: di qui o di là. È ridicolo. Io non sono totalmente di destra o di sinistra. Ma chi lo è? E soprattutto, perché dovrebbe esserlo? Valuti i pro e i contro dei due schieramenti e prendi una decisione intelligente, se ci riesci».